Condivisione, integrazione, inclusione. Sono le tre parole chiave della venticinquesima edizione del Kaulonia Tarantella Festival che il 23 agosto aprirà le porte di Caulonia, borgo della locride parte della città metropolitana di Reggio Calabria, per una quattro giorni di musica, incontri, seminari, lezioni, riflessioni. Il titolo che l’organizzazione ha scelto per l’edizione 2023 è stimolante: Tarantella Pride. Orgoglio per una musica che racconta la vita di un popolo, orgoglio di dichiarare il valore di un possibile “modo d’essere umani” che annulla le differenze, incolla le divisioni, unisce: vivere in un mondo più aperto e gioioso è possibile.
Sul palco del Kaulonia, a declinare coerentemente il tema dell’Orgoglio e dell’appartenenza, saliranno musicisti di varia estrazione: Max Gazzè & Calabria Orchestra, Eugenio Bennato, Mimmo Cavallaro, Grazia Di Michele, Rossana Casale, Mariella Nava, Antonio Castrignanò & Taranta Sounds, Modena City Ramblers, Armando Quattrone & Kaulonia Tarantella Brass, Hermes, Cosimo Papandrea, Sonu Anticu, Mascarimirì feat. Ciccio Nucera, Hantura. Diversità e integrazione, due parole quanto mai importanti in questi anni di migrazioni e guerre.
Significativa in questo senso la trilogia di incontri condotti da Palo Patanè all’Affresco Bizantino (che da solo vale una visita, è stato appena restaurato), posto in un’abside, quel che rimane di una chiesa dedicata a San Zaccaria distrutta per due volte dal terremoto, sopravvissuto alle intemperie e ora luogo per incontri e manifestazioni. Il Cristo benedicente tra la Madonna e San Giovanni (il déesis), tema tipico dell’iconografia bizantina che rappresenta l’intercessione della Madre e dell’Apostolo prediletto alle suppliche dell’umanità, è quanto mai azzeccata per le tre serate dove si parlerà di musica, identità culturali e necessarie condivisioni.
Ho fatto una bella chiacchierata con Massimo Bonelli, 48 anni, direttore artistico del Kaulonia, uomo dalle mille attività (organizza e dirige il Concertone del Primo Maggio), produttore, consulente musicale, scrittore…
Massimo raccontami del tuo legame con il Kaulonia Festival…
«Sono tornato come direttore artistico, prima curavo l’organizzazione. Sono una figura trasversale, faccio tante cose diverse, credo sia un’epoca in cui bisogna avere più competenze per poter riuscire a gestire le tante evoluzioni di questo mondo e di questo mercato. Il concetto di musica popolare e di World Music ha accompagnato la prima parte della mia carriera con la Compagnia Nuove Indye. L’imprinting mi è rimasto, mi piacciono la tipicità dei posti e le caratteristiche uniche di certi linguaggi».
Puoi spiegarmi il concetto di Pride, tema della XXV edizione del Festival?
«Nasce da una provocazione che ha a che fare con l’orgoglio di un ballo. Volevamo dare un segnale forte per raccontare una danza che è sì antica, ma anche molto attuale. La tarantella è ballata da tutti, al Kaulonia trovi persone di ogni ceto sociale e idea politica. Insieme, in quella piazza inclinata, danzano, fanno la rota, ridono, scherzano. Condividono un’emozione, per questo la tarantella è inclusiva, tutti diventano figli della stessa terra. Quest’anno avendo più tempo a disposizione (l’evento è stato finanziato dalla Regione, quindi il Comune ha messo meno affanno nel gestirlo), s’è potuto aprire anche un fronte per alcuni ragionamenti culturali e di approfondimento rispetto ai temi legati al festival, domandarsi, cosa sia la tarantella oggi, cos’è stata, e cosa potrebbe rappresentare in futuro».
Ci saranno momenti di musica, di informazione e di scuola dalle 18 alle 6 del mattino…
«Non è solo un festival di concerti, ma un viaggio nella tradizione popolare di un borgo del Sud della Calabria. È un’esperienza e ci vado con la gioia di trascorrere una settimana che mi riconcilia con tante cose, un modo di vivere e pensare che fa riflettere su come conduciamo la nostra vita quotidiana».
Quanto agli approfondimenti…
«Ho chiamato e coinvolto un amico Paolo Patanè, un attivista e una persona straordinaria, di un alto livello culturale, seria, sensibile, garbata. Ha accettato entusiasticamente: Paolo farà il contrappuntatore, il narratore di questi tre momenti all’Affresco Bizantino, dalle 20 alle 22 il 24-25 e 26 agosto».
Tra cultura, divertimento e apprendimento è una narrazione completa!
«Lavoro sempre a festival così, che hanno una chiave di racconto».
Tra il Concertone del Primo Maggio e il Caulonia che collegamento vedi?
«In realtà un legame molto forte. Sono due manifestazioni diverse tra loro e nello stesso tempo molto simili, con due caratteristiche fondamentali. Innanzitutto sono eventi vetrina di un ambito musicale, un posto in cui gli artisti hanno un ruolo. Per la scena del primo maggio e del Kaulonia – il festival più importante di Calabria, ndr – guardo ad artisti che abbiano qualcosa di significativo da mettere su quei palchi in quel preciso momento, che raccolgono la frontiera dell’ambito culturale di riferimento. In secondo luogo perché non esiste solo la musica ma anche una narrazione culturale: non è il semplice andare in piazza a divertirsi, cantare, ballare, ma il condividere temi che fanno riflettere e arricchiscono».
Qual è secondo te lo stato di salute della musica italiana?
«C’è stato un momento (7/8 anni fa) dove è cambiato il vento: prima l’indie, poi il rap, quindi la trap, una musica alternativa nata in opposizione al mercato dominante che ha finito per diventare lei stessa mainstream. Da un anno e mezzo il settore è arrivato alla saturazione. Capita spesso nel mercato musicale. Oggi c’è l’esigenza di ascoltare nuove sonorità che scardinino il mainstream. La musica racconta sempre il tempo in cui viene scritta».
Il problema secondo me è che i discografici finiscono per banalizzare queste nuove onde in arrivo.
«C’è tanta musica, bella e brutta, la differenza rispetto agli anni passati è che viviamo un’epoca in cui viene consumata più velocemente e abbondantemente. Sto scrivendo un libro su questo tema, com’è il back end della musica italiana. Un argomento ampio e interessante, non molto diverso da quello che è sempre accaduto. Faccio una battuta: da Bach in poi la musica è andata sempre peggio, fa parte dell’involuzione del genere umano!».
Quindi è molto più difficile far emergere un nuovo De Andrè o un nuovo Dalla?
«Usciranno nuovi autori, i mezzi e le doti sono diversi. C’è un legame fortissimo tra musica prodotta e tecnologia, la prima è condizionata dalla seconda, ed è esistito in ogni epoca: Puccini, per esempio, scriveva opere di due ore per permettere alla gente di poterne fruire tramite un’andata a teatro la sera, vestiti bene, standosene seduti. Pensa a un’opera di 15 minuti, sarebbe stata un fallimento… Rifletti su come sarebbe oggi pubblicare un brano come Wish You Where Here dei Pink Floyd con un minuto e quaranta secondi di introduzione con una chitarra arpeggiata… Bisogna accettare ogni epoca. Purtroppo o per fortuna!».