Pivio & Aldo De Scalzi: dalle colonne sonore, la buona musica

Pivio & Aldo De Scalzi – Foto di Pietro Pesce

La musica per le colonne sonore è un altro dei miei pallini, lo avrete capito! Questa volta ho colto la palla al balzo per intervistare due musicisti con cui volevo fare quattro chiacchiere da tempo, Pivio & Aldo De Scalzi. 

Sono una premiata ditta che ha all’attivo oltre duecento colonne sonore tra cinema e broadcast. Un’amicizia e un affiatamento musicale che dura da oltre quarant’anni, prima nei gruppi rock, soprattutto progressive poi, dal ’97 con l’avventura delle musiche per film. Entrambi genovesi, con tutto quello che comporta, non ultima quella dose di sana e folle creatività che ha caratterizzato e caratterizza i musicisti di Zêna, Pivio vive a Roma, mentre Aldo continua nel capoluogo ligure.

Aldo è il fratello di Vittorio De Scalzi fondatore dei New Trolls, una delle band seminali del progrock italiano, mancato lo scorso anno. Proprio a Vittorio i due musicisti hanno dedicato un brano, cantato da Aldo, inserito nel terzo episodio della saga Diabolik (Diabolik chi sei?) firmata dai Manetti Bros, in uscita il 30 novembre prossimo. Dal primo dicembre sarà sugli scaffali fisici e digitali anche la colonna sonora firmata dal duo. Il 12 ottobre scorso è uscito sul grande schermo anche il primo film da regista di Claudio Bisio, L’ultima volta che siamo stati bambini, con la loro colonna sonora. Quanto basta per rompere gli indugi e chiamarli. 

È stata una lunga e divertente chiacchierata, tra musica, trap, scuole genovesi, Vittorio sempre presente, film, artisti preferiti e persino… Uma Thurman!

Avete all’attivo oltre duecento colonne sonore. Siete appassionati di cinema?
Aldo: «Il maestro Pivio alias Roberto Pischiutta è un assiduo cinefilo, lui ha dato del filo da torcere a registi e a persone del cinema, correggendoli per citazioni errate.
Pivio: «È perché sono un rompic…, diciamolo! Quando ero piccolo, mio padre mi portava al cinema tantissimo. Come Quentin Tarantino – lo racconta nella sua autobiografia (Cinema Speculation, ndr) – anche i miei genitori mi portavano al cinema per farmi stare buono. Erano gli anni Sessanta, un periodo particolare, potevi vedere anche due film in un giorno con lo stesso biglietto… Quando cresci a musica lirica (sempre mio padre) e a cinema poi deve pur succedere qualcosa…» 

Musica e cinema sono due linguaggi che si intrecciano. Il Cinema è entrato in crisi, soprattutto dopo il Covid, a Milano ha chiuso l’Odeon, che tristezza…
Pivio: «Hai ragione, l’ultima volta che sono entrato all’Odeon è stato per l’anteprima del primo Diabolik. C’è una trasformazione in corso, il Covid ha forzatamente dato una mano alla distribuzione sulle piattaforme. Se analizziamo la situazione italiana, la faccenda diventa ancor più complessa: sicuramente i meccanismi produttivi e distributivi sono molto cambiati e questo in parte ha generato molti più prodotti, ma meno curati».

Come nella musica: ce n’è molta di più ma meno curata…
Aldo: «Ancora prima del cinema ad aver subito danni è stata la musica. Ai tempi si viveva di vendita di dischi. Oggi è finita, e non ci raccontiamo che si vive con lo streaming, non è così! Si guadagna al massimo con i banner e con la musica dal vivo, quelli sono i veri soldi che fanno i cantanti e i musicisti».

Tornando alle colonne sonore: siete tra i più grossi produttori in Italia poi ci sono vari musicisti che “si prestano” alla colonna sonora. Cosa pensate del vostro mondo?
Aldo: «Siamo dei privilegiati, veniamo da mondi diversi, pop, classica, progressive, l’unica vera “problematica” per una posizione creativa come la nostra è che abbiamo regole da seguire, i dettami del regista che è il nostro Deus ex machina. Grazie a questo mondo siamo riusciti a sperimentare tutti i mondi sonori che avremmo voluto nella nostra vita musicale».
Pivio: «Possiamo permetterci dei lussi che chi lavora nel Pop non può permettersi. In effetti la musica che gira intorno, per citare un grande, è molto omologata. Non sento grandi differenze tra un successo e l’altro, tutto è molto simile a se stesso. Tornando a Diabolik, il primo film l’abbiamo realizzato con una grossa orchestra, nel secondo ci siamo permessi di tornare ad alcuni dei nostri vecchi amori, come il progressive, nel terzo abbiamo cambiato di nuovo le regole del gioco grazie agli stimoli dei Manetti, puntando sulla blaxploitation americana. Secondo te un produttore oggi ha queste libertà? Secondo me no, magari ha successo, ma è un’altra cosa. È il gioco delle parti: noi invidiamo loro la visibilità che noi non abbiamo – siamo degli scomparsi – loro non possono permettersi le nostre libertà creative».

Tra cinema, televisioni nazionali e piattaforme digitali, cosa scegliete?
Aldo: «Il regista ti detta la via, però sei tu che guidi, che componi. Lui cerca di spiegarti quali sono le sue emozioni che poi devi trasformare nel tuo linguaggio…».
Pivio: «È sicuramente vero quello che dice Aldo nel mondo cinematografico, nel rapporto con il regista e il montatore, altra figura determinante. Come ti sposti verso gli altri player le cose cambiano. La nostra libertà di azione inizia a essere più limitata, perché entrano in gioco meccanismi che esulano dall’aspetto artistico. Questo viene fuori sempre di più con le piattaforme digitali. Non siamo considerati autori ma tecnici, con i relativi problemi, una limitazione della libertà d’espressione, i mitici algoritmi di cui parla Nanni Moretti ci sono eccome. Nell’alveo cinematografico per ora la situazione è normale».

Quindi preferite il cinema?
Pivio: «Dal punto di vista artistico è l’obiettivo. Sotto l’aspetto economico, lavorare con i broadcast tradizionali (Rai – Mediaset) è un fatto, lavorare con le piattaforme digitali è un altro. Bisogna trovare un giusto compromesso tra il desiderio di fare le cose belle e poter portare a casa il pesto di Prà!».

Mi parlate degli ultimi due film che avete “musicato”? Com’è stato lavorare con Claudio Bisio alla sua prima prova da regista?
Aldo: «È stata una rivelazione, lui è una persona fantastica, ti sta molto ad ascoltare, ed è un grande pregio per chiunque, non solo per i registi. Aveva le sue idee, abbastanza chiare, l’ho trovato sempre propositivo. Nonostante la sua prima volta, l’intesa è stata perfetta».
Pivio: «Credo che l’aspetto relazionale tra compositori e regista sia essenziale per fare belle cose. Quando riesci a trovare questa forte unione vai bene. Con lui è andata benissimo. In realtà avevamo già lavorato con Claudio, ma come attore in Si può fare (film di Giulio Manfredonia, ndr), scritto da Bonifaci lo stesso autore che ha scritto L’ultima volta che siamo stati bambini. Si è ricreata di nuovo una squadra e noi crediamo molto nel lavoro in team, Aldo ti potrà dire qual è il nostro rapporto con i nostri musicisti…».

E con i Manetti?
Aldo: «Ormai è una relazione oleata, se dicono una parola sappiamo esattamente dove andare a parare. Ne approfitto per dirti una cosa che mi sta molto a cuore. In questo ultimo Diabolik, c’è una canzone che abbiamo scritto io e Pivio, che canto io, dedicata a mio fratello Vittorio».

Avete creato una scuola genovese di musicisti, siete un punto di aggregazione.
Aldo: «Sì, e un nostro grande vanto. Siamo ben visti perché a Genova facciamo lavorare tanta gente, siamo tra i pochi. Genova è una città meravigliosa, stupefacente. Da sempre è stato così, da qui sono usciti molti talenti, ma faticando il decuplo delle altre parti dell’universo. Perché Genova è una città chiusa, difficile logisticamente da raggiungere, ci devi venire per forza – per andare a Milano da Roma non ci passi -, non ha industrie, produce molto poco. Quindi tutti quelli che sono riusciti a emergere – leggi i famosi cantautori genovesi – vedevano sbocciare il loro successo sempre altrove. C’è da farsi qualche domanda…».
Pivio: «Ci pensavo proprio l’altro giorno: la nostra fortuna di genovesi è… che abbiamo la sfiga di essere genovesi. Ti spiego: tutto nasce da un’analisi che ho fatto sull’Islanda: sono 300mila abitanti e conducono una vita non semplice. Se vai ad analizzare quanta gente nel mondo dell’arte proviene dall’Islanda è spaventoso: c’è un rapporto popolazione/persona di successo che non ha eguali. Qual è il trucco? È che sono degli sfigati, hanno un territorio che offre pochissimo e questa condizione, evidentemente, sviluppa il desiderio di fare, di creare qualche cosa».
Aldo: «È proprio così, se tu ascolti cosa è uscito da Genova è tutto materiale fuori dagli schemi».

Anche nella Trap si parla di una nuova scuola genovese…
Pivio: «Eh, lo sappiamo bene! La Trap non è tutta uguale, se la vedi dal punto di vista del mercato che funziona, mainstream, è tutta uguale. Se chiedi ad Aldo di spostarsi di dieci metri sempre nello studio dove è ora, e aprire una porta vedrai un mondo di gente che fa anche Trap e tu ti chiedi: “ma cos’è questa roba?”. E di nuovo, credo che la motivazione sia Genova e il suo essere fuori dal mondo, non hai quelle distrazioni che offre Milano. Per esempio, il testo del brano dedicato a Vittorio di cui ti parlava prima Aldo lo ha scritto un ragazzo, Simone Meneghelli, entrato nel nostro roster. Proviene proprio da questa nuova scuola, molto attiva».
Aldo: «Si aggiunga che c’è un bellissimo documentario che ha girato Claudio Cabona, del quale noi abbiamo composto la musica, che si intitola proprio La Nuova Scuola Genovese. Lì c’è un bel confronto tra vecchi e nuovi autori. C’è Gino Paoli, Ivano Fossati e c’è Tedua…».

Siamo cresciuti frequentando i negozi di dischi, avevamo un’ampia scelta tra cantautori, rock, fusion, hip hop. Oggi un ragazzo ha possibilità infinite grazie al digitale, ma non sa cosa cercare. È un paradosso non trovate?
Pivio: «Come spesso succede il troppo stroppia. Se pensi che ogni giorno su Spotify vengono caricati dai 110 ai 120mila brani è inevitabile che sia difficile trovare degli orientamenti, visto che sono venuti a mancare alcuni meccanismi fondamentali come i negozi di dischi e le riviste di settore. Ora ci sono i blog, i social, la democratizzazione dell’accesso alla musica e al fare musica crea ulteriori disturbi. È indubbio che è un paradosso».
Aldo: «Nonostante tutta questa estrema divulgazione registro un vuoto pneumatico. Da parte nostra c’era della ricerca, nei negozi di dischi ascoltavi qualcosa di nuovo avevi il piacere della scoperta. Manca, da parte del mainstream, il valore della musica come Arte. C’è poco interesse, è chiaro che lo streaming va rivisto tutto, a partire dal guadagno del musicista. La mia paura non è solo quello: tutti quei brani “buttati lì” ogni giorno indicano che non c’è una progettualità, e le visualizzazioni non hanno il carattere di giudizio musicale».
Pivio: «I bagni di ingegneria di Genova, dal punto di vista dello stimolo culturale, all’epoca sono stati per me un punto di riferimento fondamentale. Tra le varie scritte che ho letto ce n’è stata una che secondo me rispecchia la situazione attuale: “Mangiate merda, miliardi di mosche non possono avere torto”. Dietro quella frase, anche stupida, c’è purtroppo una grande verità. Se prima, anche attraverso i filtri, c’era un accesso alla distribuzione un po’ più curato, ora le logiche distributive fanno sì che l’aspetto vero e proprio della musica, cioè la musica, passi in secondo piano. Sono altre le motivazioni per cui la ascoltano. Ed è un pubblico molto, molto giovane che sta ad ascoltare centinaia di volte un frammento di 30 secondi, creando il concetto della visualizzazione. Quelle poche volte che cerchiamo di definirci e ci chiedono che musica facciamo rispondiamo, “Facciamo musica adulta!”». 

Avete fatto di tutto e di più, avete un sogno da realizzare?
Pivio: «Il mio sogno cinematografico è poter tornare al 1990 quando facevo un altro mestiere e prendevo spesso l’aereo. Tornavo, stanchissimo, da Parigi diretto a Roma. Arrivo sull’aereo metto il bagaglio sulla cappelliera e mi metto a dormire. Arriviamo a Roma mi sveglio male quando le ruote toccano l’asfalto della pista e, solo quando si aprono le porte e le persone escono, mi rendo conto che a fianco a me era seduta Uma Thurman…
Aldo: «L’ho sempre detto Pivio, sei un…! Vabbè, sono uno poco ambizioso, ho già coronato tutto quello che potevo immaginare, il mio sogno è continuare a fare il mio lavoro in maniera tranquilla, come è stato con Bisio, con i budget dignitosi… così potrei continuare per altri cent’anni. Se poi capita Spielberg, bello, ma non è il mio sogno».

Pivio, concordo con Aldo… ma a parte Uma Thurman?
Pivio: «In effetti un piccolissimo sogno ce l’ho: Aldo e io abbiamo fatto tanti film, cinema, televisione, teatro, l’unica cosa su cui non ci siamo ancora cimentati è un film d’animazione. Gli stimoli sono fondamentali, trovare nuove suggestioni è utile per avere il cervello attivo».
Aldo: «Ecco, ora che ci penso, una cosa che mi piacerebbe fare sarebbe una bella tournée per teatri dal vivo con i nostri musicisti».
Pivio: «Probabilmente non lo sai ma stanno girando un documentario su Aldo e me, che si chiama Musicanti con la pianola, titolo volutamente ributtante ma che dice tante cose. In questo documentario diretto da Matteo Malatesta, anche lui genovese, c’è tanta nostra musica ed è tutta dal vivo. Non esiste niente nel film che sia il master originale, è tutta suonata, anche abbastanza strana. L’ultima sessione di registrazione sarà con alcuni buskers che suonano i nostri pezzi tra le strade e le piazze di Genova e Berlino. E torno all’inizio: la musica che il nostro settore (musica da film) produce è una musica viva, l’idea che sia relegata solo all’aspetto filmico è una sciocchezza. Il problema è che ti scontri con il contesto, che non vede noi. Facciamo pochi concerti, ma quelli che abbiamo fatto hanno avuto un successo pazzesco. Il fatto che tutta la nostra musica sia reinterpretata, diversa dai master originali, vuol dire che è una musica viva».
Aldo: «Cioè… volevamo andare ad Amici ma non ci hanno preso!». 

Che musica ascoltate adesso?
Pivio: «Ho da poco comprato l’ultimo disco di Steven Wilson (The Harmony Codex, ndr) e sto ascoltando il secondo disco dei Goose, una band americana, giovani straordinari. L’età non è un merito: si può fare musica bellissima come bruttissima da giovani e così anche da adulti».
Aldo: «Ho una casetta ad Arquata e tutti i weekend vado su. In auto attacco il mio smartphone e ascolto un sacco di musica. Ho ripercorso tutta la produzione di Donald Fagen, che adoro. Poi ho ho provato a chiedere: “Ehi Siri, metti Pivio & Aldo De Scalzi”. È stata una grande rivelazione, ho ascoltato brani che non ricordavo e che mi sono piaciuti. E penso: ma l’abbiamo scritta proprio noi?».