Moreno Conficconi e Romagna 2.0: con gli E-Wired Empathy rinascerà il Liscio

Moreno Il Biondo Conficconi – Foto Elisa Magnoni

Si appassiona mano a mano che racconta, è un fiume in piena. Aperto, solare, curioso. Moreno Conficconi, conosciuto come Il Biondo, 66 anni, calca i palchi da quando di anni ne aveva 14. Clarinettista dell’orchestra Casadei «abbiamo fatto 330 serate all’anno per 15 anni», mi racconta, sta vivendo una seconda vita artistica. Dopo l’esperienza con gli Extraliscio s’è imbarcato in un progetto in cui crede fortemente. 

Ne va della salvezza e della nobilitazione del Liscio, musica da ballo, fieramente da sagra paesana e poco d’ascolto. Una tradizione radicata soprattutto nella sua Romagna. Il liscio ha un’anima musicale forte, basta saperla scoprire e aprirsi al dialogo con musicisti di altra estrazione. Con questo spirito esce proprio oggi Romagna 2.0, album che Il Biondo firma con gli E-Wired Empathy, una vecchia conoscenza di Musicabile. Apparentemente due realtà incomunicabili. Apparentemente… In realtà il disco che vi consiglio di ascoltare attentamente e senza pregiudizi dà il via a una nuova rilettura di una musica folclorica che ha un peso nel nostro Paese. Come è stato per la Taranta Salentina, quando Stewart Copeland, storico batterista dei Police, si innamorò a tal punto da farne uno spettacolo che ha portato in giro per il mondo.

Ve ne avevo parlato proprio poco tempo fa, intervistando Antonio Castrignanò.«Siamo qua a dimostrare come il liscio possa andare fuori dai confini regionali, come una realtà vera», sostiene Moreno. E, ascoltando il brano che dà il titolo all’album, Romagna 2.0, si capisce che quest’operazione è sulla buona strada. Il classico walzer da balera diventato un inno alla romagnolità, si trasforma in altro, pur mantenendo intatto il corpo, bastano poche note a richiamarlo, fatto di improvvisazione e di dialogo, quello che oggi tra i jazzisti è molto in voga chiamare “interplay”. 

La musica non ha confini, si dice sempre, la contaminazione è l’humus su cui germogliano le idee. Però, per arrivare a questo, ci vogliono due paroline magiche: rispetto e ascolto. Non tutti i musicisti ne sono provvisti. Molti non sanno nemmeno di avere queste doti. È il caso di Moreno che è riuscito a tirar fuori da quel suo clarinetto in do suonato morbidamente, un mondo di note che ha stupito lo stesso musicista. Gli E-Wired Empathy, ovvero Giovanni Amighetti, Luca Nobis, Roberto Gualdi e Valerio Compass Bruno con l’inserimento di ospiti scelti non a caso come la straordinaria congolese Gasandji, hanno scelto questa via per fare musica. Diverse estrazioni e un unico obiettivo suonare ascoltando l’altro, lasciare via libera all’improvvisazione e alla creatività. «Giovanni mette insieme figure che hanno la capacità di parlare la stessa lingua, è il vero produttore musicale di una volta», dice Moreno di Amighetti. «Alle nuove leve italiane, credo che manchi questa empatia», sostiene l’artista.

Tornando al disco: otto brani per 56 minuti d’ascolto con un medley finale di 29 minuti e 27 secondi Viaggio nella Musica Popolare, quasi una suite come si usava negli anni Settanta, che potremmo definire “liscioprog”, il folk italiano riassunto e suonato con quel clarinetto che riesce sempre a stupire. Se volete ascoltare Moreno e gli E-Wired annotate in agenda il 14 settembre, in occasione de La Notte del Liscio a Gatteo a Mare, il paese di Moreno. «Ti tocca venire in Romagna!», “minaccia” Il Biondo con quell’allegria contagiosa tipica dei romagnoli.

Moreno, il tuo clarinetto è distintivo, lo si riconosce subito!
«C’è una cosa che ti devo dire, sono l’unico ad avere e utilizzare in maniera così distintiva il clarinetto in do. È suonare con un concetto ampio di interpretazione e cura del suono che fa la differenza. Il clarinetto in si bemolle ti mette in una posizione di ascolto di esecuzioni “molto obbligate”. Il clarinetto in do lo suono da quando ero ragazzino, ne conosco tutti i difetti – perché ne ha tantissimi. Ho trovato una bella combinazione con Patricola (azienda della provincia di Alessandria che costruisce oboi e clarinetti artigianali, ndr): mi hanno fatto uno strumento curato, col legno giusto, unico. Sono felice che a fine carriera sto facendo cose che non avrei mai pensato di fare…».

A fine carriera, esagerato! Quanti anni hai?
«Ne ho 66, di cui 52 passati sui palchi a suonar Liscio!».

Veniamo a Romagna 2.0, il brano che dà il nome al disco. È un piccolo capolavoro! Come s’è evoluto dal classico walzer a quello che è diventato ora?
«Credo che il segreto stia proprio nella parola Romagna. Romagna è accoglienza turistica, il carattere che ereditiamo con il nostro DNA ci porta a essere così, lo siamo anche nella musica. Per ora, come musicisti di liscio, siamo stati sempre sotto traccia. Ho avuto anche l’occasione tramite Elisabetta Sgarbi, gli Extraliscio e Riccardo Muti con la sua orchestra giovanile Cherubini, di eseguire tante esperienze straordinarie che però non mi permettevano di farne una fondamentale, cioè intrattenere un dialogo musicale con musicisti di altra estrazione e cultura. Sapevo di avere delle cose da dire ma non potevo esprimerle con chi è del mio stesso mondo musicale. Non per il livello ma per la formazione. Il liscio – come la musica classica – va eseguito per com’è, non puoi cambiare il pezzo che è stato scritto in quel determinato modo. Ti è concesso solo interpretarlo, perché da romagnolo sai dove vanno gli accenti, sai dove cade il battere che deve essere rigoroso e quantizzato, perché è quello che fa ballare. E poi il clarinetto in do fa danzare anche senza batteria, basso e chitarra! Da un lato è straordinario, dall’altro ti preclude tutto il resto».

Con questo disco dimostri il contrario…
«Sono stato fortunato, mi sono fatto conoscere anche sotto altri aspetti e per questo ho incontrato sulla mia strada musicisti che mi hanno permesso di capire come il Liscio poteva entrare sui loro passaggi e sulle loro armonizzazioni. Romagna 2.0 è proprio il disegno musicale di questo racconto. Parte con un’atmosfera creata da una chitarra straordinaria, quella di Luca Nobis, mentre Roberto Gualdi viaggia sul ritmo di un trequarti che c’è e non c’è ma è lì presente, io ce l’ho perché ho il battere e lui no. Siamo tutti incrociati, con Amighetti che viaggia in una risposta futuristica di quello che è un mio fraseggio che ricorda Romagna mia, e, quando arriva il momento del ritornello, ognuno si crea il suo. Il liscio è una musica che abbiamo sempre donato a quelli che ballano, questa volta l’ho offerto ai musicisti che lo suonano. Tutto questo mi emoziona, spero che il lavoro possa essere capito e servire al progetto di tutti coloro che lo vogliono iscrivere nel Patrimonio Immateriale dell’Unesco. Ho capito che se non si imboccano percorsi come questo che portano a diversi sviluppi e nuovi racconti non andremo molto lontani. Bisogna raggiungere l’estero con un messaggio da… estero, perché se lo proponiamo come un walzer o un polka, non diciamo nulla di nuovo per molti stati europei…».

Vedi Austria e Germania…
«Infatti, abbiamo imparato proprio da loro! Il liscio è arrivato da una musica già esistente. Lo ha portato in Romagna Carlo Brighi, violinista dell’Orchestra di Toscanini, l’ha perfezionato e cementato Secondo Casadei, e poi è diventato quello che è oggi. Ora dobbiamo far patrimonio di tutto quello che è diventato».

Da sinistra, Valerio Combass Bruno, Giovanni Amighetti, Moreno Conficconi, Luca Nobis, Roberto Gualdi – Foto Elisa Magnoni

Cos’ha di meno il liscio rispetto alla Taranta, considerata una musica del mondo?
«La vedo così. Parliamo di folklore: se andiamo verso Napoli siamo lontani anni luce, perché lì c’è la cultura dei testi e della musica. Sulla Taranta possiamo esserci, visto che parliamo di un ballo con dei testi popolari com’è il nostro liscio. Solo che a noi è mancata la fortuna di aver incrociato altri artisti che hanno capito il valore di questa musica. Ti faccio un esempio recente: invitato da Roberto Gualdi, è venuto a trovarci a Gatteo a Mare in occasione di un nostro concerto con gli E-Wired Empathy e Gasandji, Dave Weckl (uno dei più bravi e influenti batteristi in attività, ndr): è rimasto positivamente scioccato dal suono di questi pezzi di folclore, dall’uso della batteria, dal dialogo tra tutti gli strumenti. Per questo dico che ci manca la fortuna, dobbiamo arrivarci, grazie ad Amighetti e anche a voi, che scrivete di queste cose. Dovete provocarci, andare a beccare questo stile di musica sui nostri arrangiamenti originali da Brighi a Secondo Casadei. Dopo è il livello musicale che lo trascina, com’è successo con Romagna 2.0».

Come ti sei trovato con gli E-Wired Empathy?
«In Giovanni Amighetti ho trovato un folle talent scout: per suonare con loro deve esserci quell’accoglienza e disponibilità che io, da romagnolo e per carattere ho sempre avuto. La definirei un’accoglienza musicale, che va ricambiata, donandosi. Non sapevo che loro suonassero così. Ho lavorato con musicisti di altissimo livello. Quello che sta per arrivare alla nostra musica folcloristica è proprio il percorso che la Taranta ha già fatto. E-Wired Empathy sarà il gruppo che eleverà il liscio. Con gli Extraliscio abbiamo tentato questo passaggio. Io e Mariani abbiamo dialogato tantissimo su questa ricetta, però poi vengono fuori i limiti delle persone, sia io sia lui eravamo due scatole che comunicavano restando però agli opposti. Ci è mancata la capacità di rispettarci e volerci bene musicalmente. Lo dico al plurale perché le colpe sono sempre da dividere in questi casi. Con gli E-Wired Empathy la regola parte dall’empatia, il capire che mentre lui suona, io ascolto e viceversa».

E con Gasandji come è stato?
«Mi ha fatto ascoltare la sua voce, il suo modo di cantare e mi è venuto fuori un fraseggio che non pensavo di avere; mentre suonavo pensavo all’Africa, al modo in cui i popoli di quel continente si relazionano con la terra. L’incontro con questi musicisti mi ha fatto tirar fuori linguaggi sconosciuti. Non ho studiato jazz, da ragazzini ci siamo mangiati i dischi di Henghel Gualdi, però  il jazz non l’ho mai studiato per davvero…».

Con gli E-Wired è solo l’inizio dunque!
«Siamo in costante creazione, registriamo tutti i live, perché questi sono la nostra verità. Suonando in questa maniera, infatti, non sappiamo dove andiamo, riascoltandoci fissiamo la nostra creatività».