Natale 2020: tre album da ascoltare…

Insomma, non poteva essere altrimenti. Almeno qui a Milano, la vigilia di Natale è scandita da un cielo grigio e torvo, una pioggia sottile che ti fa venire voglia di essere tutto, fuorché ben disposto a festeggiare. Meritato coronamento di un anno di…! In questi giorni mi sono dedicato a viaggiare tra i vari autori che, come tutti i Natali, si dilettano a pubblicare il loro album da ascoltare sotto l’albero. Ci sono un po’ tutti. Confesso, di quelle campanelle che scandiscono allegri carol, quest’anno non ne vorrei ascoltare nemmeno una.

Eppure di canzoncine scacciapensieri non ci si fa mancar niente, tra Dolly Parton, la regina del country, che a 75 anni pubblica il suo primo album natalizio con ospiti del calibro di Miley Cyrus e Michael Bublé, e Mariah Carry, artista che ha battuto ogni record con All I want for Christmas is you, e che quest’anno si è riproposta alla grande con un album dal titolo Mariah Carry’s Magical Christmas Special, che è anche uno show trasmesso da AppleTv, con ospiti big, da Ariana Grande a Jennifer Hudson a Snoop Dogg, oltre all’etoile Misty Copeland e all’attrice Bette Midler.

Vorrei, invece, concentrarmi su tre autori. Si tratta di tre bravi artisti, molto diversi tra loro, che hanno deciso di interpretare il Natale con una coerenza rigorosa rispetto al momento storico che stiamo vivendo. Tristezza, sì, ma  anche tanta nostalgia, tranquillità, riflessione…

Parto subito con un pianista che abbiamo visto – anche se in streaming – all’edizione di Piano City Milano di quest’anno. Lui è il canadese Jason Charles Beck, in arte Chilly Gonzales. Chilly ha sfornato un disco che gioca tra il classico e le escursioni jazz e blues dal titolo A Very Chilly Christmas. Come sostiene lo stesso autore, un disco per far riflettere su quanto abbiamo passato e stiamo passando, c’è poco da stare allegri, per andare dritti al punto. Sarà per questo che le canzoni sono suonate tutte volutamente in tonalità minore, più malinconica e pensierosa (guardate qui il video per un Natale bittersweet, in agrodolce). Ma la tristezza non deve prendere il sopravvento sulle sensazioni che la musica riesce a trasmettere. Ed ecco, ad esempio, l’accattivante The Banister Bough con la voce cristallina di Feist. O la classica Silent Night, che l’autore precisa, tra parentesi, la suona in versione  “after Franz Gruber”, il compositore austriaco che la compose su testo di Joseph Mohr. È così anche per Jingle Bells suonata a suo modo, corta ed efficace, ma sempre nel rispetto di chi l’aveva creata, e cioè James Lord Pierpont, nel 1857 con il titolo One Horse Open Sleigh, brano, per inciso, scritto per il giorno del Ringraziamento e poi diventato uno dei must natalizi.

Il secondo album che vi propongo è una rimasterizzazione a dieci anni dalla pubblicazione, ed è il disco natalizio di Annie Lennox, A Christmas Cornucopia. Annie ha aggiunto un brano inedito, Dido’s Lament, composto da Henry Purcell nel Seicento, e che la Lennox con Mike Stevens ha riadattato. Brano molto intenso, con l’intervento del coro dei London City Voices. Voce incredibile, intensa spettacolare. Non ho aggettivi per descriverne la bravura. Una delle poche artiste che riesce a penetrarti l’anima. I proventi del brano che apre il disco (nella precedente edizione lo chiudeva), Universal Child, ri-registrato con l’African Childrens’ Choir, andranno tutti alla Annie Lennox Foundation, fondazione che i occupa di progetti di beneficenza. Ascoltarla in questa nuova versione quasi tutta arrangiata e suonata da lei e da Mike Stevens, significa entrare senza fronzoli, campanelli, renne e babbinatali, in uno spirito più coerente del Natale…

L’ultimo disco, non abbiatene, è davvero dark. D’altronde, chi lo propone, è uno degli artisti più malinconici che il rock ricordi. Sto parlando di Mark Lanegan, ex frontman degli Screaming Trees, uno che ha pubblicato a maggio di questo 2020, Straight Songs of Sorrow, 15 brani incentrati sulla malinconia, o Blues Funeral (del 2012), titoli che la dicono lunga sul carattere e lavoro dell’artista. Mark ha completato un suo disco, pubblicato nel 2012, nella sua versione alter ego Dark Mark moniker, Mark Does Christmas, targandolo 2020, e aggiungendo quattro nuovi brani. La cover è sempre la stessa, sfondo bianco e un albero di natale che culmina in un teschio con un cappello da Babbo Natale. Musica essenziale, chitarre acustiche, drum machine, organi eterei, e la voce roca e profonda, inconfondibile, di Dark Mark. Una particolarità: l’album non lo trovate nelle classiche piattaforme streaming. Dovete comprarvelo dalla Rough Trade (quello che ho fatto!), la casa discografica, o potete ascoltarlo in streaming a questo link

Buon Natale!

Quello che ci stanno insegnando i live streaming

Ieri sera, con Rufus Wainwright si è chiusa un’edizione “straordinaria” di Piano City, battezzata Piano City Milano Preludio 2020. L’evento dal vivo che in pochi anni s’è affermato come uno dei principali appuntamenti musicali del capoluogo lombardo si terrà, covid19 permettendo, in autunno.

Questi tre giorni di maggio (22/24), le date tradizionali, si sono tenute lo stesso, in live streaming. In alcuni casi, d’ottimo ascolto, in altri tremendamente metallici, tanto da risultare anonimi. C’erano grandi nomi da Remo Anzovino, a Boosta, da Rosey Chan a Chilly Gonzales (la sua lezione al pianoforte è stata davvero interessante), Silas Bassa, Ludovico Einaudi, s’è aggiunto anche Vinicio Capossela, assieme a tanti altri musicisti. 

In questi mesi di quarantena la musica ci ha fatto sempre compagnia, dalla classica al pop, passando per rock e jazz, rap e contemporanea, artisti da tutto il mondo si sono esibiti collegandosi da uno smartphone o da un computer, come tanti “busker” nelle loro case, chi davanti a un pianoforte, chi con una chitarra, chi con una base pre-registrata. Come per molte altre cose (tante, a dire il vero) la quarantena ci ha obbligato a rivedere il nostro modo di vivere, guardare, ascoltare.

In particolare, nel live streaming abbiamo ascoltato – e visto – super musicisti, rockstar, popstar in versione casalinga, come mai ci saremo aspettati di immaginarli. Si esibivano per rimanere sostanzialmente vivi e presenti, una necessità bilaterale, a dire il vero… È come se improvvisamente, dai potenti diffusori digitali si fosse passati alle prime radioline portatili, gracchianti, metalliche, prive di colore e profondità. L’uomo, come tutti gli esseri viventi di questo mondo, ha una buona capacità di adattamento.

In questo momento, come hanno ricordato in tanti, anche la musica è profondamente penalizzata. Non sto pensando ai soli artisti, alle pop star milionarie, ma a chi contribuisce a renderli tali. Ad esempio, i tecnici, fonici, light designer, coloro che lavorano dietro al palco per garantire una performance perfetta a una band, un’orchestra, un cantante. E anche ai turnisti, musicisti e coristi, che vivono di palco in palco. Queste persone, altamente professionali, oggi non hanno voce, non hanno un sindacato che li difenda né una valida prospettiva per almeno un anno. Bisognerà fare qualche cosa.

Ci sono un po’ di idee in giro tra gli addetti al settore: per esempio, l’ultima arrivata proprio oggi, 26 maggio, quella di Machete Aid on Twitch, 12 ore di diretta streaming, venerdì 5 giugno dalle 15 sul canale @MacheteTV di Twitch, per raccogliere fondi a supporto «del settore musicale italiano, messo a dura prova dall’emergenza sanitaria causata dal COVID-19», come spiegano gli organizzatori della crew hip-hop. Sempre i vulcanici ragazzi: «Durante la diretta interverranno vari artisti e personalità provenienti dal mondo della musica, dello spettacolo, dell’eSport, della cultura e delle istituzioni». Ci sono altre raccolte fondi in corso, come quella di Music Innovation Hub, ma ne parleremo a tempo debito…

A proposito di live streaming leggevo un interessante articolo di Alex Ross, critico musicale del New Yorker proprio su tutti questi argomenti. Il titolo? Concert in the Void, “Concerti nel vuoto”. Ross nota come queste esibizioni siano il più delle volta tremende, persino imbarazzanti, perché non accuratamente microfonate, con una scena difficile, le case di ciascuno, che distraggono l’ascoltatore, contribuendo a ridefinire sostanzialmente il concetto di ascolto. Però, scrive l’autore, «Documentano, con il potere obliquo che le arti possiedono, una straordinaria fase umana nella storia. La loro mera esistenza è incoraggiante e, a volte, raggiungono un potere sorprendente».

In effetti, la quarantena ha scatenato la creatività di artisti come Florent Ghys, musicista francese di 41 anni, che in questi giorni ha pubblicato in rete alcune sue composizioni basandosi su un coro molto particolare, che lui ha battezzato Cats&Friends (sì un coro di animali!), rielaborando brani di maestri come Erik Satie (Gymnopédies), o lo Stabat Mater di Pergolesi. Possono far inorridire i puristi, ma sono un uso “virtuoso” del mezzo a disposizione per comunicare, provocare, far riflettere…

Ricordate l’intervista a Fabrizio Sotti che ho pubblicato qualche giorno fa? Richiamava la “classe media della musica” e il rischio che questa, in appena un anno, possa venire cancellata definitivamente. Lui parlava del jazz. Zach Finkelstein, un tenore di Seattle, ha aperto un blog, The Middle Class Artist, dove discute, collega, provoca, cerca di tenere insieme, appunto, la classe media degli artisti, gli onesti lavoratori del palco e delle sale d’incisione per cercare una via d’uscita alla crisi.

E andiamo a concludere: i live streaming casalinghi dunque servono? Nel lockdown sono stati essenziali per moltissime persone (e lo sono tuttora). Hanno aiutato artisti e pubblico. Ma è stata una fase, e in quanto tale, questa deve essere superata. Con la fine delle varie quarantene sarà possibile continuare sulla strada del live streaming, magari fatto in modo professionale con tutti i lavoratori della musica protagonisti, dalla star al fonico, così si potrà ascoltare un’esibizione perfetta, pagandola, sì, pagandola!, come si paga un qualunque film sulle piattaforme. In attesa di ritornare ad affollare teatri, club o super concerti.