Disco del Mese/ Orlando: Le Forme dell’Amore, il ritorno del Banco!

Lascia lente le briglia del tuo ippogrifo o Astolfo/ e sfrena il tuo volo dove più ferve l’opera dell’uomo…!”. Così apriva In Volo, primo brano del primo omonimo disco del Banco del Mutuo Soccorso, pubblicato il 3 maggio del 1972. Il disco del Salvadanaio, oggetto che diventerà, come fu la lingua per i Rolling Stones, il marchio di fabbrica di una delle più grandi band prog italiane. Anni eroici, anni di grande fermento culturale, anni di transizione, dove la complicazione era una sfida e una reazione alla banalizzazione della musica. A cinquanta’anni di distanza, il 23 settembre scorso, il Banco ha pubblicato un nuovo lavoro, Orlando: Le Forme dell’Amore. Un lavoro che sembra arrivato da un altro pianeta, anacronistico, complesso, pieno, che richiede più ascolti per assaporare appieno quel mondo fantastico che la mente di Vittorio Nocenzi, l’unico rimasto del gruppo originario, ha partorito. 

In Volo, prologo del “Salvadanaio”, è legato a filo doppio a Proemio, prefazione del nuovo lavoro a partire dalla sua durata, 2 minuti e 13 secondi (il prog è anche questo!). C’è sempre Astolfo che nel suo lungo viaggio in cerca del senno perduto di Orlando in sella al suo ippogrifo arriva sulla Luna, che è vista come una grande discarica di sogni. L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, pubblicato a Ferrara nel 1522, è il protagonista assoluto di questo concept album. 

Usato come metafora dell’oggi: dobbiamo trasformarci in tanti Astolfo per cercare affannosamente di ritrovare la ragion perduta del mondo: dopo una pandemia che ha lasciato, come in un campo di battaglia, morti e feriti, solitudini e paure, arriva l’altra guerra – vera – dentro i confini d’Europa, l’uomo è a un passo dall’autodistruzione nucleare. Dobbiamo – e qui il Banco richiama volutamente il viaggio di Astolfo iniziato sul vinile 50 anni fa – guardare al passato per cambiare il futuro. 

Vittorio Nocenzi è un musicista abile, sa come trasformare in melodia le tensioni sociali. Al suo fianco nella scrittura il figlio Michelangelo, colui che, nove anni fa, ebbe l’idea di questo disco e il romanziere e sceneggiatore Paolo Logli. Dal 2013 ne sono successe di cose alla band: le morti di Francesco Di Giacomo e di Rodolfo Maltese, quindi il coma di Vittorio, colpito da un’emorragia cerebrale… 

Il Banco è tornato, con una formazione già rodata da un precedente album del 2019, Transiberiana. Capitan Vittorio è saldo al timone e alle sue tastiere, Filippo Marcheggiani alla chitarra elettrica, Nicola Di Già a quella ritmica, Marco Capozi al basso, Fabio Moresco alla batteria e Tony D’Alessio alla voce. Grande professionalità ed esperienza, ma anche altrettanta capacità d’emozionare. In Tony D’Alessio ho trovato una capacità espressiva e un’estensione vocale da paura! Il basso di Capozi è incredibilmente profondo come l’uso della ritmica di Moresco o le chitarre fluide e dialoganti con le tastiere di Marcheggiani e Di Già.

In Non Credere Alla Luna, trovate scritta una pagina epica, dal sapore Floydiano (anche qui  il richiamo del progressive è forte!) con un sax, suonato da Carlo Micheli, da pelle d’oca. Mentre in Le Anime Deserte del Mondo la voce di D’Alessio introduce un’atmosfera prog prima maniera: “Non può appassire il progetto di un fiore se l’hai immaginato perfetto”, canta Tony. Un concept album di grande respiro, dove la musica è protagonista con una complessa costruzione ricca di cambi di scena improvvisi, ritmiche elaborate, accelerazioni improvvise, pause, decelerazioni violente, su tutto le tastiere che vivono di vita propria grazie all’abilità inconfondibile di Nocenzi. 

Ho chiamato Vittorio per parlare assieme del disco ed è stata una bella e lunga chiacchierata…

 

Che bello ascoltare un prog moderno, ricco di spunti…
«Desideravo mantenere un’identità, una riconoscibilità con il Banco originario. Mi sono imposto, però, di non fare il verso a noi stessi e al prog anni Settanta. Il progressive nasce come rottura della musica esistente, le sonorità, la creatività derivano dal vivere questo momento. La sfida sta proprio qui, mantenere identità e nello stesso tempo garantire diversità».

Il disco ha avuto una lunga gestazione.
«Nasce nel 2013 su ispirazione di Michelangelo, il mio terzogenito. Allora aveva 22 anni. Ricordo che ero con Francesco (Di Giacomo, ndr) nello studio a casa mia, Michelangelo entrò e ci disse: “Sentite, tra pochi anni ci sarà il cinquantesimo della band. Pensavo alle parole iniziali del primo album, Lascia lente le briglia del tuo ippogrifo o Astolfo, non sarebbe bello se scriveste un concept album per i 50 anni del disco? Ho messo giù un brano se volete ascoltarlo, è una dichiarazione d’amore”. Noi due, vecchi corsari, ci siamo guardati. Mio figlio, studente al conservatorio, cresciuto a pane e Banco, aveva scritto proprio un bel tema. La proposta ci gasò e Francesco, con fare burbero gli disse: “Regazzino non statte a montà a capoccia solo perché hai scritto un bel pezzo!”. Così cominciammo a parlarne, purtroppo Francesco morì dopo pochi mesi senza aver scritto nulla… quindi se ne andò Rodolfo, poi il destino ha provato anche con me ma non c’è riuscito!». 

È un disco con tanti richiami melodici, una sfida…«Cosa c’è di più provocatorio di scrivere un tango progressive. L’abbiamo fatto nel quarto brano, Non mi sorprende più l
’amore
, dove io suono l’accordeon e Filippo Marcheggiani una chitarra alla Santana!».

Confesso che mi sono immaginato il disco cantato da Francesco! Però mi ha piacevolmente colpito l’interpretazione di Tony D’Alessio…
«Ha una voce di una potenza pazzesca. Francesco arrivava al Si bemolle, mezzo tono prima del Do di petto e, sotto il rigo al Re, era un tenore leggero, una voce bellissima. Tony ha un’escursione vocale profonda, scende nel range del baritono e arriva al do di petto, è un tenore pieno. Gli ho chiesto che mi desse tanti colori, tanti timbri per raccontare i singoli personaggi: ed è stato assolutamente all’altezza».

Anche la sezione ritmica, il duo Capozi-Moresco, è incredibile!
«Dì pure che è una base, scusa l’inglese maccheronico, of the Madon, della Madonna (ride, ndr). Senti un suono caldo, pieno, anche se lo ascolti con il terribile altoparlantino dell’iPhone! Il basso di Marco è stato costruito dalla Wal Bass, azienda inglese da cui si serve anche McCartney. Ha un suono pieno e morbido. La frequenza dei bassi è simile a Piazza del Popolo all’ora di punta».

Pure Filippo Marcheggiani non scherza.
«Ha tecnica e gusto, le sue improvvisazioni le ho trascritte e trasformate in duetti obbligatori tra chitarra e tastiera».

L’Ariosto è un punto di riferimento per il Banco!
«È di una modernità spiazzante. L’Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino nella sua trilogia I Nostri Antenati mi ha ipnotizzato. Devi leggerlo se non l’hai ancora fatto! Lo scrittore cinquecentesco è moderno e contemporaneo. Ti dice qualcosa lo scontro tra Occidente e Oriente, oppure il cattivissimo mago Atlante che se ne sta chiuso nel suo castello, metafora dei poteri forti? Il castello del potere è la rappresentazione della realtà virtuale. Sono tante le analogie e le metafore con il mondo attuale».

Ne L’Amore Accade canta anche tua figlia Viola.
«Doveva esserci un’Angelica che parlasse. Pensa il valore di quella donna che fugge dall’accampamento dei Cristiani, rifiuta il paladino più valoroso, pazzo d’amore per lei, perché è innamorata di Medoro, un semplice soldato saraceno che ha trovato ferito e che ha curato. Una donna emancipata, forte, che sfida le convenzioni. Per non ridurlo a un pezzo mieloso ho pensato a un contralto sensuale, una voce quasi maschile, il soprano sarebbe stato troppo gentile. Lei ha compassione del dolore del cavaliere che ha respinto, ma ha scelto. La voce di Viola è perfetta».

Bellissima anche la cover…
«È un artwork di We Are MOD: la luna da iconismo classico diventa una discarica di sogni trasformati in oggetti enormi. Astolfo e l’ippogrifo entrano nel cuore della luna, attraverso uno spicchio mancante, simboleggiando un nuovo umanesimo, partigiani del Terzo Millennio. Abbiamo bisogno dei sogni, non possiamo continuare a essere considerati solo dei conti correnti, contiamo soltanto perché siamo tutti dei potenziali acquirenti. Non sono credente ma noi prima di tutto siamo anima, poi carboidrati».

Sono piuttosto perplesso su l’arrivo di un nuovo umanesimo.
«Sto sentendo crescere l’erba sotto il cemento, credimi. C’è bisogno di accendere cuori, di avere ideali, di provare emozioni. Lo stesso giorno d’uscita del disco nella classifica Amazon siamo balzati al primo posto. È un segnale: il Prog è nato per dare voce, per trasgredire i ruoli comuni. Cosa c’è di più scandaloso di mescolare un tango a una chitarra elettrica alla Santana?».