Cantautori: Barreca e la purezza della musica…

Domenico Barreca – Foto Beatrice Ditto

Ritorno nuovamente sul tema “cantautorato italiano”. Perché nella musica italiana si sta verificando un piccolo terremoto che pochi stanno registrando: il ritorno dei cantautori, strutturati come negli anni Settanta. Allora erano mainstream, la realtà socio-culturale era molto diversa rispetto all’attuale. Oggi vivono in un mondo parallelo, hanno ascolti, teatri, palchi ma pochi li conoscono. I loro profili sono l’opposto dei “popparoli” di gran lignaggio. Sono altrettanto giovani ma non adolescenti, meditativi, spesso conoscono bene la musica (e per fortuna!), hanno testi attuali, non banali e sempre egoriferiti. Parlano di comunità, condivisione, rispetto…

 

Sono l’anima critica, sanno leggere tra le pieghe della società, essere delicatamente introspettivi, vedere con altri occhi, interpretare. Non sono certo oracoli, ma andrebbero presi più in considerazione. Giovani artisti che hanno scelto una strada tutta in salita, ben consapevoli che difficilmente li porterà alla fama, ma che ugualmente affrontano con determinazione, perché il successo non è il fine del loro musicare, gli scopi sono altri, l’annusare l’aria che tira e cantarla, la sperimentazione, la multiculturalità, la ricerca del diverso come stimolo per la propria arte.

Concetti che il calabrese Domenico Barreca, 36 anni, nato e residente a Taurianova (RC), bene espone nel suo secondo lavoro pubblicato il 17 giugno scorso, dal titolo Eppure Adesso Suono. Bastano queste tre parole per riassumere quanto vi stavo scrivendo ora. Prima di chiamarlo mi ero fatto un’idea su un titolo così ovvio ma altrettanto ermetico: nonostante tutti gli ostacoli che un artista si trova ad affrontare, ha deciso di esprimersi come meglio gli riesce, attraverso la musica. Tre parole che sono il suo manifesto artistico, la sua idea di vita. 

Quello che viene subito percepito è una cura sartoriale del disco, piccoli interventi a dettare la mediterraneità originaria, poche battute iniziali di un oud in Mercurio, l’intervento del rigg, il tamburo magrebino, in Scirocco, la voce ben strutturata che assume certe intonazioni dei suoi autori preferiti, Dalla, De Andrè, Fossati, Gaber, Zero (ascoltatevi Mercurio). C’è anche il grande Ennio Morricone (Ho trovato Te, con la voce angelica della soprano Chiara Pirrò). 

In due dei dieci brani ci sono due collaborazioni altrettanto preziose per chi ha dimestichezza di certa musica, una con Mauro Ermanno Giovanardi (Ma anche d’amore) e l’altra con Peppe Voltarelli (Che Fortuna!)

Anche i testi sono limati con cura, in altri casi si direbbe un lavoro “artigiano”: 

…Siamo due acrobati che tagliano  la scena

Con un bel salto andiamo oltre l’altalena

E voliamo sospesi nella stessa passione

Galleggiando sotto questo acquazzone

Tra le onde come pesci mai pescati

A cantare alla luna la nostra fortuna…

Ah che fortuna! (Che Fortuna!)

 

…Balla questa varia umanità

E non conosco né empatia né libertà

“Se sai stare in silenzio non ti tocco”.

E soffia forte il vento di Scirocco… (Scirocco)

 

…C’è gente che sa tutto ma chi glielo ha insegnato?

Per noi ignoranti dell’amore ogni promessa è reato

Per noi che apriamo porte che ogni uscita è un viaggio

Che tra le ciglia e il cuore culliamo un bel miraggio… (La Notte che cos’è)

Domenico quali sono i tuoi riferimenti?
«Ho sempre vissuto nella musica perché mia mamma la ascoltava in continuazione. Da piccolo mi innamoravo soprattutto dei testi, ero affascinato dalla parola. Nel 1998, a 12 anni, scoprii De Andrè, che morì poco dopo. La Canzone dell’Amore perduto mi conquistò. Poi ho passato la mia fase ribelle, ascoltavo i Timoria, i Marlene Kuntz, gli Afterhours, quindi mi sono avvicinato a Lucio Dalla, Ivano Fossati, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber. Li reinterpretavo, conoscevo a memoria le loro canzoni. A uno dei tanti concorsi canori ho portato Spalle al Muro di Renato Zero».

Sei un “figlio” dei cantautori di 50 anni fa!
«Sono i miei musicisti di riferimento, ma la musica per me non ha alcun genere, è musica e basta».

Quando hai deciso di fare il musicista di professione?
«Probabilmente quando mi accorgerò che il mio far musica è diventato una professione, smetterò. Voglio vivere d’arte, sarò uno romantico, ma è così. La musica ha una sensazione di purezza, farla per professione sarebbe come diventare un timbratore seriale. E poi, non voglio essere schiavo degli algoritmi, è un mondo che non mi appartiene».

Continui a vivere a Taurianova, la città dove sei nato…
«Ogni volta che ho avuto la possibilità andarmene c’è sempre stata una ragione che mi ha trattenuto. Mi sento sempre dall’altra parte di qualcosa. Qui sono realizzato, ho tutto quello di cui ho bisogno. Ho stretto un’amicizia e un sodalizio artistico con le persone che lavorano con me. Non è facile seguire il mio progetto, ma loro mi sono sempre accanto, ci credono più di me!».

Chi c’è nel progetto Barreca?
«Riccardo Anastasi, produttore e arrangiatore di tutti i brani, me li ha cuciti addosso, al millimetro, e poi Benedetto Demaio, la penna che ha scritto tutti i testi. Barreca siamo noi tre, siamo come una band, sono i miei angeli custodi. E poi ci sono i musicisti, quelli che lavorano nella comunicazione, gli altri nella fotografia. Si vince e si perde, sempre insieme».

C’è un minimalismo positivo nella tua musica…
«È fondamentale. Volevamo fare un album acustico, eliminando l’elettronica. Hai presente Sud di Fiorella Mannoia o La Cura del Tempo di Niccolò Fabi? Ecco, su quella strada lì».

Ottimo anche il mixaggio!
«Merito di Taketo Gohara, abbiamo collaborato a distanza, lui ha fatto un lavoro bellissimo».

Domenico Barreca – Foto Beatrice Ditto

Quali sono, secondo te, i punti di forza di Eppure Suono Ancora?
«Autenticità e qualità, entrambe percepite dal pubblico. Un riconoscimento per tutti noi che abbiamo lavorato. La certificazione della bontà del nostro lavoro sono le collaborazioni con Peppe Voltarelli e Mauro Ermanno Giovanardi. Con Mauro ho fatto un concerto “al chiuso” al Teatro Rocco Gentile di Cittanova, in piena pandemia. Con Voltarelli, invece, a Palmi nel parco archeologico dei Tauriani, sotto la torre saracena. Un luogo bellissimo! Il brano Che Fortuna! è nato quella sera, dopo il concerto, passata a bere, mangiare e cantare in compagnia. A settembre sto organizzando una data con entrambi presenti…».

C’è molto di te nel disco senza essere autoreferenziale…
«Per molti anni ho vissuto con l’idea di essere inadeguato, non percepivo la bellezza del momento. Avevo una storia d’amore, stava scivolando nell’apatia che ti porta al piattume. Mi sentivo così anche nella musica. Era il 2020, in piena pandemia e lockdown, la fine di questa relazione mi ha dato la spinta propulsiva per rimettermi in gioco, una sorta di psicoterapia. È lì che è uscita l’accettazione di me stesso. Le mie fragilità sono i miei punti di forza».

Ti consideri soddisfatto dell’album e della tua vita?
«Mi sento come Alice nel Paese delle Meraviglie, mi piace quando le canzoni germogliano, è la parte più bella del percorso creativo, ma anche i concerti, i live: sul palco sono riuscito ad avere 15 musicisti con una vera e propria sessione d’archi… adoro gli archi!».

Il tuo strumento preferito?
«Ho un debole per il violoncello, nei live porto con me una violoncellista. In Scirocco il lamento del vento l’ho ottenuto con questo strumento».

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