Guappecartò a Milano: parte dal Germi il tour italiano di D-Segni

I Guappecarto’: a sinistra Marco Sica (Mala) e, a destra, Pierluigi D’Amore (Braga)

«Vogliamo portare il pubblico a ripercorrere lo stesso viaggio che abbiamo fatto in quella settimana in sala di registrazione. Sarà una fruizione multisensoriale, quanto più possibile non contaminata». Marco Sica, nome d’arte Mala e Pierluigi D’Amore, Braga, sono i Guappercarto’, band italiana formatasi a Perugia con sede ormai da una ventina d’anni a Parigi, freschi di pubblicazione di un album strumentale D-Segni, uscito lo scorso 24 ottobre, 10 brani per 40 minuti d’ascolto.

Stasera saranno a Milano al Germi (ore 19:45) per la loro prima delle otto tappe del tour italiano che terminerà il 23 novembre al Teatro Odeion di Giovinazzo (Bari). Qui date e luoghi. 

Un lavoro che vale la pena ascoltare per la ricchezza compositiva e per un sapiente uso di strumentazione acustica ed elettronica. Tutto è partito da un’aicizia profonda con un’attrice, regista e molto altro, diventata la loro musa ispiratrice, mancata nel 2020, Madeleine Fischer. È stata lei a scoprire la band che allora si esibiva su un palco importante, che non perdona, la strada, coinvolgendoli nella colonna sonora di Uròboro, film della Fischer. Lei si innamorò delle sonorità dei Guappecarto’. «Una volta le chiedemmo quale fosse secondo lei, il nostro stile musicale», ricorda Mala, «E lei ci rispose semplicemente, la vostra musica!».

Oggi, rimasti in due dei cinque componenti iniziali, i Guappecarto’ sono una apprezzata band che si esibisce nei teatri europei, con un solido pubblico che apprezza i loro lavori che sembrano nascere da una spontaneità e da un’urgenza creativa che non segue né mode nei tempi. «La nostra è stata probabilmente una scelta anticommerciale», continua Mala. «Però è proprio questo che ci piace. Difendiamo il linguaggio musicale, nonostante tutti ci dicessero che cantare era più facile, la via per la notorietà. Noi abbiamo continuato per la nostra strada». Gli fa eco Braga: «Con questo disco abbiamo abbiamo saputo esagerare perché mentre oggi si sfornano i singoli piuttosto che gli album, noi non solo abbiamo fatto un album, ma in più abbiamo fatto un album con un libro, che ti obbliga in qualche modo a sederti, rilassarti, prendere il tuo tempo per gustare quest’opera».

Già, perché oltre al Cd il pacchetto prevede un libro, un estratto ragionato di Segni, libro originalmente composto da 80 fotografie e altrettanti aforismi opera della Fischer, che Marco ha ritrovato dopo la morte dell’artista. Qui la loro intervista.

Come è nato D Segni, e che ruolo ha avuto Madeleine Fischer…
Marco: «Madeleine ha rappresentato una figura importantissima, per me è stata quasi una madre, senza dubbio è stata la mamma artistica del gruppo, perché nel 2004, ci ha trovato per strada e ci ha coinvolto nel suo progetto Uròboro, affidandoci la colonna sonora. Poi è successa una cosa dolorosissima: ho perso mio padre. Lei mi scrisse una lettera e, da quella carta c’è stato uno switch totale, lì è iniziata veramente l’avventura di Guappecarto’. Ho deciso che era un gruppo musicale che poteva viaggiare, poteva liberarsi, sempre seguendo i segni di Madeleine con cui abbiamo mantenuto un legame profondissimo. Ogni volta che potevamo, tornavamo in Val Chiascio (Umbria, ndr) a trovarla, le raccontavamo le nostre esperienze, i nostri progressi, i nostri successi e gli insuccessi. Madeleine cercava sempre, a modo suo, di instradarci verso quella che era la direzione secondo lei giusta per noi. Nel 2020 è venuta a mancare, purtroppo. Ed è lì che ho ritrovato quel libro che mi regalò, prima di partire per Parigi, Segni. Rileggerlo per me è stato illuminante. È una raccolta di fotografie e di aforismi scritti da Madeleine. L’ho mostrato a Braga, a Stefano Piro, il nostro produttore, che ha detto: «Ragazzi questo è un universo sconfinato. C’è un messaggio indecifrabile che mi piacerebbe riuscire a decifrare”. Così ci siamo lanciati in quest’avventura». 

Avete cominciato da busker, quindi un’ottima gavetta. Perché ve ne siete andati dall’Italia scegliendo Parigi?
Marco: «All’inizio è stata un po’ una zingarata, ci siamo resi conto che eravamo pronti per lasciare il nido di Madeleine per partire all’avventura, fare un salto nel vuoto. Parigi era un obiettivo, perché c’era dietro tutto l’immaginario bohémien dell’artista che vive di notte, in contesti sempre al limite. Ci siamo resi conto sin da subito che la capitale francese offriva veramente tantissime opportunità a tutti i musicisti, non soltanto ai grandi nomi o alle grandi compagnie. Nella capitale francese abbiamo iniziato suonando per strada, e in brevissimo tempo ci siamo ritrovati a suonare nei teatri».

Parigi vi ha influenzato nella scrittura della vostra musica?
Pierluigi: «Senz’altro perché tieni presente che Parigi hai molti locali, teatri dove ci son più spettacoli al giorno. All’epoca c’era il L’Îlot, un libricino settimanale con tutti gli spettacoli della da vedere e ascoltare a Parigi. Ce ne sono per tuti i gusti e le tasche. Quindi in quegli anni abbiamo fatto un’abbuffata di musica proveniente da ogni parte del mondo. Poi la Francia, essendo stata una potenza coloniale, ha attirato dentro di sé una serie di culture del mondo che vuoi o non vuoi, sono diventate patrimonio comune, nei suoni, nei ritmi, nei modi di fare musica. Noi li abbiamo introiettati, fatti nostri e rielaborati, mai in modo manieristico, anche perché non ne saremmo capaci. Tutto ciò ha dato un’impronta definita alla nostra musica. Comunque resta l’impronta mediterranea della nostra melodia. Ce lo dicono sempre, “non ce la fate proprio a non cantare”. Invece in realtà ho capito che il sottotetto, gli altri sono più omologati…».
Marco: «La melodia resta, abbiamo ricercato l’essenza, svuotato tutto il superfluo, se vuoi è proprio quello che ci contraddistingue».

Sì, in effetti c’è un cambio estetico della musica. Qui avete usato l’elettronica come texture, con il compito di evidenziare la melodia… Gli arrangiamenti li avete fatti insieme?
Marco: «Sì, quest’album è stato straordinario. Nel 2020, con il Covid, abbiamo cominciato a distanza a scambiarci materiali, idee musicali. Erano tantissime, ed era un po’ come nel libro di Madeleine, c’era una grandissima confusione. Stefano Piro, il nostro produttore, ha dato una regolata a tutti questi puzzle sonori e idee. Tanto che, quando ci siamo ritrovati in studio lo scorso ottobre, in una settimana abbiamo realizzato l’intero album, i pezzettini di idee che avevamo, le abbiamo sviluppate lì, quindi c’è molto anche di estemporaneo in questo disco».
Pierluigi: «Raramente ci era capitato, non erano session di improvvisazione, erano vere e proprie sedute spiritiche, dove si rievocavano momenti passati della nostra storia, con Stefano che ci spingeva a ricordare. Ci siamo divertiti, per una settimana ci siamo immersi in un mondo parallelo, dal quale non pensavamo di uscire con un album fatto e finito, piuttosto eravamo convinti che fosse solo l’inizio del lavoro».
Marco: «Infatti la settimana successiva ci ha raggiunto studio Seb Martel che poi si è unito a noi sia come chitarrista sia come coproduttore. Quando ha ascoltato ci ha detto scherzando: “Vabbè, l’album è già fatto, resto qui, mi faccio una vacanza”. Sosteneva a giusto titolo che il 90% del lavoro era pronto. Il contenuto c’era già, perché, grazie a Stefano, abbiamo capito che potevamo raccontare la nostra storia, dall’incontro di Madeleine fino alla sua scomparsa. Questo ciclo di fine e inizio era un po’ il primo progetto di Madeleine, l’Uròboro, il concetto del serpente che si morde la coda che rappresenta il ciclo infinito della vita, della morte e della rinascita».
Pierluigi: «Nell’album, come puoi vedere, ogni brano è ispirato ad alcune immagini del libro di Madeleine. Il concetto base è la ciclicità dell’esistenza. L’idea di raccontare la nostra storia ispirandoci a quelle immagini è venuta perché ci siamo ritrovati proprio nel 2020, in una fase particolare della nostra vita artistica, dove siamo rimasti in duo da quintetto che eravamo. Grazie a questo libro abbiamo capito che non era la fine, ma un nuovo inizio. Stava a noi assumerci questa responsabilità».

Che rapporto avete con il teatro, inteso come luogo dove fare musica?
Pierluigi: «Mi piace tantissimo perché c’è un’emozione particolare, è un posto magico. La data zero l’abbiamo fatta in un teatro di Avignone, tagliavi a fette l’emozione, la paura. Nella nostra storia variegata ci è capitato anche di fare proprio uno spettacolo teatrale, quando abbiamo conosciuto Fabio Marra. Ci disse: “Avete già tutto, perché il lavoro teatrale l’avete fatto involontariamente suonando per strada».

In effetti la strada è un grande palco…
Marco: «Sì, e molto impegnativo, perché devi essere in grado di catturare l’attenzione del passante che magari sta andando per i fatti suoi a fare una cosa importantissima. Se riesci a catturare la sua attenzione, vuol dire che, al di là del fatto che sai o meno suonare, sai stare sul palco. Fabio Marra ci ha insegnato a dare una forma più precisa a questa attitudine. L’abbiamo portata avanti, sviluppata, collaborato a uno spettacolo con lui dove c’era metà musica e metà recitazione. È stata un’esperienza bella e impegnativa. Quindi abbiamo lavorato anche con la danza e il circo, ci piace portare la nostra musica laddove può servire».

Il libro allegato al Cd è quello della Fischer?
Marco: «È la nostra rivisitazione del suo libro, che è composto da 80 immagini con gli aforismi. Noi di queste 80 immagini ne abbiamo selezionate 32, creando di fatto una scacchiera che raffigura il nostro gioco, la nostra partita, che è quella di raggiungere lo spirito della dama (cioè Madeline)».

Con chi sarete in tour?
Pierluigi: «Oltre a noi due ci sarà Seb Martel e Natale Lariccia, batterista che ha già lavorato con noi, con un set tutto particolare. Noi lo chiamiamo “disegni ritmici”. Perché non è più una batteria, sono tanti oggetti, alcuni trovati nei mercatini, molto interessanti. Come questo, una scacchiera che conteneva dei Baci Perugina, probabilmente degli anni ’80, a cui lui mette dei piezoelettrici e processa il suono facendolo diventare tutt’altro».