Petardo: ansie, paure e battaglie nel disco Panfobia

Panfobia. Una vaga, costante paura di tutto. Le angosce di questo tempo, tra virus, guerre, incertezze sono uno stimolo per gli artisti. Riccardo Salvini, Petardo in uno dei suoi moniker, è un polistrumentista piemontese, uno che prende con rara passionalità il ruolo di artista. Mettere in scena un lavoro dove prevale il suono di una chitarra e la voce di Riccardo incapsulati in un notevole arrangiamento – opera di Maurizio Borgna – realizzato solo utilizzando synth modulari, significa crederci incondizionatamente, senza strizzare l’occhio a nessuno, nemmeno a i tuoi fan. 

Un ambiente cupo, dunque, che apparentemente non concede spazio alla speranza. Panfobia è un racconto della desolazione umana dove la musica e i testi scatenano visioni  dark nelle quali prevale il bianco e nero. Avete presente i film di Hitchcock? Visivamente siamo in quella direzione. Paura di essere se stessi, paura di vedere il mondo Dio non ci guarda/ Acceca il futuro e le vittime/ Nutre e poi uccide la Bestia che è dentro te (canta in Necromante).

Scuola cantautorale con testi molto attenti ed elettronica British con una predilezione per l’Albarn ispirato al filo del psichedelico, tensione, mai un attimo di pace ne fanno un lavoro che vale pena mettere in cuffia: 33 minuti, una sequenza precisa nei dieci brani che compongono l’album: Il Nemico che avanza; Eterno Riposo; La Vendetta; Oltre la Terra di Nessuno; Necromante; Bestie; Deboli, Vacillanti Difese; Fobia Aurea; Ritrovato e Perduto; Chi Firmerà la Resa?

Leggete il testo dell’ultimo brano: Chi Fermerà La Resa?

Ora, amici miei, noi sappiamo che
L’ultima battaglia verrà combattuta quando ormai da difendere
Sarà rimasto ben poco quasi niente
E la disperata resistenza avrà semplicemente lo scopo
Di farci arrivare ancora vivi
Non al giorno, ma al minuto dopo
Per ognuno saranno diversi i corpo a corpo conclusivi,
Più o meno lunghi o sanguinosi o feroci,
Ma ciò che accomuna le nostre voci,
Miei compagni di viaggio, è che alla fine…
All’infrangersi dell’ultima estrema difesa
Chi isserà la bandiera bianca?
Chi firmerà la resa?

In tutto il lavoro come nota lo stesso Riccardo nella presentazione del disco, il disco è composto da due livelli narrativi: «Il primo, guidato dalle canzoni, legato all’emotività, a un racconto immaginifico – ma ancorato alla realtà – delle visioni distorte indotte dalla fobia. Il secondo, condotto dalle letture, pone l’ascoltatore in una condizione di immedesimazione: un essere umano ripercorre le fasi della sua vita, utilizzando metafore belliche per rappresentare l’universale lotta contro il Tempo. I due piani narrativi si intrecciano, si mescolano e si influenzano reciprocamente, insieme fino alla Fine».

Riccardo, lavoro piuttosto complesso di introspezione umana…
«La paura è un elemento presente più che mai nella vita di ogni giorno. Per capirla ci sono andato dentro… un modo personale per parlare con me stesso, ma penso sia un messaggio valido per tutti. È stato un disco che ha avuto un lunghissimo processo creativo. I testi all’inizio, nel 2015, li avevo scritti in inglese per essere musicati ed eseguiti da una band rock…».

Panfobia è una paura totalizzante, perché hai voluto evidenziarla?
«È una sensazione onnipresente, non riesci a capire il perché di queste ansie, angosce profonde. Per questo nei testi non esiste una paura specifica ma ho dato diverse sfaccettature di diverse paure».

Dicevi che avevi scritto il disco per essere suonato da una rock band, invece hai ripiegato su un minimalismo quasi assoluto…
«Il rapporto con Maurizio Borgna mi ha illuminato. L’uso con i synth modulari è stato azzeccato e lui è un musicista veramente bravo. C’è una matrice psichedelica presente in tutto l’album, come avrai potuto sentire. Una sorta di cantautorato 2.0!».

È il tuo primo disco solista, visto che da sempre collabori con numerose band, Indianizer, Foxhound, Talky Nerds, Love Trap…
«Sì, anche se continuo a credere fermamente che la strada collettiva nella musica sia quella più formativa. Solo dopo aver suonato per 15 anni in gruppi mi sono sentito pronto ad affrontare un disco da solista. Il confronto con più musicisti in una band ti aiuta a capire cosa tu pretendi dagli altri e cosa gli altri pretendono da te».

Nella musica, soprattutto quella mainstream, si tende a essere molto “solisti”…
«È una evoluzione: nei giovani vedo poca curiosità di vivere un mondo in cui prevalgano i contatti umani e non social, in cui si formi un’identità di percezioni dei fatti, anche se sono convinto che ci sia un’attenzione verso questioni politiche, dall’ambiente alla sostenibilità».

I cantautori – e ce ne sono parecchi di bravi –  non riescono a uscire dal loro mondo di aficionados
«I cantautori non si affermano proprio perché sono tali. In Italia c’è una tendenza a ragionare sul singolo, c’è il bisogno di creare il culto del personaggio. Invece sarebbe utile una visione collettiva più condivisa, soprattutto nella musica e nell’arte».

Che cosa vorresti come artista?
«Più pubblico, vorrei vedere più pubblico. Se ne sta parlando tanto in questo periodo, soprattutto dopo i due anni di chiusura causa pandemia. Certo il Covid ha influito pesantemente, ma non è stato la causa di questa situazione. Vedo poco supporto da parte delle istituzioni per un mondo artistico che non sia quello già affermato».

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