Breve pensiero del venerdì. Avrete certamente letto del ritorno degli ABBA, la pop band svedese che prese il nome dalle iniziali dei nomi dei quattro componenti, Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frid, quest’ultima conosciuta come Frida, che, in una decina d’anni di intensa attività, dal 1972 al 1982, ha sfornato talmente tanti brani da rendere le due coppie immortali e milionarie con oltre 400 milioni di copie vendute. Dall’82, dopo i divorzi si dissolse anche la band. Tutti continuarono le loro carriere artistiche, chi con più sorte, chi con meno.
Ebbene, nel 2018 gli ABBA hanno deciso di riunirsi dopo quasi quarant’anni di separazioni nella vita e sul palco, pubblicando, un disco, Voyage, che uscirà il prossimo 5 novembre. La faccio breve: fa piacere risentire i mitici svedesi, omaggiati pure, ai tempi, dai Led Zeppelin e dagli U2, anche perché quelli della mia generazione, oltre che a rock e punk, sono cresciuti, che lo volessero o meno, anche ad ABBA (era impossibile non ascoltarli nelle radio o non ballarli nelle feste).
Fa un po’ meno piacere che il loro primo tour dopo quarant’anni, sia stato già preparato e confezionato perché sul palco saliranno i loro avatar. Detta così suona un po’ troppo semplice, ma i magnifici quattro hanno davvero cantato i loro brani, indossando tute fantascientifiche che trasmettevano i movimenti a potenti computer che li elaboravano, in modo da dare vita agli avatar, facendo uscire Agnetha, Benny, Björn e Frida nel loro pieno splendore giovanile, con espressioni, sorrisi, balli.
In questa laboriosissima operazione sono state impiegate oltre duecento persone e tre settimane di lavoro intenso. A Londra è in piena costruzione la ABBA Arena, dove il 27 maggio 2022, aprirà il virtuale (e costosissimo) show, luogo pensato proprio per questo tipo di concerto. Prevendite già on line per accaparrarsi i biglietti. Tra il pubblico ci saranno anche i quattro, a godersi lo spettacolo di loro che cantano. “Un po’ strano”, hanno dichiarato. Come dar loro torto…
Tutto molto interessante, il Covid ci ha insegnato a diventare avatar di noi stessi, ma qui non si sta parlando di un concerto (anche se la musica verrà eseguita dal vivo), piuttosto di uno spettacolo, grande, maestoso, stupefacente. La musica, da come è stato presentato l’evento, permettetemi, è solo marginale. Quello che interessa è il grande spettacolo, la celebrazione di una band che ha fatto la storia del pop e della disco, la novità, il non plus ultra della tecnologia umana.
L’inizio di un nuovo modo di ascoltare i live? Mi auguro di no, visto che la voglia di veder cantare e suonare un artista o una band è il motore principale che spinge ad andare ai concerti. Ora che la tecnologia lo permette, abbiamo superato una frontiera, il virtuale calato nel reale. Che so, andremo a vedere nelle tante arene del pianeta, in contemporanea mondiale, uno show degli avatar dei Pink Floyd? O rivedremo Charlie Watts che suonerà ancora con i Rolling Stones nella prossima tournée? L’ologramma di Tupac Shakur al Coachella nel 2012 era una barzelletta al confronto.
Nell’era del “totally virtual” c’era da aspettarselo che si arrivasse a questo. Se avete la voglia di leggervi il post che ho pubblicato un paio di giorni fa, dove presentavo il Changüí di Guantánamo, lo stridor di meccanismi che s’inceppano tra una musica live “presente” e una “filtrata” è fragoroso. Due mondi totalmente diversi e anche due realtà distanti anni luce. Se vogliamo, i due estremi. Sarò vecchio, desueto, vicino all’amplifon, ma scelgo di gran lunga il primo, con il massimo rispetto (e riserbo) per il secondo.