Tra poche ore non si parlerà d’altro, eccezione fatta per il coronavirus che continuerà a mantenere la supertop nella gerarchia delle notizie. Inizia il settantesimo festival di Sanremo (i numeri pari piacciono sempre). Nel 1951, prima edizione, c’erano appena tre interpreti – Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano, che poi erano le due gemelle torinesi, Dina e Delfina – e 20 le canzoni in gara, interpretate dai quattro “big”. Vinse Grazie dei Fior, cantata dalla Pizzi, al secondo posto La Luna si veste d’argento, Pizzi e Togliani, al terzo, Serenata a nessuno, Togliani. A dimostrazione che non si premiava solo il cantante ma anche la qualità della musica e delle parole che componevano i brani.
Oggi Grazie dei Fior risulterebbe alquanto insolita e ingenua (ascoltatela per dovere “storico”!). Il festival è cresciuto, diventando un contenitore dove, in alcune edizioni, addirittura le note sono passate in secondo piano a favore di uno spettacolo tout court, vetrina per attori, imitatori, cabarettisti, ricercatori, professori, sportivi, famosi e meno famosi.
L’edizione numero 70 si preannuncia come tutte le altre, con il gradito ritorno del maestro Beppe Vessicchio, sempre più simile a Giuseppe Verdi, alla direzione dell’orchestra. Tra i big in gara un sapiente “medley” dell’italica ugola: l’eterna Rita Pavone, l’immancabile Michele Zarrillo, la giusta dose di figli dei talent, ex giudici di talent (Morgan e Piero Pelù), vincitori di passate edizioni (Gabbani e Tosca), rapper trasgressivi e “odiati” al punto giusto (Junior Cally), nuove voci, da Leo Gassmann alla giovanissima Tecla Insolia. Torna Masini, arriva Paolo Jannacci, si esibiscono, ventata d’aria fresca, I Pinguini Tattici Nucleari.
E poi Elettra Lamborghini, Riki, Raphael Gualazzi… oltre a un parterre di ospiti su cui primeggiano Al Bano & Romina, vera incarnazione dell’essenza di Sanremo. Musica e gossip, musica e impegno, musica e vecchie glorie.
Tutto filerà liscio, Amadeus farà il bravo e smemorato presentatore, Fiorello il mattatore, Tiziano Ferro il padre nobile della canzone italiana a buon diritto. Quindi, le chiacchiere dopo festival, i titoli dei giornali, la caccia all’ultimo pettegolezzo, gli italiani (e non solo) davanti al televisore… una fiction in cinque puntate perfetta, lineare, con i tempi giusti per tutto, le risate, il canto, la tristezza, la nostalgia, la bellezza, l’impegno, lo svago e qualche punta di noia assoluta (necessaria). A questo punto non resta che accomodarsi sul divano, qualche buona bottiglia da condividere e amici veri con i quali esercitare la dura arte della critica. In fin dei conti Sanremo è proprio questo…