Mauro Teho Teardo, classe 1966, nato a Pordenone da genitori trevigiani, è uno dei musicisti italiani più eclettici, culturalmente liberi e creativi che la musica contemporanea europea annovera tra le sue fila. Compositore di colonne sonore di film, serie televisive, pièce teatrali (sue quelle di Denti di Gabriele Salvatores, Il Divo di Paolo Sorrentino, Diaz e Prima che la notte, entrambi di Daniele Vicari), da tempo ha stretto un legame con Blixa Bargeld, al secolo Christian Emmerich, musicista di Berlino, fondatore e tuttora membro degli Einstürzende Neubauten, per anni anche nei Bad Seeds di Nick Cave. Li uniscono la stessa visione dell’essere artista, della musica come sostanza comunicativa e non solo pura estetica.
Lo scorso ottobre hanno pubblicato il loro terzo album Christian e Mauro, semplicemente, i loro nomi di battesimo. Cosa che ha fatto pensare a un lavoro introspettivo, dopo Nerissimo del 2016, Still Smiling del 2013 e l’Ep, Spring, pubblicato il primo giorno di primavera del 2014.
Invece no. Spogliati dei nomi d’arte si offrono come nudi testimoni del Terzo Millennio. Due uomini di mezza età, mitteleuropei, che raccontano in italiano, tedesco, inglese e inserti in francese, come ci hanno già abituati, la loro visione del mondo.
Riflessioni che partono dal tutto per arrivare al personale – ascoltate Dear Carlo inteso come il fisico Carlo Rovelli (L’universo continua a superare/ supera ancora le nostre previsioni/ L’universo è intelligente/ con tutto quello che sappiamo fino ad ora/ Non ho una grande opinione/ Se è infinito o no/ potrebbe essere in entrambi i casi…), o Close Up dove si tira in ballo anche il regista Cecil B. DeMille (Da Schöneberg all’Islanda/ Da Boston a casa/ Da Pordenone/ a Canberra/ Ho avuto bisogno di deviazioni).
Il nucleo del lavoro è, a mio modo d’ascoltare, Bisogna morire, attinto dalla Passacaglia della Vita, brano seicentesco del romano Stefano Landi, riarrangiato e riscritto per adattarlo al nostro tempo. Blixa elenca in tedesco le professioni gettonate di oggi: l’influencer e la danzatrice di Tik Tok nuda, il giocatore e il podcaster, il conduttore di quiz e talkshow… potete essere famosi, guadagnare tanto ma sempre lì finirete… All’interno della passacaglia c’è il frammento di un brano che ancora oggi divide l’Italia, Bella Ciao. Una cellula appena, per ribadire l’intenzione della canzone…
Musicalmente è un lavoro complesso suonato dalla prima all’ultima nota, coadiuvato da una elettronica coesa, una sorta di marchio di fabbrica del duo. In Mi scusi, primo brano del loro primo album Still Smiling, il violoncello e la chitarra baritono ritmano come un pendolo incantatore la melodia. Stessi strumenti li troviamo protagonisti in Starkregen, primo brano in Christian e Mauro. Tra i musicisti che hanno partecipato alla registrazione del disco, oltre a Laura Bisceglia e a Gabriele Coen, anche la violoncellista Giovanna Famulari, raffinata artista apprezzata nel Morabeza Tour di Tosca, e la violinista Erica Scherl, di cui voi ho parlato qui.
Perché Christian e Mauro?
«È un titolo che volevamo dare al secondo album, ma non combaciava con il disco. Quindi siamo rimasti su Nerissimo. Invece, in questo caso, ci sembrava ci fosse un senso in tutto questo».
Come avete montato questo lavoro?
«È una raccolta di canzoni che abbiamo scritto in un periodo piuttosto lungo, sono passati otto anni dal disco precedente. Abbiamo iniziato a lavorare nel 2018 e poi è successo un po’ di tutto. All’epoca sembrava che la cosa peggiore che potesse succederci fosse la Brexit e poi invece c’è stata la pandemia che ha complicato – e anche devastato – tutta una serie di questioni legate a chi, come noi, viaggia in continuazione per la musica. Ci sono state due guerre in mezzo che non sono a finite. E nemmeno i disagi per la pandemia sono finiti. Prova a volare per lavoro e te ne accorgi! È un mondo decisamente diverso quello che abbiamo adesso da quello quando abbiamo iniziato a scrivere. In qualche modo siamo immersi in questo tempo e il disco accoglie anche tutta una serie di aspetti di questi anni qui che sono quelli che sappiamo».
Il monito della passacaglia, Bisogna Morire, è una tautologica sintesi dei nostri tempi?
«Ma, guarda, Ennio Morricone mi aveva detto più volte che avrei dovuto scrivere una passacaglia, perché nella mia scrittura c’erano diversi elementi che portavano lì. E così ho cominciato a rifletterci a studiarne la struttura. Un giorno Blixa mi fa: “Ma perché non facciamo una passacaglia? E io: “Anche tu me o dici?”. Così entrambi siamo atterrati dolcemente sulla medesima passacaglia che è la Passacaglia della Vita (scritta da Stefano Landi, compositore vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, ndr) che però abbiamo trasformato in qualcosa che ha a che fare con il momento. Perché se la passacaglia affronta la morte, nonostante il titolo, in maniera non affatto triste, questa ha qualcosa di fortemente democratico e comunque qualsiasi cosa uno faccia alla fine, ricco o povero che sia, acculturato o ignorante, morirà! Blixa ha inserito in questo testo una parte di testo scritta ad hoc che è in tedesco e fa rima con le parole in italiano, ed è un elenco di professioni contemporanee, che è un bel modo di guardare al presente dicendo ok, ballerino di Tik Tok, influencer su YouTube, comunque alla fine bisogna morire. Stabilisce un’altra prospettiva sull’oggi».
Apro un parentesi sulla catalogazione del vostro disco… Sulle piattaforme streaming è segnalato come musica elettronica…
«Lo so, sono definizioni da… sempliciotti, però è inevitabile che l’elettronica abbia un ruolo determinante. A esser precisi, anche un disco di musica classica è interamente digitale dal punto di vista della produzione. Il significato della parola elettronica sfuma, da anni ormai è un termine che vuol dire sempre di meno. È un aspetto interessante, perché quando non funziona più la parola per descrivere qualche cosa, significa che quella cosa lì sta cambiando, diventa altro. Questo secondo me è un suggerimento per trasformarsi nella musica, per cambiare, per non stare sempre fermi lì coma una stupida definizione di una piattaforma».
Quindi il disco come lo definiresti?
«I dischi li faccio non li definisco, e soprattutto nei miei dischi mi piace contraddirmi. Inevitabilmente è un lavoro che ha molto a che fare con un processo elettronico di realizzazione, ma parte molto spesso da strumenti tradizionali, violoncello, clarino basso, chitarra baritona, quartetto d’archi, molte sorgenti sonore sono acustiche; in modo completamente indifferente utilizzo dei sintetizzatori e degli archi. Non mi domando mai se deve essere elettronico, acustico, elettrico. La cosa che mi chiedo è: dove posso andare adesso?».
E dove stai andando?…
«A me interessa la musica, non i generi, gli “abiti musicali”, le parrocchiette, i conventi. È il motivo per cui sono quarant’anni che suono: la musica spesso è una questione di spostamenti, dove puoi portare una cosa da un punto a un altro e far succedere qualcos’altro. Continua ad affascinarmi tutto ciò, quindi, fino a che succede io sono qua».
Hai composto tante colonne sonore, quel bellissimo disco nel 2020 Ellipses dans l’Armonie – Lumi al Buio… sei in un continuo progredire!
«Sì perché mi annoierei a star fermo allo stesso punto. Con la musica c’è la possibilità di ritrovarsi in un altrove e quindi di cambiare un po’ e di vedere come si può reagire. Ed è un’occasione sempre molto attraente per me».
Cosa pensi, se posso chiedertelo, della musica italiana in questo momento?
«Non ho mai ragionato con la carta geografica per la musica, non ho mai pensato alla musica italiana. Se pensi alla musica italiana, belga o francese che sia innesti un’idea di provincialismo che non fa bene alla musica per cui vorrei pensare come minimo alla musica che si fa in Europa. Per indole personale cerco il più possibile di stare lontano dalle banalità, dalle cose scontate, dai luoghi comuni della musica che appartengono a qualsiasi parte del mondo. Non ho l’atlante in mano quando mi occupo della musica perché prima di tutto sono un ascoltatore, continuo ad andare nei negozi a comprare i dischi e ad ascoltarli».
Ok, d’accordo, ma non trovi che ci sia una semplificazione che coincide con una superficialità culturale?
«Stiamo attraversando un momento storicamente e culturalmente molto compresso. Spesso, ahimè, la prima reazione è quella di semplificare le cose invece di affrontare la complessità. Io invece continuo a trovare la complessità affascinante. Creo sia un modo per non affrontare la realtà, c’è una componente di evasione. È anche una questione politica e filosofica».
Siete partiti per un tour bello denso in italia e in Europa. Cosa vi aspettate, ho visto che ci sono date prossime già sold out?
«Al momento la ricezione dell’album è stata eccellente. Questo mi rende fiducioso e mi auguro che anche il tour possa ottenere un riscontro positivo. Poi si vedrà. Siamo partiti il 19 novembre da Roma, città gigantesca ma che ai concerti che a me piacciono risponde sempre malissimo. Forse dovremmo cominciare a domandarci qualcosa in proposito».
In che formazione andrete?
«Dal vivo con noi suonano ormai da molti anni Laura Bisceglia al violoncello e Gabriele Coen al clarino basso (a proposito di Coen, vi consiglio di ascoltare Sephardic Beat, album uscito lo scorso anno suonato con il suo quintetto, ndr). E poi in ogni concerto c’è un quartetto d’archi che suona con noi».