Tony Esposito e Antonio Faraò, le buone vie del jazz

Tony Esposito

Approfittando dell’ospitalità di Tgcom24, da anni cerco di trasmettere il senso e il valore della buona Musica. Buona s’intende la musica capace di emozionare, di toccare il nostro essere più nascosto. Non tutto quello che c’è in giro ha questo scopo, ma lì andiamo in un’altra definizione, che è “intrattenimento”. Nulla di male, è necessario anche quello. Solo la buona Musica, però, riesce a parlarti, a scavarti dentro, a farti riflettere sulle cose di tutti i giorni. 

Ed è proprio “quella” buona Musica che ho ascoltato ieri sera nell’Auditorium Arvedi di Cremona, serata finale dell’ottava edizione di Cremona Jazz, saggiamente organizzata dal direttore artistico Roberto Codazzi. In un teatro con messa in scena centrale, un gioiello in legno – il pavimento del palco è una cassa di risonanza grazie a un’intercapedine di 60 centimetri costruita in cedro giallo dell’Alaska – hanno suonato musicisti che fanno parte della mia formazione musicale, Tony Esposito, Gigi De Rienzo, Antonio Faraò, accompagnati da Lino Pariota, alle tastiere e voce, e da Claudio Romano alla batteria.

Antonio Faraò – Foto Roberto Cifarelli

Esposito e Faraò non sono nuovi a collaborazioni. Entrambi – e in questo ci metto anche il bassista De Rienzo, uno dei migliori compositori e arrangiatori italiani – concepiscono la musica con una visione aperta e curiosa. Faraò lo conosciamo tutti, è un istrione, un musicista pignolo, determinato, fieramente indipendente, dotato di un grandissimo talento (Herbie Hancock ci aveva visto giusto, eccome!), un artista che i grandi del jazz adorano, rispettano e chiamano. Esposito e De Rienzo sono il simbolo di quegli anni Settanta che cercava le contaminazioni, le voleva a tutti i costi, soprattutto in una Napoli piena di contrasti – e per questo meravigliosa – attratti dalle sonorità mediterranee, ma anche dal funk, dal blues, dal jazz.

Ieri sera, dunque, s’è scavato nelle origini, con brani presi dai primi dischi di Tony Esposito, Processione sul Mare e Gente Distratta, riletti dalle improvvisazioni di Faraò. Brani che sembrano essere stati composti l’altro giorno, di una freschezza invidiabile, dove la napoletanità abbraccia l’Africa e questa ritma l’America che si ricongiunge all’Europa, in una circolarità inevitabile e feconda. 

Faraò ha proposto due suoi brani, Too Fast e Around Phrygian, per poi convergere con quintetto sul ricordo di Pino Daniele (con cui il percussionista e De Rienzo hanno suonato fin dagli inizi della carriera) proponendo cinque brani. Cinque “standard” cantanti con pathos da Lino Patriota, A me piace ‘o Blues, Napule è, Anna verrà, Have you seen my shoes e Quando. «Per i musicisti napoletani Pino è come Maradona» mi ha raccontato Lino dopo il concerto. 

Il primo di luglio il quintetto, come giustamente ha fatto notare Roberto Codazzi «in stato di grazia», suonerà in Veneto al GaiaJazz a Fossalta di Portogruaro. Occasione ghiotta per andarli ad ascoltare!