
Giulia Pratelli e Luca Guidi – Foto Francesco Luongo
Il 14 marzo scorso è uscito il nuovo lavoro di Giulia Pratelli (l’avevo intervistata nel gennaio del 2022 in occasione dell’uscita del suo precedente album, Nel mio stomaco) insieme con Luca Guidi dal titolo Di Blu – Omaggio a Domenico Modugno. Nove brani, 32 minuti d’ascolto, un disco autoprodotto che ha il pregio di ricordare, in tempi di musica veloce e piuttosto semplice, un grande interprete della musica italiana d’autore.
La voce di Giulia è cristallina, pulita, molto espressiva, ideale per cantare un artista passionale come fu Mimì, gli arrangiamenti di Luca sono minimal, soffici, emozionanti. I due musicisti e cantautori propongono una rilettura attenta, rispettosa e innovativa dei brani scelti, alcuni famosissimi e proprio per questo ad alto rischio di banalizzazione.
Di Blu è un’emozionante passeggiata nell’arte di Modugno, con una scaletta studiata fino all’ultima battuta. Il disco apre con Amara terra mia, canzone della tradizione popolare abruzzese, arrangiata dalla grande Giovanna Marini e ripresa poi dal cantante di Polignano a Mare: è uno struggente addio alla propria terra, racconto d’emigrazione, quanto mai attuale, come mi fa notare la stessa Giulia. E prosegue con un alternarsi di brani che ti riportano in un’Italia che non esiste più, tra l’immediato dopoguerra e i ruggenti anni Sessanta, ma che riletti in chiave odierna, hanno il loro perché.
Ci sono canzoni di grande carica poetica, vedi Cosa sono le nuvole, con il testo scritto da Pierpaolo Pasolini (il titolo del brano era lo stesso di uno degli episodi di Capriccio all’italiana, film del 1967 diretto dallo stesso PPP, dove Modugno vi recitò) qui cantato da Giulia con il prezioso intervento canoro di Marina Mulopulos; o ancora, Piove (Ciao ciao bambina), in azzeccato medley con L’ultimo bacio di Carmen Consoli, dove Mauro Ermanno Giovanardi duetta con Giulia. E ci sono brani come Le farfalle, dove l’ukulele riporta a ritmi latini, per un leggiadro divertissement.
Ancora, canzoni immortali: in ordine di apparizione, Vecchio Frack, pubblicato nel 1955 come singolo a 78 giri, qui, grazie a un’elettronica leggera, chitarra e ukulele si apre armonicamente fino ad assumere le vesti di una melodia spagnoleggiante, che richiama le evoluzioni canore di Silvia Perez Cruz, Meraviglioso, Tu si ‘na cosa grande e Nel blu dipinto di blu, ultima traccia dell’album, chiusura perfetta, dove chitarra e voce con interventi accennati di pianoforte e tastiere trovano una sintesi perfetta. Vale la pena ricordare che Volare! è stato il frutto del sodalizio di Modugno con Franco Migliacci. Il cantautore pugliese lo portò al successo nel 1958 vincendo il Festival di Sanremo e creando così uno dei maggiori exploit della musica italiana nel mondo, si parla di 40 milioni di copie vendute, includendo tutte le versioni successive. Solo negli Stati Uniti nel 1958 il brano vendette due milioni di copie e vinse, unica canzone italiana a esserci riuscita finora, due Grammy Awards…
Giulia, perché un omaggio a Domenico Modugno?
Giulia: «Era un’idea che avevo in testa da tanto tempo e che poi ha portato anche alla realizzazione di Blu Dipinto, spettacolo teatrale che porto in giro con Luca e Andrea Kaemmerle. Modugno mi ha sempre affascinato tantissimo, l’ho sempre visto come una figura quasi mitica, con delle caratteristiche particolari che andavano oltre il tempo, quando io ero bambina lui era già alla fine della sua produzione. Avevo 5 anni quando lui morì, lo ricordo nei filmati in bianco e nero, l’ho sempre visto come un artista proveniente da un’altra epoca che però riusciva ad emozionarmi e per questo mi colpiva. Un cantautore che è riuscito a varcare i confini nazionali, a portare la musica italiana nel mondo e, nel contempo, a rimanere sempre al confine tra realtà e fantasia. Un personaggio che mi ha incuriosito da sempre. Così ho parlato del mio progetto con Luca e lui ha acconsentito a seguirmi in questa avventura».
Gli arrangiamenti sono rispettosi dei brani ma allo stesso tempo molto attuali, c’è freschezza ed emozione.
Luca: «Le canzoni sembrano nate già pronte per essere spostate in molte direzioni, sia spaziali sia temporali. L’idea che abbiamo avuto è stata quella di provare a raccontare una sorta di sogno, di percorso che passa continuamente tra il sonno e la veglia. Quindi ho cercato un mondo un po’ più onirico, rarefatto e anche moderno, evitando di cadere in quel tipo di modernità, come dire, di tendenza. Volevo confondere un po’ le idee!».
Come avete deciso la scelta dei brani? E perché siete partiti con Amara terra mia?
Giulia: «Quella canzone rappresenta l’inizio di un viaggio nell’epoca di Modugno. Era quello dalla Puglia a Roma, oggi è da un Sud del mondo verso un Nord. Noi italiani ce lo stiamo dimenticando, ma siamo stati protagonisti di migrazioni, anche in maniera negativa, di uno spostamento necessario per cercare di trovare qualcosa di meglio. Ci sembrava il brano giusto da cui iniziare per aprire le porte a un viaggio che, come diceva Luca, si muove anche lungo i confini del sogno, dell’incerto, del forse non vero in modo forte. La scelta di utilizzare percussioni, più folk, addirittura tribale rispetto ad altri brani, è stato un modo per renderlo più crudo, di pancia…».
Luca: «Ma allo stesso tempo ipnotico. Giulia non lo dice, però uno dei motivi validi anche per approcciare la canzone con questo arrangiamento è che la sua voce è espressiva e bellissima e dunque, lasciarla libera, non invasa dall’arrangiamento, poteva solo portar bene».
Avete realizzato un medley, L’ultimo bacio, Piove (Ciao ciao bambina) con Mauro Ermanno Giovanardi. Perché questa unione tra tra Sicilia e Puglia?
Giulia: «Perché il brano di Carmen Consoli, artista che adoro, ha preso spunto proprio da Piove (Ciao ciao bambina), un’altra conferma della sua assoluta modernità ed eternità. È una piccola curiosità che magari non tutti conoscono, ma che ha rappresentato un legame ulteriore: mi piaceva l’idea di unire le due canzoni che si parlano, ma che erano rimaste in qualche modo separate. Quindi al posto dell’introduzione reale di Piove, abbiamo inserito il ritornello de L’ultimo bacio, operazione che secondo me rende ancora di più la dimensione dell’onirico e del non rimanere sempre per forza aggrappati alla realtà oggettiva delle cose».
Affrontare brani come Vecchio frack, piuttosto che Nel blu dipinto di blu, non è mai semplice. Come vi siete avvicinati?
Luca: «La consapevolezza del rischio, del timore reverenziale, fortunatamente ce l’ho avuta troppo tardi, quando ho riascoltato il disco alla fine del lavoro. Fino a quel momento avevo proprio giocato come fanno tutti i bambini davanti a un gioco meraviglioso, un po’ bimbo lo sono ancora nell’anima. Quindi, in realtà, è stato molto naturale. Ho preso queste canzoni, le abbiamo lavorate insieme, penso con quello spirito assolutamente libero e senza timore reverenziale. Riascoltandole, alla fine mi son detto: certo, stiamo giocando coi giochi degli adulti!».
Esagerato! Giulia, sei sempre impegnata con l’etichetta/community Musica di seta fondata da Chiara Raggi? Da quando ci siamo sentiti un paio di anni fa cos’è cambiato nel mondo del cantautorato femminile?
Giulia: «Guardandomi intorno sicuramente c’è un po’ di sensibilità sul tema. Tempo fa ho fatto da moderatrice alla presentazione del libro di Federica Pezzoni, musicarpia. Guida femminista per una musica sovversiva e collettiva (editrice le plurali, ndr), si sono costituite anche delle unioni di artiste, un po’ come abbiamo fatto noi, per poter sostenere e gettare una luce nuova sull’ambito del cantautorato femminile, che poi è un’espressione strana che non mi fa impazzire. Dal punto di vista di sensibilità interna qualcosa si muove ulteriormente. Non è semplice poi confrontarsi con l’esterno. Ad esempio, lavorando con i bambini, faccio dei laboratori alle scuole elementari, mi è capitato recentemente, parlando di Lucio Corsi, di Sanremo, di chiedere: Conoscete dei cantautori? E delle cantautrici? Mi sono sentita rispondere anche che “non esistono”. Ho sempre la sensazione che veniamo trattate come una specie in via d’estinzione. Invece sarebbe bello non dover più elencare quante cantautrici ci sono a Sanremo e quindi non rappresentare più una classe speciale…La strada è ancora lunga».
A proposito di Sanremo, mi sembra che questa edizione abbia dato una svolta decisa verso una musica meno da intrattenimento e più emozionale. Siete d’accordo?
Luca: «Da questo punto di vista è stato un Sanremo fortunato, ci ha portato due artisti che da anni ci deliziano con lavori belli e profondi. Non sono ottimista, dico la verità, penso sia più un caso che un valore statistico. Un anno va un po’ meglio, un altro peggio. Sarebbe bellissimo se il mondo della discografia italiana iniziasse a valorizzare maggiormente i cantautori o comunque gli artisti che cercano di raccontare un universo poetico, in qualche modo».
Giulia: «Secondo me la novità è che da parte del pubblico c’è stata una risposta positiva a quelle poche canzoni portate da chi fa musica d’autore rispetto a un’immensità di artisti, che hanno proposto temi più banali. Sarebbe importante che chi decide cosa passa in radio, chi va a Sanremo e chi, poi, può dominare le classifiche, sia aperto anche a questo tipo di richiesta da parte del pubblico, cosa che solitamente non succede».
Cosa vi aspettate da Di Blu?
Luca: «Di unire altri due puntini, mettere cioè un elemento nuovo nel percorso, sfruttando quest’occasione per crescere, migliorare come musicisti, come comunicatori e poi vedere che tipo di incontro tutto questo ci porterà, nel senso più bello di questo termine, incontrare nuove umanità, ascoltatori che ci diano una spinta in più per continuare e pensare al prossimo progetto».
Dalla famiglia Modugno c’è stata una risposta positiva?
Giulia: «Non sappiamo se il disco sia stato ascoltato. Molti anni fa, stavo muovendo i primi passi, partecipai al Festival di Ghedi, dove portai una mia versione di Tu si ‘na cosa grande, il mio primo gancio musicale da artista con Domenico Modugno. La sera della finale scoprii che in giuria c’era il figlio, cosa che mi turbò alquanto. Vinsi la manifestazione e lui mi disse che aveva molto apprezzato la mia interpretazione, visto che ne sentiva molte, ma non tutte gli restituivano qualcosa di positivo. Ne ho fatto tesoro negli anni e sono rimasta molto legata sia al brano, che infatti è nel disco, sia a questo riscontro. Spero che se gli capitasse d’ascoltare il disco possano avvertire, al di là del gusto e del fatto che abbiamo, come diceva Luca, giocato e cambiato le atmosfere di alcuni brani, il rispetto e l’amore con cui abbiamo concepito questo lavoro, che vuole comunque mantenere al centro delle piccole opere d’arte, canzoni eterne che riescono ancora oggi a comunicarci emozioni e a parlarci in modo nuovo».