Il 1971, sulla scia del 1970, è un anno proficuo per la musica e il rock in particolare. Tra gli album degni di nota di quell’anno c’è anche Aqualung dei Jethro Tull. Disco molto discusso, a tratti incomprensibile soprattutto nei testi, ma decisamente importante per la storia del prog non solo britannico. Il quarto album in studio di Ian Anderson & Soci è considerato il migliore di tutta la loro produzione, oltre a Thick as a Brick pubblicato nell’anno successivo. Con Aqualung la band capitanata dallo scozzese vestito da folletto diventa un riferimento autorevole, vende milioni di copie, si fa conoscere ovunque. Grazie a un mix di folk, jazz, musica classica, hard rock, blues che, nel suo insieme, va a comporre una storia compiuta.
Aqualung è un disco diviso in due parti distinte. Nella prima – che corrisponde al lato A del disco in vinile – si parla della decadenza dei costumi inglesi, di un’Inghilterra puritana ma zozzona, impersonificata, appunto nel vecchio Aqualung, che in sé riunisce tutte le meschinità e la lussuria del Paese, che predica bene e razzola male. Aqualung – la cover lo mostra stranamente somigliante a Ian Anderson – è vestito da straccione con un ghigno cattivo, curvo, un personaggio quasi mefistofelico. È il mendicante che sbava dietro alle ragazzine e occhieggia la strabica Mary la puttana, Cross-eyed Mary, il secondo brano del disco. Nella seconda, il lato B, invece, il racconto vira decisamente su un argomento piuttosto sentito all’epoca, il rapporto tra uomo e divinità, qualunque essa sia. Pensiamo a George Harrison, John Lennon, Peter Green, Eric Clapton, Peter Townshend, alla Mass in F Minor, Messa in Fa Minore, degli Electric Prunes, album del 1968 – il brano Kyrie Eleison è stato inserito nella colonna sonora di Easy Rider, del 1969 (film di Dennis Hopper, con Peter Fonda, Jack Nicholson, Karen Black e lo stesso Hopper), assieme agli Steppenwolf, The Byrds, The Jimi Hendrix experience. I Tull si confrontano con la religione cristiana, dove regna l’ipocrisia di piegare e manipolare le intenzioni di Dio ai propri scopi. Giustificare la propria misera esistenza: ne escono brani diventati storici come My God e Locomotive Breath.
Ma è proprio Aqualung la canzone che apre il disco e che dà il titolo all’album a essere il paradigma dei Jethro Tull, una canzone che, come bene recensiva quell’anno Ben Gerson su Rolling Stone, racchiude tre brani in uno, seguendo lo stato d’animo del narratore Anderson. Da un riff secco e graffiante di chitarra elettrica si passa alla tranquillità di una chitarra acustica e di un pianoforte, per poi risalire in un crescendo e a un improvviso cambio di ritmo, fino a un’unificazione delle precedenti versioni, con assolo di chitarra elettrica di Martin Barre.
Sitting on a park bench
Eyeing little girls with bad intent
Snot’s running down his nose
Greasy fingers smearing shabby clothes
Hey, AqualungDrying in the cold sun
Watching as the frilly panties run
Hey, Aqualung
Feeling like a dead duck
Spitting out pieces of his broken luck
Oh, Aqualung…
Ian Anderson, istrione del flauto traverso, polistrumentista, visionario è stato ed è, a oggi, a 73 anni, l’anima di un gruppo, che, pur avendo cambiato pelle, chiuso bottega nel 2011 e rivissuto in nuove formazioni, continua a portare la sua musica in giro per il mondo, Italia inclusa, dove il magico folletto diventato un distinto signore che sul palco si copre la calvizie con una bandana, è di casa. Per chi non li conoscesse o per coloro che non mettono sul piatto un loro disco da decenni, è l’occasione per rispolverarlo e ascoltarlo. D’altronde con la loro musica i Jethro Tull hanno contribuito a costruire quella grande casa, geniale, imprevedibile, fantastica che è il Rock.