Cinti&Russo: l’omaggio rigoroso a Branduardi

Voglio bene alla patria/ Benché afflitta di tronchi rugginosi/ M’è caro il grugno sporco dei suini/ E i rospi all’ombra sospirosi/ Son malato di infanzia e di ricordi/ E di freschi crepuscoli d’Aprile

Confessioni di un malandrino è uno dei brani più belli e intensi di Angelo Branduardi, pubblicato nell’album La Luna uscito nel 1975, il secondo del cantautore lombardo che proprio quest’anno festeggia i 50 anni di carriera. Ed è anche uno degli otto scelti per confezionare un disco di cui vi consiglio l’ascolto firmato da Fabio Cinti e Alessandro RussoGuardate com’è rossa la sua bocca.

Il titolo dell’album, tratto da una frase di Sotto il tiglio (Riderà chi passi per di là/ Guardate com’è rossa la sua bocca) canzone contenuta nel celeberrimo Alla Fiera dell’Est del 1976, la dice lunga sull’approccio stilistico dei due artisti alla musica del menestrello di Cuggiono.  

Musica per pianoforte e voce

Una “traduzione” rispettosa delle composizioni, un lavoro certosino di arrangiamento affidato alle loro capacità compositive, non facile quando si tratta di Angelo Branduardi, il cui suono è sempre ricco di impercettibili cesellature. Un brano per tutti, proprio Alla Fiera dell’Est: sostituire chitarre, violino, ottavino, armonica basso, clarino, e molti altri strumenti utili per suonare anche solo un paio di note, con il solo pianoforte e riuscire a dare quel crescendo armonico che è il bello della filastrocca, non è proprio da tutti.

Anche l’etichetta discografica è una dimostrazione del valore della produzione, visto che si tratta della AMS, specializzata nel rock prog italiano. Ho ascoltato il lavoro di Cinti e Russo più e più volte. Mi ha riportato agli anni Settanta, a quel giovane dalla capigliatura afro che saltellava sul palco con l’inseparabile violino proponendo una musica completamente estranea alle tendenze di allora e proprio per questo attirava come una calamita. 

Erano anni fantastici, dove la sperimentazione era il motore di tutto, insieme alla necessità di mettere in discussione qualsiasi cosa, musica inclusa. Ci si rifaceva al passato per trarne il meglio e plasmare la musica del futuro. Con Fabio e Alessandro siamo arrivati a uno step successivo: raggiungere l’essenza di un artista che allora, con gentilezza ed estrema cura nella composizione, aveva aperto una strada a cavallo tra prog, musica rinascimentale e world music. Il pianoforte diventa dunque una “summa orchestrale”, mentre la voce molto simile per intonazione a quella dell’autore, uno strumento messo a disposizione della canzone. Operazione perfettamente riuscita, a mio avviso. «L’interprete non deve banalizzare, ma essere al servizio della canzone», mi spiega Fabio Cinti che ho chiamato per farmi raccontare la nascita di Guardate com’è rossa la sua bocca.

Tonalità, armonia, ritmo

La chiacchierata con Fabio è stata “armonica” e non poteva essere altrimenti: è un cantautore con una approfondita formazione filosofica e musicale. Fin dal suo primo album, L’Esempio delle Mele (2011), ha cercato collaborazioni forti, interessanti, con Morgan e Pasquale Panella o, in Madame Ugo (2013), con Paolo Benvegnù  e Franco Battiato. Artisti con cui stringe legami negli anni: Benvegnù produce nel 2016 Forze Elastiche, mentre nel 2018 Fabio pubblica la sua interpretazione de La voce del padrone (2018) album storico di Franco Battiato del 1981, con una postilla – Un adattamento gentile – che la dice lunga sulla sua idea di musica, disco eseguito con un arrangiamento per quartetto d’archi, pianoforte, voce e cori. 

Com’è nato il disco?
«Per gioco. Con Alessandro abbiamo iniziato a suonare brani di Branduardi per nostra passione. Entrambi l’abbiamo ascoltato tanto, ci piaceva riproporre la sua discografia. I nostri amici che ci ascoltavano dicevano che erano brani molto intensi… dopo un po’ di tempo ci siamo accorti anche noi, e così abbiamo deciso di scegliere otto canzoni e registrarle allo Studio 2 di Padova. 

La cover di Guardate com’è rossa la sua bocca è in linea con il rigore del progetto…
«È stata una mia idea. Ricorda i libri di Adelphi e anche le cover essenziali ed eleganti usate nei dischi di musica classica».

Perché proprio Branduardi?
«Perché le sue canzoni, per dirla con i Bluevertigo, “sono fuori dal tempo”. Branduardi ha creato un suo genere personale andando a recuperare atmosfere medioevali, rinascimentali e celtiche. Anche i testi ricordano fiabe e poemi. Funzionavano, oltre agli arrangiamenti e alla scelta degli strumenti, anche perché metteva l’enfasi giusta nel canto. E poi quest’anno ricorrono i 50 anni esatti dall’uscita del suo primo disco che portava semplicemente il suo nome».

È il secondo disco interpretato che pubblichi dopo quello di Franco Battiato. Perché?
«Perché Branduardi e Battiato sono due artisti che possiamo definire “classici”. Non si tratta di cover, non mi interessano. Il mio lavoro è stato quello di interpretare, mettermi come cantante al servizio della canzone seguendo tonalità, armonia e ritmo. Non deve venir fuori il cantante ma la canzone! Martha Argerich quando suona Ravel esalta la musica non se stessa. Applica quel rigore tipico della musica classica anche se è difficile trasporlo nella musica moderna».

Sei in netta controtendenza rispetto al protagonismo attuale!
«Oggi c’è il culto della personalità, non conta la musica ma chi la suona o la canta. Così si finisce per avere gente che vuole diventare famosa a tutti i costi e contenuti musicali effimeri. È come mangiare un pacchetto di patatine: finiscono subito, quindi devi ricomprarne un altro e così via.È il grande difetto della musica attuale, anche se già si registrava questo fenomeno alla fine degli anni Ottanta: di quel periodi lì, infatti, oggi sono rimasti i “dinosauri”,  cioè quelli che mettevano contenuto nel loro lavoro».

Tra pochi giorni inizia il Festival di Sanremo, ci tocca!
«Non è più il Festival della canzone Italiana, Sanremo è solo una passerella di moda, contano i cantanti, come si vestono, come si muovono, il resto è ininfluente, profondità che io non riesco a cogliere…».

Di certo non vedremo mai un Angelo Branduardi!
«Lui è un ricercatore, sperimenta, non guarda alle classifiche, alle vendite. Si è legato nel suo lavoro oltre alla moglie Luisa Zappa con cui sta insieme dal 1975, anche a Faletti e quindi a Panella. Fa quello che vuole e che gli piace fare, non si cura del mainstream. Trovo molto nobile questo atteggiamento».

Branduardi ha ascoltato il vostro lavoro?
«Sono stato invitato a un suo concerto da Elisabetta Sgarbi. Ho portato con me le tracce del disco e gliele ho fatte ascoltare. Gli è piaciuto molto. Lui è un gentleman, a cena abbiamo parlato di tutt’altro, delle Spedizioni a Nord Ovest, quella perduta di John Franklin in Artide, a metà Ottocento. Per fortuna avevo letto un libro che parlava della vicenda, così abbiamo passato la serata a parlare delle navi fantasma!».

Parliamo di te Fabio…
«Faccio quello che mi piace fare, la musica e la scrittura sono un piacere. Ora sto scrivendo un saggio di filosofia, non c’è mai niente di forzato».

Stai pensando a un altro disco come interprete?
«Mi ci ritrovo nel ruolo di interprete! Visto che ne ho pubblicati due, mi piacerebbe completare il percorso con una trilogia…».

Su quale autore vorresti concentrarti?
«Ne ho molti in testa, ma ti faccio un nome per tutti, Herbert Pagani. È stato amico di Battiato. Ricordi la bellissima Lombardia scritta da Jacques Brel? Lo scoglio è che è uno sconosciuto. Però…».

Cosa stai ascoltando in questo momento?
«Mi è piaciuto I/O di Peter Gabriel, ascolto quasi esclusivamente musica classica. A proposito, ascoltati il secondo movimento del concerto in Sol maggiore per pianoforte e orchestra di Ravel suonato da Martha Argerich…».

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