Oggi è il grande giorno: finalmente liberi! Giusto? Pensatela come volete, non sono in vena di celebrare nuove semilibertà. E, se devo essere proprio sincero, la quarantena o lockdown come vogliate chiamarlo, mi ha dato, oltre alle ansie iniziali, anche la possibilità di meditare su tutto. Avere, per esempio, la libertà di essere trasportato in mondi (musicali, culturali) sconosciuti, trasporti spazio-temporali avanti e indietro nel tempo, dal planare sui fumosi club dove si suonava il primo jazz, ad atterrare in pianeti d’avanguardia, alla ricerca di musicisti con la mente proiettata al di là del canonico pentagramma, è stato tutto un rincorrersi di storia e futuro.
La musica ha questo compito, rappresentare l’essenza dell’uomo in un determinato momento della sua evoluzione, tradurre le sue emozioni, ansie, aspettative in melodia. In queste nuove orbite stimolanti mi hanno colpito tre dischi, tre lavori diversi tra loro ma essenzialmente d’ascolto. Nessuno di questi vi catturerà subito. Ed è giusto che sia così: vanno ascoltati e riascoltati, scoperti un po’ alla volta, con attenzione per percepirne sfaccettature, costruzioni, complessità. Li conoscerete sicuramente, visto che sono artisti che circolano da tempo, ma condividere un buon ascolto equivale a gustarsi un buon bicchiere di vino tra amici. Noterete che in tutti e tre gli album c’è un’ispirazione comune, un gruppo rock dirimente degli ultimi trent’anni di musica, i Radiohead…
Il primo autore si chiama Moses Sumney, ha 29, è americano di origini ghanesi. Molti sicuramente ricorderanno la sua canzone Doomed contenuta nella fortunata serie Orange is the new black, dal suo primo album Aromanticism del 2017. Album dove il silenzio è componente essenziale della composizione, studiato nei minimi particolari. D’altronde anche il nostro Ezio Bosso non si stancava di dire che «anche i silenzi hanno un suono». Moses ha una voce che raggiunge le sonorità di Thom Yorke dei Radiohead, o gli acuti di Anonhi (Antony Hegarty, artista transgender che ricorderete nel gruppo Anthony and the Jonhnsons alla fine degli anni Novanta) o anche i falsetti di Prince. Ok, Moses ha pubblicato il 15 maggio Græ, secondo lavoro, un doppio album, nonostante sia attivo da diversi anni. Uno molto cauto, che ha aspettato a farsi conoscere per non bruciarsi subito come un fuoco fatuo. Una delle canzoni contenute nel suo ultimo lavoro, Polly, l’ha trasposta in video nel dicembre scorso. Capolavoro di semplicità e comunicazione. Il brano che suona sotto e lui che fissa in camera, una maglietta nera, un paio di chitarre appese alla parete, un piano a muro. Inizia a piangere, le lacrime scivolano sul suo volto e la canzone va. Nessun movimento se non una mano passata sul viso per asciugare il pianto. Ascoltate Gagarin o Cut Me (anche i video non sono per niente scontati…).
Il secondo è “nostrano” dei torinesi Subsonica. Il titolo, Mentale Strumentale, riassume bene il contenuto di questo lavoro realizzato sedici anni fa e mai pubblicato. Un disco fatto apposta per rompere con l’allora casa musicale (la Mescal), diventato una sorta di “riassunto” della musica dei Subsonica e delle origini del loro sound, reso finalmente disponibile dal 24 aprile scorso. Dall’attacco Decollo ()Voce Off) in stile Florian Schneider/Kraftwerk alle divagazioni sensoriali dei Pink Floyd con Syd Barret di Interstellar Overdrive, alle sonorità dei Radiohead (e ritornano ancora, ma non finisce qui!). Anche in questo caso, questo viaggio nel futuro concepito dalla band è un percorso non senza ostacoli sonori. Che vanno affrontati, ascoltati e mai aggirati. S’impone un ascolto plurimo per comprendere e abbandonarsi a questo “Intergalactic travel”. Il disco, per rimanere in tema di stretta attualità, ha anche un fine sociale: i proventi della vendita sostengono la Fondazione Caterina Farassino che si è occupata dell’emergenza coronavirus, con “Respira Torino”, raccolta fondi per gli ospedali di Torino e Asti in emergenza covid19. Ascoltate Cullati dalla Tempesta.
Ultima band, che nel circuito amanti-Radiohead è famosissima. Sono gli Ultraísta, attiva da circa dodici anni, è costituita da Laura Bettinson, Nigel Godrich e Joey Waronker (gli ultimi due, membri della super formazione Atoms For Peace costituita da Thom Yorke con Flea, mitico bassista dei Red Hot Chili Peppers e il percussionista Mauro Refosco nel 2013). Nigel è anche lo storico produttore dei Radiohead. Tornando agli Ultraísta; il loro album, Sister, è uscito il 13 marzo, in piena pandemia qui in Italia. È un linguaggio che ha basi solide, un rock sperimentale con la voce ovattata di Laura che si muove tra le onde di sintetizzatori mosse in un lieve e continuo turbinio da Nigel e le trame ritmiche di Waronker, batterista con solide esperienze. La passione del trio per l’Afrobeats e la musica elettronica si sente, eccome, ma il cercare di andar oltre, perfezionare quest’arte in divenire è un imperativo assoluto per il gruppo, come dimostra la tosta Tin King o la bellissima Water in my Veins.