Tra i tanti album usciti questo venerdì ve ne segnalo uno che mi ha colpito particolarmente. Il titolo: S’Anima, l’Anima, in dialetto sardo campidanese. L’autrice, Simona Salis, cantante e musicista cagliaritana di nascita da anni a Varese, dove con il marito Ivan Ciccarelli – pianista e percussionista – lavora e gestisce una scuola di musica, la Bips, che è anche uno studio di registrazione.
Simona è artista di grande sensibilità. Ha pubblicato pochi lavori, tutti molto emozionanti, di sostanza, curati nei minimi dettagli. Veri e propri concept album dove esiste un tema centrale che viene “tradotto” in riflessioni, emozioni, spunti di vita cantati in italiano, sardo, inglese, francese, spagnolo. Quel meeting pot di cui l’arte e la cultura si nutrono e che lei ha ben chiaro nel suo percorso artistico.
Ricordo il suo primo album, Chistionada de Mei (Parla di me), dieci brani dove in dialetto campidanese presentava se stessa attraverso storie che parlano del quotidiano, d’amore, di lotte. Uno di questi mi aveva particolarmente colpito per la sua espressività, Mes’è idas, che in italiano significa Dicembre, brano minimalista, con una tensione emotiva altissima. Dopo Janas e Dimonius (Fate e demoni), sempre cantato in sardo, lavoro sulle leggende e le storie dell’isola, la Salis ha pubblicato sette anni fa Nomi, questa volta cantato in italiano, dove i titoli delle canzoni portano il nome di persone che hanno contato nella sua vita. In Simona, brano che apre il lavoro, la cantante identifica il suo nome con la sua terra, a sancire un’unione indissolubile tra lei e la Sardegna.
E ora S’Anima (qui il brano che dà il titolo all’album), dieci canzoni per 33 minuti d’ascolto, lavoro prodotto da Ivan Ciccarelli e dal chitarrista Silvio Masanotti. Un disco che riporta a Chistionada de Mei, ma che parla, questa volta, della sua anima. «Ho sempre pensato che esistesse la reincarnazione, perché dentro di me sento che c’è qualcosa di antico, di vissuto», racconta. Una poesia di Mariangela Gualtieri (lo racconta bene qualche riga più giù) la porta a riflettere sulla vita, sul fatto che, forse, l’anima è dotata di un suo particolare “DNA” che da tempi immemori trasmette a ciascuno di noi quello che poi siamo e diventiamo…
Avrete sicuramente letto in questi giorni dell’enorme deposito per le scorie radioattive che ormai da anni si sta costruendo in Finlandia, a 400 metri di profondità. Chilometri e chilometri di tunnel scavati nel granito dove l’uranio verrà stipato per garantire la sicurezza dell’umanità per centomila anni. Mi ha fatto riflettere sulla enormità di questo tempo: chissà se tra centomila anni l’uomo esisterà ancora e chissà cosa sarà diventato. La nostra eredità esisterà ancora? E l’anima, ovvero le nostre emozioni, i nostri pensieri, le nostre culture, le nostre intelligenze verranno trasmessi e si perpetueranno o subiranno mutazioni drastiche?
Riflessioni che hanno trovato una risposta l’altro giorno quando sono stato invitato a incontrare e ascoltare alcuni brani del disco di Simona a Milano. La risposta a quel DNA impalpabile che porta con sé armonie, note, pensieri ancestrali ha un nome: Lara, la figlia quattordicenne di Simona e Ivan. Nel disco ha suonato il basso elettrico e fatto i controcanti alla madre. Vederla esibirsi con i genitori e con Silvio Masanotti è stato illuminante. Forse davvero l’anima è la summa di tutto quello che abbiamo ricevuto e poi trasmesso. «È una polistrumentista, suona benissimo il pianoforte, qualsiasi strumento che vede lo deve capire, provare», mi racconta orgoglioso Ivan.
Simona, da Chistionada de Mei a S’Anima, i tuoi dischi hanno tutti una forte caratterizzazione…
«In effetti… ho pubblicato pochi dischi e sono tutti concept album. Di canzoni, invece ne ho scritte tantissime. S’Anima è nato perché, a questo punto della mia esistenza ho sentito l’esigenza di approfondire questo aspetto. Poi ho letto la bellissima poesia di Mariangela Gualtieri, Sono stata una ragazza nel Roseto (da Le giovani parole, Einaudi, 2015, ndr) che mi ha fatto riflettere sul concetto della reincarnazione e dell’immortalità dell’anima. Per poi giungere, dopo le mie elucubrazioni, al racconto che c’è nella canzone. Ho scoperto di non credere così fermamente nella reincarnazione, perché, in realtà, ho paura della morte e mi comporto in questa vita come se fosse unica e preziosissima. Ho voluto dare risposta ad alcune domande, per esempio: ma questi doni che ho da quando sono nata, certi tipi di conoscenze, la mia convinzione di essere un’anima antica, di aver già vissuto tantissimo da dove viene? Sono arrivata a questa riflessione: il DNA che trasporta con sé tutta la vita dei miei avi, tutte le esperienze passate, probabilmente nei cromosomi che poi mi hanno generata, hanno innescato una comunicazione con quella parte interiore che è appunto la nostra anima, la nostra parte spirituale, tutta questa conoscenza pregressa, questa antichità dell’anima non è altro che una comunicazione tra il DNA e il mio lato spirituale».
Mi sembra che tu sia tornata nell’ambiente del tuo primo album Chestionada de mei o sbaglio?
«Sì, è sempre un dialogo con me stessa, con ciò in cui credo. In Parla di me ho affrontato alcune esperienze della mia vita in modo molto intimo, ora racconto la mia spiritualità… le mie profonde convenzioni interiori».
Sono stata, canzone che canti con Antonella Ruggiero, uscita l’11 aprile scorso, è uscita come “brano apripista”. Perché?
«È stato il primo brano che ho scritto sull’argomento, è la summa di questo lavoro. E poi perché ho voluto dare onore a questa bella collaborazione. Conosco Antonella da vent’anni, è una grandissima artista, la apprezzo anche a livello empatico ed emozionale. È stata una collaborazione magica; pensa che quando mi ha confermato la sua volontà di partecipare ho avuto per una settimana il sorriso stampato in faccia per la felicità».
Oltre a Ivan Ciccarelli e Silvio Masanotti al disco ha collaborato suonando e cantando anche vostra figlia Lara…
«Lara ha 14 anni ed è una polistrumentista eccezionale, è cresciuta tra gli strumenti della Bips, la nostra scuola di musica a Varese».
Buon sangue non mente…
«Nel disco suona il basso, sarà con noi anche nei live che faremo. Lara suona benissimo il pianoforte, e poi è curiosa, quando vede uno strumento nuovo si butta a capofitto per capirlo, studiarlo, ha una grande passione. Nessuno l’ha mai obbligata a fare tutto questo, è un talento puro».
Nella tua musica c’è sempre un richiamo ancestrale ai suoni della tua terra, però ci metti anche l’elettronica, delle incredibili chitarre, Ivan usa percussioni di ogni genere e provenienza…
«Se tu dovessi approfondire la musica tradizionale sarda allora diresti che mi sono discostata tanto, perché questa vuole l’organetto e la chitarra, addirittura nessuna percussione perché era data dal ballo, dai piedi, dalle mani. Però è vero, se mi parli di ancestralità, di antichità di un popolo, allora sì, hai preso appieno. Nella mia musica c’è questo senso di lontananza, di arcaico, di profondo, di antico, contaminato da tutte quelle che sono le sonorità, se vuoi, del Mediterraneo, ma non solo, anche del mondo latino e celtico, escludendo quello africano che ha dei ritmi diversi, dispari e via dicendo. Le acchiappo da varie culture che mi risuonano in testa. È un lavoro che faccio soprattutto con Ivan: se tu venissi a trovarci alla Bips vedresti pareti intere rivestite di percussioni e di strumenti, c’è il desiderio di sentir uscire questi suoni, che non potrai mai ottenere uguali usando i campionatori. Ti fanno venire i brividi, permeano tutto, viaggiano nell’aria ed entrano nei nostri corpi. C’è quel famoso concetto di fisica che è la vibrazione simpatica, per cui se io percuoto un La in un ambiente, tutti i corpi con capacità di risonanza iniziano a vibrare all’unisono con la stessa nota. Ecco, lo stesso succede quando ascolti uno strumento vero che suona».
Fai un lavoro filologico di ricerca del suono, eppure sei catalogata come artista pop, genere con cui hai poco o niente da spartire, considerando che il pop italiano è da tempo l’urban…
«No, direi di no! Però pop è tutto ciò che, se vuoi, è popolare, identifica una cosa che raggiunge molte persone. Nelle sonorità e in quello che racconto non sono in linea con il pop oggi inteso, ma la mia sincerità probabilmente tocca le corde di chiunque abbia voglia di ascoltare. Probabilmente proprio in questo senso sono pop, direi un pop d’autore, che fa più figo!».
Parlerei più di World Music, lo dimostra il fatto che non sei vincolata a far uscire dischi a manetta, i tuoi lavori sono ragionati, richiedono gestazioni lunghe…
«Il mio desiderio è fare una cosa bella, crearla, darle un nome… proprio come si fa con un bambino. A volte gli album sono come dei parti in mezzo alla vita di tutti i giorni. Abbiamo la famiglia, le malattie, i dolori, mille cose, trovare lo spazio per la creazione, che ha bisogno di tantissimo amore, tempo e denaro, è un impegno enorme».
Il tuo è amore per la musica ma anche per la divulgazione e l’insegnamento della musica. Che ruolo ha la Bips nella tua vita?
«In modo egoistico ti direi che insegnare mi fa sentire utile. Perché oltre a insegnare la tecnica, il canto aiuto le persone a tirar fuori quelle emozioni che sono nascoste. La voce è legata all’espressione dell’essere umano, quindi chi a volte mi dice, “ho un nodo in gola”, oppure “non riesco a raggiungere le note alte o quelle basse” so che spesso, dentro quella voce, c’è un blocco emozionale. Riuscire ad aiutare le persone a tirar fuori l’emozione e di conseguenza la voce, è un lavoro empatico che mi gratifica molto, mi fa stare bene. Io lo faccio con il canto, Ivan a suon di percussioni».