Novità: Piers Faccini e il suo Shapes of the Fall

Piers Faccini – Foto Julien Mignot

È uscito oggi, freschissimo di stampa, Shapes of the Fall, settimo lavoro in studio di Piers Faccini. Se avete avuto modo di ascoltarlo, sapete già che tipo di musica faccia. Anche se viene incasellato nel settore “Alternativa”, il cinquantenne cantautore anglo-italiano ha perfezionato, lavoro dopo lavoro, uno stile che lo ha portato ad aprirsi alla World Music, alla contaminazione di ritmi e culture molto diverse tra loro, ma tutte unite da un sottile filo d’Arianna, dalla musica “occidentale” con chiari elementi blues, a quella nordafricana e del Vicino Oriente.

La canzone scelta come “guida” all’ascolto è All Aboard: vede la partecipazione di Ben Harper e di Abdelkebir Merchane, cantante marocchino, maestro della musica tradizionale Gnawa, una musica ipnotica, ripetuta, che porta in trance musicisti e ascoltatori, una musica religiosa, concepita per avvicinarsi a spiriti e santi. Quanto ad Harper, il musicista californiano aveva già collaborato 16 anni fa a un altro disco di Faccini, Tearing Sky.

Al primo ascolto è un bel lavoro, ricco di spunti sonori e letterari. Si sente – e molto, direi volutamente – la scrittura con i fratelli Malik e Karim Ziad, musicisti algerini che studiano la cultura berbera e Gnawa. Nella sua essenza, un disco che, attraverso la fusione di culture e melodie, vuole comunicare un disagio per come è messo il nostro Pianeta, per le ingiustizie, per i problemi legati al clima e per il complesso momento in cui ci ritroviamo tutti a vivere. L’intervento “religioso” implica una forte richiesta di spiritualità, un aiuto divino contro l’inazione dell’uomo.

Sulla home page del suo sito è lo stesso Piers a descrivere il significato di All Aboard: «Ho scritto la musica di All Aboard con il mio amico Malik Ziad e mi ricordo che all’epoca, mentre stavamo suonando il riff strumentale, mi sono venute in mente queste parole da cantare come una specie di chiamata e risposta, “all aboard, all aboard”. Alla fine, il testo e la narrazione sono scaturiti da quelle due parole iniziali. Per sviluppare la storia, ho immaginato un gruppo di sopravvissuti dopo un collasso ambientale che salgono a bordo di una barca di fortuna per navigare verso i poli, essendo questi l’ultimo posto abbastanza fresco per vivere.

Ho immaginato un’arca dei giorni nostri, con animali e piante, che trasportano semi e carichi preziosi per sopravvivere e iniziare una nuova vita. Ma ho anche scritto la canzone come una sorta di parodia, per evidenziare l’assurdità dell’inazione dell’umanità di fronte alla catastrofe imminente. Preferiamo lasciare che la nostra casa, il nostro pianeta e il nostro stesso paradiso brucino davanti ai nostri occhi invece di salire a bordo di una nuova narrativa verde, di un modo per evitare questo scenario apocalittico…». Anche il video animato che accompagna e completa il brano, diretto da FANTÔMES, prodotto da La Blogothèque con l’animazione di Rodolphe Jouxtel e le illustrazioni aggiuntive di Audrey Jouve ha il suo perché.