Il ritorno di Franco Mussida dal Pianeta della Musica

Franco Mussida – Foto Federica Mirabelli

Oggi esce un disco prezioso, di quelli che speri sempre arrivino prima o poi. È Il Pianeta della Musica e il viaggio di Iòtu di Franco Mussida. L’artista, che ho intervistato alcuni mesi fa, lo associ automaticamente alla PFM, di cui è stato uno dei fondatori, mitica band prog ancora in attività di cui lui, però, non fa più parte da tempo. Si è chiamato fuori, non per screzi o rancori, ma perché è andato oltre. Il concetto di band non lo attrae più, come mi raccontava l’altro giorno, alla presentazione del disco. La sua ricerca della musica va verso altre direzioni. Mussida in questo album si è spogliato di tanti orpelli, ha lavorato per sottrazione, togliendo tutto quello spericolato barocchismo (che io continuo a pensare straordinario) del prog, per dargli una nuova veste. 

È un lavoro «Ultra-Prog/Pop», come lo ha definito lui stesso: ha dentro l’incedere del prog, usa tempi fuori da canoni – come il cambio continuo da 4/4 a 5/4 di Watermelon in Ester Hay di Frank Zappa, a cui l’artista fa riferimento. «Il Pop degli anni Settanta era fantasioso e quel mondo era chiamato Prog», racconta. «Negli anni mi sono molto divertito fa fare prog con strumentazioni proprie del mondo del rock. Ora sento il bisogno di rallentare, di togliere quell’eccitazione continua che si percepisce ogni giorno». 

Un lavoro che viaggia controcorrente e, dunque, non si piega nemmeno al conformismo della musica digitale. Il disco è fisico, in formato Cd e Vinile. Questo perché si vuole garantire uno standard qualitativo elevato, un modo per far provare ai giovani l’ebbrezza dell’analogico da cui Mussida proviene. Gli unici brani digitali (con relativo video) sono due, Io, Noi, la Musica e L’oro del suono.

L’album ha, dunque, un incedere apparentemente semplice (in realtà sono strutture piuttosto complesse, fare degli arrangiamenti minimal non è da tutti). Franco sa toccare le corde giuste delle emozioni. È un lavoro che devi ascoltare più volte per avvertire tutte le piccole magie che sono racchiuse nei 13 brani del Cd e nei 14 del vinile (c’è un bonus track, Stupore, che vale l’acquisto). Franco ha voluto arrivare oltre la musica, addirittura al suono, per spiegare la potenza che questo elemento ha su ciascuno di noi raccontandolo in armonie “nude” e per questo ancora più emotivamente coinvolgenti. Un pianeta interiore, fatto di vibrazioni, un bimbo di quattro anni che scopre stupito il suono della chitarra appoggiando l’orecchio alla cassa armonica, «immerso negli armonici di una specie di pianoforte planetario che faceva nascere e scemare dentro di lui zampilli di suono come sorgenti d’acqua pura», recita l’artista nel primo brano, Iòtu e il piano planetario. 

Da lì in poi è un susseguirsi di storie di viaggio che passano da arpeggi incredibilmente suadenti (Il Mondo in una nota) a un blues – Afromedindian Blues per me uno dei pezzi migliori di tutto il disco («È la prima volta che incido un blues», rivendica), alla splendida ballata Nini, fino a un madrigale eseguito con il figlio Sandro e un ensemble mandolinistico (Incanto e Amicizia). Tutto con la sua chitarra baritono, un esperimento di suono che spinge ancora più in alto l’asticella dell’ascolto. È una Gibson Chet Atkins degli anni Novanta, elettro acustica, rivista da Marco Vignuzzi, liutaio veronese, accordata una quarta sotto. 

Vibrazioni, appunto. Anche quando l’autore affronta temi complessi come quelli di Democrazia Solidale: Cos’è cantare, se non si sa cantare/ Cos’è insegnare, se non si sa insegnare/ Cos’è cambiare, se non si sa cambiare/ Cosa produce tutto questo equivocare/ Esercizio di stile, di stile formale, un arido fare… Non manca nemmeno una telefonata agli amici lasciata su una segreteria telefonica, Ti Lascio Detto. Non c’è musica, solo un’amara constatazione delle sua generazione: …Se non capiamo più costa sta succedendo oggi, cosa succede al Mondo e alla Musica, non è perché siamo diventati vecchi, è solo che siamo stati degli stupidi egoisti…Abbiamo fatto un buchino, ci siamo bevuti l’uovo, e ai ragazzi dopo di noi, abbiamo lasciato il guscio… 

La Gibson “Chet Atkins” rivisitata dal liutaio Marco Vignuzzi – Foto Federica Mirabelli

Però non è un mondo compromesso, la speranza c’è, eccome! E la si trova nell’entusiasmo di ciascuno di no in È tutto vero: È tutto vero se è reale. Come vivere/ Vivere non è un diritto, è un fatto naturale,/ un dono che vale il prezzo di un sorriso/ Ed è bello che sia così. È già buono che sia così/ Ed è già tanto che sia così, è già tanto… In alcune espressioni musicali aleggia lo spirito di Fabrizio De Andrè, c’è l’organo effetto Hammond suonato da Giovanni Boscariol che richiama i Genesis. Tutto molto naturale, fluido… puro.

Ultima annotazione: sul retro del Cd e del vinile trovare un QR Code. Se lo inquadrate atterrate su un sito, Natura Sonora, dove è segnata la tracciabilità del lavoro. Come è stato suonato, con quali strumenti, come è stato registrato e inciso. Una sorta di bollino di qualità (Mussida l’ha chiamato Etichetta di Qualità Sonora Controllata). Perché, non si scherza con la musica.

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