«I miti viaggiano perché i popoli viaggiano ed è un processo millenario che non si può fermare». Nella sua evidenza storica questa frase può sembrare lapalissiana. In realtà non lo è affatto. Il contagio, le commistioni, quel melting pot che l’antropologo Darcy Ribeiro, parlando della costruzione del popolo brasiliano, ha definito miscigenação, da cui discendono storie, leggende, riti, musiche oggi vengono visti come un’accezione negativa, da osteggiare. E così i nazionalismi hanno facile presa, perché questi cammini, queste migrazioni sono complesse e la tentazione di ricorrere a riassunti grossolani (e grotteschi) per rappresentarle è tanta. Viviamo in un periodo “semplice” dove il “complesso” viene dato in pasto alla gente come un pomposo nemico da combattere.
Patrizia Laquidara, classe 1972, è un’artista curiosa e vivace. La frase con cui ho aperto questo pezzo è sua. Testimonia tutta la sua urgenza di musicista, compositrice, cantante, scrittrice e performer di raccontare il presente avendo ben chiaro il passato. I suoi lavori, sempre molto calibrati, raccontano proprio questo. Patrizia è donna curiosa (il curiosos per i latini era colui che si curava di qualche cosa) il voler conoscere oltre le apparenze, lo scavare per raccontare. Che lo faccia in musica, la sua espressione più immediata, oppure attraverso le parole (il suo libro Ti ho vista ieri, romanzo autobiografico, uscito lo scorso anno edito da Neri Pozza, è un bel successo editoriale), non cade mai nella banalità di pensiero. Continua a leggere