C’è più di un motivo per ritagliarsi questo fine settimana a Cittadella, in provincia di Padova. Va in scena, infatti, la quarta edizione del Cittadella Jazz (dal 30 agosto al primo di settembre) una tre giorni, intensa e divertente, fatta di concerti, la Magicaboola Brass Band che percorre il centro cittadino in stile New Orleans, e una mostra fotografica, ovviamente dedicata al jazz – 4/4 in Jazz – firmata da Roberto Ciffarelli, una delle belle conoscenze di Musicabile, inaugurata il primo agosto al Palazzo Pretorio.
Dunque, organizzatevi e partite! Anche perché, sul palco della Jazz Arena Campo della Marta (vi consiglio una passeggiata sulle mura fortificate alte 15 metri che cingono il paese) l’edizione 2024 prevede due interessanti ritorni, quello di Francesco Baccini che canterà e suonerà con Mauro Ottolini e la sua Orchestra Ottovolante (Andrea Lagi e Paolo Malacarne alle trombe, Matteo Del Miglio al trombone basso, Emiliano Vernizzi al sax alto, Stefano Menato al sax tenore, Corrado Terzi al sax baritono, Oscar Marchioni alle tastiere, Marco Bianchi alla chitarra, Giulio Corini al contrabbasso, Luca Colussi alla batteria e Valerio Galla alle percussioni) e i fiorentini Dirotta su Cuba, formazione funky crossover composta da Simona Bencini, voce, Luca Iaboni (tromba), Donato Sensini (sax eflauto), Stefano Profazi (chitarra), Emiliano Pari (tastiere), Patrizio Sacco (basso), Vincenzo Protano (batteria). Ci saranno anche il trio Furian-Dalla Cort-Malaman assieme al sassofonista Rosario Giuliani e, il quintetto Cosmic Renaissance del trombonista Gianluca Petrella con Mirco Rubegni (tromba ed effetti), Riccardo Di Vinci (basso elettrico), Federico Scettri (batteria), Simone Padovani (percussioni).
Un weekend di musica tra jazz e crossover davvero intenso, come avete potuto leggere, che mi ha offerto l’occasione di fare una lunga chiacchierata con Francesco Baccini, cantautore irriducibile, che dell’ironia e del sarcasmo ha fatto la sua cifra stilistica. Classe 1960, il pianista genovese sarà sul palco con il mitico Otto e gli Ottovolante. Mauro è un’altra delle incredibili conoscenze di Musicabile, uno di quei musicisti veri, creativi e fuori dagli schemi che mi piacciono tanto e che rappresentano il meglio della musica italiana, artisti che potrebbero benissimo essere mainstream se solo ci fosse più attenzione all’arte e non al soldo da parte degli addetti ai lavori.
Baccini fa parte di questa categoria, solido e irriducibile: «Il problema è che sono spariti gli artisti, la televisione da oltre vent’anni lancia personaggi improbabili, tutti dilettanti allo sbaraglio. La figura dell’artista è stata sostituita dal personaggio. La musica è una cosa seria! Qui assistiamo a un giochino ridicolo ogni giorno», premette. Per continuare: «Ormai non seguo più il mercato musicale non perché sono diventato uno snob ma semplicemente perché non mi piace». La gavetta per lui è stata dura. Per inseguire il suo sogno è venuto da Genova a Milano nell’87 e, non si vergogna a dirlo, ha dormito spesso in macchina. Dopo il successo che lui definisce “nazionalpopolare” ha vissuto la sua vita sempre scegliendo il meglio non per lui ma per la musica. Di quella fama racconta: «Mi ha spaventato. Non volevo che mi imponessero un disco uguale all’altro solo perché il precedente era piaciuto e aveva venduto bene. Ancora oggi rivendico il diritto alla creatività e all’espressione! Se non mi vengono le canzoni non faccio un album tanto per dire che esisto. Il mio ultimo disco di inediti è del 2008».
E così è capitato che ha conosciuto il rocker cinese Cui Jan, simbolo “musicale” della rivolta di Piazza Tienanmen che lo ha invitato in Cina: «Avevo la fila ai botteghini dei teatri. I cinesi amano la lingua italiana, perché è musicale», ricorda. Poi ha fatto Baccini canta Tenco, altra avventura che lo ha portato in tour nei teatri per tre anni consecutivi. Non s’è fatto mancare nemmeno un lavoro con Sergio Caputo, Chewing Gum (The Swing Brothers) «dove ci siamo divertiti un sacco, autoprodotto», spiega. Quindi la musica per il cinema, la colonna sonora di Credo in un solo Padre del regista Luca Guardabascio, album uscito con il titolo Baccini Project, per finire nel 2023 con Archi e Frecce, lavoro ancora diverso, dove ripercorre alcuni dei suoi brani più intensi con un quartetto d’archi, le Alter Echo String Quartet.
Com’è nata la collaborazione con Ottolini?
«Ci siamo conosciuti in una trasmissione su Radio2 che faceva Morgan, tre o quattro anni fa. Morgan mi aveva invitato a una puntata su Tenco e lì c’era un’orchestra che suonava dal vivo con il pubblico che ascoltava. Mauro la dirigeva. Mi ha subito detto: “Dobbiamo fare qualcosa insieme”. Con domani è la terza volta che suono insieme a lui. Una collaborazione estemporanea che ci diverte molto. E poi ho scoperto che nell’orchestra di Mauro c’è un ex Ladro di Biciclette, Corrado Terzi, non ci vedevamo dall’epoca di Sotto questo sole».
Proporrete cose tue?
«Sì sì! Un mio concerto con gli arrangiamenti di Mauro. Dentro ci sono un paio di cover, come un brano di Tenco».
Lo scorso anno hai pubblicato Archi e Frecce con un quartetto d’archi… Sei un musicista in perenne ricerca!
«L’ho fatto con le Alter Echo String Quartet, formazione genovese che ho conosciuto una decina di anni fa. Anche con loro ci eravamo ripromessi di collaborare e finalmente, lo abbiamo fatto l’anno scorso. Sai di chi è “la colpa” di questo progetto? Di Lucio Dalla! Durante il Covid facevo una sorta di trasmissione su Twitch che ho chiamato Farmacia Musicale Notturna, in diretta passavo musiche, filmati di concerti. A un certo punto mi becco l’ultimo tour di Lucio fatto la sera prima di morire, a Montreux, con un quartetto d’archi, un contrabbasso, un pianoforte e lui al clarinetto. Se tu senti le versioni dei suoi pezzi, anche storici, dopo non puoi più ascoltare i pezzi originali contenuti nei suoi dischi. Avevano un’emozionalità incredibile. Lì ho ritrovato il Lucio Dalla di quando lo avevo scoperto a 17 anni: allora andammo a sentirlo con la scuola. Era il periodo di Nuvolari e Lucio non era così popolare. Fece un concerto pazzesco, era con gli Stadio. Durante il concerto suonava, faceva il mattatore, puro cabaret».
Hai anche suonato con Dalla…
«Il mio primo concerto davanti tanti spettatori è stato con Lucio Dalla. Allora avevo un contratto con Caterina Caselli che però di me non aveva capito niente. Facevo canzoni ironiche e lei mi diceva che, essendo genovese, dovevo fare musica più seria, sulla scia della scuola dei Tenco, Lauzi, Paoli. All’interno della casa discografica c’era però uno che aveva capito tutto di me. Pensa che non volevano che suonassi il piano perché dicevano che non andavo a tempo con il click del computer. Vabbè… Con una scusa mi fece andare a Roma e mi ritrovai davanti a un pianoforte e a un signore che mi disse: “Suona, fammi ascoltare”. Io feci il mio repertorio alla Dorelli e poi miei brani. Lui si alzò e telefonò subito alla Caselli. Era Vincenzo Mollica. Grazie a lui feci il mio primo album Cartoon e la cover fu un disegno dello stesso Vincenzo. Per la mia carriera Mollica è stato fondamentale. Ritorno al concerto. Chi lo organizzava, in un paesino dell’Irpinia, era l’allora capo struttura di Mollica in Rai Uno, originario da lì. La sera in cui dovevo suonare piovve. Mi disse: “Baccini mi stai simpatico, se stai fino a sabato ti faccio suonare con Lucio Dalla”. Così fu. Era l’anno de tour Dalla/Morandi, diecimila persone al concerto, chi le aveva mai viste! In quegli anni ero fisicamente uguale a Luigi Tenco, e Lucio, suo grande amico, appena mi vide mi fissò perplesso, poi si mise a ridere e parlammo un po’. Al concerto fece cinque pezzi e poi mi annunciò al pubblico: silenzio assoluto, nessuno mi conosceva! Mentre salivo sul paco mi disse: “E adesso son cazzi tuoi!”. Dovevo suonare quattro pezzi, ne ho fatti dieci, la gente continuava a chiedermene di nuovi. Così Lucio mi invitò all’ultimo concerto del tour. Con lui nacque un’amicizia, tanto che voleva produrmi il secondo album, Il Pianoforte non il mio Forte. Venne addirittura a Genova in casa di mia mamma per chiedermelo, ma declinai perché avevo la mia squadra, Andrea Braida che suonava di tutto, Lele Melotti alla batteria e io al piano. Fare un album con Lucio voleva dire buttare via la squadra e il mio sound. Glielo dissi e lui mi rispose: “Avrei fatto anch’io così!”».
E siamo al punto! Il cantautorato oggi dov’è e cosa sta facendo?
«Non esiste più, è roba del secolo scorso. Se mi dicono che Ultimo è un cantautore, va bene, ma non è vero semmai è un autore pop, un’altra cosa».
Come rap e trap nostrane che voglio far passare per il nuovo cantautorato…
«Non c’entrano niente, non c’è alcun legame. Io sono uno degli ultimi dei Mohicani, dopo di me sono arrivati Bersani, Capossela, ma siamo tutti di quel periodo lì, poi c’è Brunori, il gruppo dei romani con Silvestri, tutti della prima metà degli anni Novanta. Dimmene uno degli anni Duemila! Anche perché la musica che gira intorno non è quella dei cantautori, non lo è da tanti anni. Poi, chiaro, ne muore uno e tutti lo piangono e iniziano a riascoltarlo e vien fuori che tutti sono i suoi più grandi fan, una cosa ridicola! Alle radio e ai network i cantautori sono sempre stati sui coglioni. Perché è una musica da ascolto. Non sono radiofonici, ci deve essere la batteria a una certa velocità in modo da attaccare un pezzo all’altro. Uno Come Paolo Conte non può essere radiofonico, è l’esatto opposto. Intanto i cantautori cercavano di adattarsi a questo nuovo trend. Lo ha fatto lo stesso Dalla. La musica d’ascolto in Italia non esiste più da almeno 30 anni. Oggi è un’arte di nicchia, come il teatro».
Non facciamo i vecchiardi, visto che abbiamo una certa… ma oggi la musica cos’è diventata?
«Su Facebook ho fatto un post: con l’età spesso passa la curiosità soprattutto per la musica che ti gasa da ragazzo ma che poi non ti attira più. Io invece sono onnivoro, soprattutto per cose che arrivano dall’estero, in Italia bisogna andarle a cercare come aghi nei pagliai. Purtroppo il nostro Paese a livello cultural-musicale è sottoterra, per esempio, non esistono produzioni musicali vere in tv…».
Ma non esistono nemmeno discografici che rischiano…
«Vero, il motto è prendi i soldi e scappa subito. Anche una volta trovavi uno che faceva successo con un pezzo e basta. Però facevano un contratto per cinque album, investivano su un artista per uno spazio di tempo ampio. Oggi se tu buchi il primo singolo non fai nemmeno il secondo, Ti mettono addosso una pressione sovrumana e ogni volta devi cercare di fare il colpaccio numerico. Purtroppo oggi il fattore musicale su un artista è un di più. Quando sentivo Hendrix o i Pink Floyd non guardavo che camicia avessero o se fossero fidanzati con qualche modella, come quando ascoltavo i Queen: che Freddy Mercury fosse gay non mi interessava per niente. Era la musica l’importante, quello che facevano artisticamente. Per pubblicare un album nuovo e farti notare dovresti rapire il papa con il cd in mano! La verità è che l’argomento musica interessa pochissime persone, contano gli optional, se sei bello o brutto, di che sesso sei, se ti sei tatuato abbastanza… l’esteriorità. Ma ciò che rimane di un musicista alla fine è la sua musica, il tempo è l’unico vero giudice. Se hai fatto una produzione che vale fra 30 o 40 anni ci sarà sempre qualcuno che ascolterà e dirà, ma questo quanto era figo!».
Perciò sei sempre stato rigoroso con la musica…
«Non derogo, ho lasciato una multinazionale per evitare tutto questo, pretendeva che cambiassi modo di suonare. Devo fare cose che piacciono soprattutto a me, non posso adeguarmi al consumismo. Prima i network, poi la tv ora i social, ormai non puoi che conformarti, su qualsiasi argomento è un derby, curva nord contro curva sud. Non puoi più fare una discussione perché non c’è lo spazio. Quello che dovrebbe essere il massimo della democrazia diventa una sorta di dittatura dell’esperto da bar, il tuttologo che giudica senza sapere nulla. Vedrai: tra cent’anni, sarà ancora peggio».
C’è però una piccola schiera di artisti che salverà la musica. Ne sono convinto…
«Ne dubito, perché la maggioranza la pensa in altro modo. Così è anche in politica dove vive il “menopeggismo”. E io mi sono rotto di tutto questo, quindi mi sono ritirato, rimpiangendo persino la prima Repubblica! Anche i concerti sono cambiati: la gente non ci va per ascoltare ma per dire io c’ero, testimoniato dai selfie, ovviamente!».