Two Worlds è il nuovo lavoro che Antonio Artese, pianista di Termoli con una lunga permanenza negli States, in California, musicista a cavallo tra il classico e il jazz, ha pubblicato un paio di mesi fa per la Abeat del mitico Mario Caccia.
Un paio di mondi di Artese ve li ho già svelati, la dualità tra Europa e America, tra musica classica e jazz e, aggiungo, tra stili e dinamiche armoniche, tra romanticismo e razionalità, tra passioni sonore che esaltano la “mediterraneità” dell’artista, ma anche la tensione al minimalismo di scuola nordeuropea e gli emozionanti “fraseggi” in trio alla Bill Evans.
E poi i due mondi raffigurati – uno speculare all’altro – nella cover del disco: due paesaggi montani dove ognuno può vederci qualcosa di conosciuto oppure decidere di perdersi nelle profonde vallate o lungo una catena montuosa innevata. Un simbolismo chiaro per il lavoro-concept di Antonio. Ascoltare è come vedere, immaginare luoghi, storie, perdersi nelle melodie o negli orizzonti. La musica ha anche questo scopo – o almeno a me piace pensarlo.
Two Worlds è, dunque, un concentrato di saperi e itinerari sonori, solidi nelle radici jazzistiche con una godibile freschezza nei percorsi melodici, come per esempio, nell’ultimo brano dell’album, Voyage, dove la batteria di Alessandro Marzi può “volare” ritmicamente accompagnata dal contrabbasso di Stefano Battaglia che tiene il punto per tutta l’esecuzione.
Dei nove brani, sette sono frutto della composizione di Antonio mentre gli altri due sono arrangiamenti molto interessanti, uno, Lila, è una ninnananna ucraina, dove il pianoforte viene usato nella prima battuta come una bomba che esplode per risolversi con un suono sporco e cupo in una lullaby vera, scandita nel tema melodico. I riferimenti alla guerra sono evidenti nei 5,55 minuti di esecuzione, anche nella ritmica di Marzi che diventa quasi marziale. La parte di improvvisazione di pianoforte e contrabbasso a tre quarti del brano sono da manuale. La fine più che un sonno tranquillo fa presagire altro.
L’altro brano, Un bel dì, fa parte dell’altro mondo di Artese, quello classico. È tratto da un’aria della Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Operazione di rivisitazione in chiave jazzistica di grande rispetto per il tema originale, con un uso “effettistico” dell’archetto sul contrabbasso da parte di Battaglia che preannuncia il tema finalmente ricomposto al pianoforte, con le spazzole sul rullante a caricare il brano d’atmosfera.
Termino con il primo brano, che dà il titolo al disco, Two Worlds. Un inizio forte, deciso, caldo da trio “evansiano” come ha detto qualcuno e a buona ragione, dove c’è una “pesata” distribuzione di assoli, un dialogo di mondi, in questo caso tra pianoforte e contrabbasso, con la complessa cornice ritmica di Alessandro Marzi. Un gran bel disco, jazz nel profondo, autentico, solido, emozionante. Da manuale… con tanta, tanta anima.