
Fabrizio Bosso e Mauro Ottolini
Parte oggi – e fino a domenica 6 luglio – a Brenzone, cittadina sul versante veronese del lago di Garda, dopo cinque anni di fermo causa Covid, vista dalla vecchia Giunta comunale, causa virus ben più grave – leggi censura – secondo gli organizzatori storici della manifestazione culturale, un nuovo capitolo del Brain Zone Festival (qui tutto il programma) una quattro giorni densa di esplorazioni musicali dal jazz al funk, dal flamenco a Gershwin, dal R&B al jazz primordiale di New Orleans.
Il nome del festival gioca sulla località che d’estate si popola di un turismo internazionale ma anche sulla celebrazione della creatività, dell’intelligenza umana proiettata nella musica. Un cartellone fitto, come si legge dal comunicato: sarà “una sequenza di concerti diffusi sul territorio dall’alba a notte fonda. Brain Zone suonerà infatti in tutte le frazioni di Brenzone, con spettacoli musicali distribuiti nei luoghi più caratteristici, spiagge, strade, piazzette, trasformate in teatri all’aperto. Si farà anche musica in movimento, con concerti itineranti”.
Un happening che vede due marching band la Magicaboola Brass Band e i Funkasin, artisti residenti che si esibiranno in più punti della cittadina (Francesco Palmas trio) un band giovanissima, Hierba Mala y su Orquesta, che diletterà con la cumbia, un trio flamenco (i Verano Flamenco Chiara Guerra, ballo, José Luis Salguero, voce, Antonio Porro, chitarra), dj afrobeat e funk, una pianista classica, Ilaria Loatelli…
Dietro tutto questo complesso e architettato ponte sonoro c’è la creatività del mitico Otto, al secolo Mauro Ottolini, trombonista, filologo della musica, musicista curioso e onnivoro. Parlo spesso di Otto perché credo sia uno dei musicisti italiani più vivaci e creativi che meritano un’attenzione maggiore. Oltre a essere il direttore artistico, Ottolini sarà anche protagonista di due concerti da non perdere, il primo con Daniele Baldelli, dj di lunga data ed esperienza, cultore dell’afrobeat e del funk: qui Mauro improvviserà con il trombone sulle basi di Daniele, il secondo nella serata conclusiva sulla piazza di Magugnano in sestetto con Federico Bosso alla tromba, Vanessa Tagliabue Yorke alla voce (altra artista che amo particolarmente), Giulio Scaramella al pianoforte, Glauco Benedetti al sousafono e Nicola Angelucci alla batteria, dove protagonista sarà il jazz dei primordi, di New Orleans: «Questi brani sono talmente belli e di una ricchezza armonica e melodica che ci puoi fare quello che vuoi», mi spiega Otto. «Li ho studiati prima in maniera assolutamente filologica, quindi mi sono permesso di andare a mettere le mani e a rielaborare alcune cose secondo i criteri della musica che io ho in testa, una musica che guarda al futuro più che al passato. Sono pochi i musicisti che ragionano in questa maniera: oggi, lo vedo anche nelle scuole, il jazz che si insegna va dagli anni Cinquanta del Novecento in poi; c’è poca attenzione per quella musica del passato e invece secondo me è uno dei motivi per cui esiste questo legame che hanno Fabrizio Bosso, Vanessa, ila sottoscritto… Prendi Wynton Marsalis, tra l’altro è di New Orleans, è uno che ha fatto l’avanguardia, l’hard bop, la musica classica, tutto, ma oggi lo sentiamo comunque legato a quel tipo di musica che è intramontabile».
Con la stessa filosofia il direttore artistico ha chiamato il formidabile duo Francesco Bearzatti (clarinetto, sax) e Federico Casagrande (chitarra) e Ilaria Loatelli «una concertista classica che suona in tutto il mondo, alla quale ho chiesto di farmi Rapsodia in Blu di Gershwin, perché mi sembrava una bella combinazione con il blu del nostro lago!».
Come sempre, ogni volta che si inizia a parlare con Otto si finisce per fare delle chiacchierate lunghissime quanto interessanti.

Daniele Baldelli
Hai costruito un programma vario per il ritorno di Brain Zone, non solo jazz. Domani, 4 luglio, al Teatro di Verdura di Palermo si esibirà nell’ambito del Sicilia Jazz Festival Piero Pelù con l’Orchestra jazz siciliana, annuncio che ha fatto rumoreggiare non poco… Che ne pensi?
«Queste sono le cose incredibili. Non ho mai diviso la musica in capitoli sotto capitoli, scaffali e scaffaletti. Per me esiste la bella musica e quella che non mi piace. Quindi a questo punto ti direi che non so se Pelù è un musicista jazz, magari analizzando le strutture della sua musica, queste possono anche in alcuni casi coincidere con il jazz. Lo stesso vale per altri musicisti, prendi un Notturno di Chopin, potrebbe essere anche un brano jazz, cioè ci sono dei punti dove il jazz è molto vicino alla musica contemporanea. Vedo queste partecipazioni come degli estremi che servono per convincere qualcuno pensando di dare da mangiare il KitKat al gatto e farlo felice – e invece se il gatto mangia solo il KitKat e non sa cos’è il petto di pollo, poverino farà una vita da cani… Voglio dire, funziona sempre così: si pensa che chiamando un artista pop o rock famoso, in un contesto dove invece a volte è difficile catalizzare un pubblico, si risolva il problema dell’affluenza e, dunque, delle sovvenzioni per il festival. È molto difficile oggi in Italia proporre nomi di grandi musicisti che non siano quelli della televisione o del revival anni Novanta vedi, appunto, Piero Pelù. Non c’è coraggio. Un giorno vorrei poter fare un festival dove chiamo solo le persone che mi piacciono. Probabilmente ci troveremo là ad ascoltarlo in 50!».

Ilaria Loatelli
Fammi capire: come diceva Duke Ellington esistono solo due generi musicali, la musica bella e la musica brutta. Ma quello che stiamo assistendo oggi nei festival, soprattutto jazz, è un uso distorto della programmazione, giusto?
«A volte c’è la necessità di creare un evento dove si mettono dentro nomi altisonanti di altri generi musicali pensando di aprirsi. E invece non è così, perché un concerto di Pelù attira i fans di Pelù che poi, in un contesto di jazz festival, mi sembra alquanto improbabile rimangano lì ad ascoltare un concerto della Marcotulli. Non conosco quel festival, non mi permetto di criticare quello che fa, però in linea di massima la tendenza esiste. Condivido spesso, invece, le scelte di Umbria Jazz che decide in questi contesti di mettere dei grandissimi nomi della musica non jazz, però molto vicino al genere, vedi Santana o Sting, quest’ultimo lo considero un musicista talmente elevato che in un contesto di Jazz Festival, per me ci sta, come ci stanno gli Earth Wind & Fire, il funk, il soul, perché il jazz è comunque un termine che porta in sé la parola contaminazione. Dovremmo invece dire: costruiamo dei festival dove la gente abbia qualche stimolo cerebrale visto che ormai non ne arrivano più, né dalla televisione, né dai social, né dai media. Ormai si parla solo di banalità in ogni circostanza, e quindi un festival dovrebbe servire prima di tutto ad aprire la mente, a incuriosire le persone. Invece spesso ci sono dei concerti mega galattici con quattro gatti perché la gente non è educata ad ascoltare la musica. Questa è la verità e più andiamo avanti, più peggiora perché prima di tutto si pensa sempre al cassetto a fare il pubblico. Avrei piacere che tu lo scrivessi, uno dei più bei festival nati in Italia e sepolti in Italia per l’ignoranza della politica si chiama Clusone Jazz Festival: lì è passata tutta la storia dell’avanguardia musicale. Il festival esiste ancora, è ritornato, ma il vero era famoso a livello mondiale, basato su performance improvvisative di musicisti pazzeschi. Questo però non è colpa né dell’artista e né di chi organizza. La colpa è del pubblico, abituato a bere la Coca Cola e, se tu proponi un’alternativa, non gliene frega niente».

Francesco Bearzatti e Federico Casagrande
Brain Zone vuole racchiudere proprio questo principio? La parola jazz qui non viene nominata…
«Prendi la serata che farò con il dj Daniele Baldelli, uno che ha una cultura musicale enorme, ha lavorato per anni sulla musica afroamericana e sulla musica elettronica. Ti mette Sun Ra, Manu Dibango, Fela Kuti. Lo reputo un divulgatore di cultura, a casa ha più di 60mila vinili. Se parli con lui conosce tutto, dal jazz all’avanguardia ed è un DJ che ha fatto la storia».
E quello che farete domenica sera in piazza Ferrari a Magugnano con Fabrizio Bosso e Vanessa Tagliabue Yorke?
«Andiamo alle radici della musica di New Orleans, attraverso i brani di autori importanti. Abbiamo le musiche di King Oliver, Sydney Bechet, ma soprattutto quella di William Christopher Hardy, The Father of blues, autore che tutt’oggi viene suonato dai musicisti jazz. Sono brani che arrivano dalla tradizione di New Orleans, una grande passione che condivido con Federico Bosso e con Vanessa Tagliabue Yorke. Vanessa che è la più grande esperta di questa musica che io abbia conosciuto. Pensa che lei è stata l’unica artista italiana invitata ad esibirsi al Tribute to Bix Beiderbecke Jazz Festival a Racine, Wisconsin».

Vanessa Tagliabue Yorke – Foto Roberto Cifarelli
Chi sono gli altri del sestetto?
«Giulio Scaramella al pianoforte, al Sousafono, che sostituisce il contrabbasso nelle marching band, c’è uno dei più grandi suonatori europei, Glauco Benedetti, e alla batteria Nicola Angelucci. Abbiamo scelto di non avere la presenza di un’ancia, che sarebbe importante, tipo il clarinetto o il sassofono, perché lavoriamo molto sui timbri con le sordine. Ed è un bellissimo lavoro, uno spettacolo dove andiamo a ripercorrere un po’ brani, anche inesplorati di quel mondo».
Dunque Brenzone diventerà una cittadella della musica!
«È quello a cui vorremmo arrivare, una quattro giorni dove la gente vive la musica in tutte le sue forme per la strada. Il teatro diventa la piazza, le vie, la spiaggia. La musica si immerge nella topografia e nella natura della città, fatta di piccoli borghi. Per questo sono previsti degli artisti “residenti” come Francesco Palmas, bravissimo chitarrista e cantante, poi c’è una band pazzesca che non può passare inosservata quella di Chiara Luppi, lei è solista nei musical di Cocciante e interpreta Louise Soubirous, madre di Bernadette, in Bernadette de Lourdes, è una cantante tra le più brave che io abbia mai sentito in Italia accompagnata da una band che per una parte sono i musicisti di Ligabue e per un’altra una sezione fiati straordinaria capitanata da Gianluca Carollo, un bravissimo trombettista tra l’altro anche lui allievo di Franco D’Andrea. Una band di dieci musicisti che proporranno due ore e mezza di super funky di grande divertimento…».
A proposito di divertimento hai chiamato anche i Ridillo!
«Sono degli intrattenitori perfetti. Suoneranno in spiaggia, in mezzo alla gente che fa il bagno e che assiste al concerto. E poi… finirà tutto a gavettoni in acqua!».