L’importanza di comunicare la musica

Gianni Sibilla, direttore didattico del Master in Comunicazione Musicale all’università Cattolica di Milano

M’è arrivata una notizia che pubblico con piacere, l’apertura delle iscrizioni alla XXIII edizione del Master in Comunicazione Musicale promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il termine per la presentazione delle domande scadrà il prossimo 13 ottobre (se linkate trovate tutte le informazioni necessarie). 

Questa veloce anticipazione mi dà la possibilità di parlare del mondo della musica preso da un altro aspetto, ugualmente importante, la comunicazione. Termine abusato, si comunica in mille modi (per farvene un’idea vi consiglio la lettura di un bel libro scritto da Silvia Grassi e Roberto Iadicicco, Comunciatore a chi? Guida Editori, 140 pag. 15 euro), troppo spesso ci si improvvisa comunicatori ignorando che comunicare è l’essenza del nostro vivere ed è importantissimo farlo nella maniera più giusta e opportuna. 

Soprattutto in campo musicale, aggiungo, dove ben tutti sappiamo quanto sia difficile per artisti non mainstream emergere nel mare magnum di like, follower, social, e quanto sia altrettanto complesso come comunicatore trasmettere il senso di un lavoro, il bisogno dell’artista. 

Un mio amico, Ernesto Sirolli, grande comunicatore, economista specializzato nello sviluppo locale (ha contribuito a fondare oltre 50mila micro, piccole medie imprese nel mondo), sostiene che un progetto per avere successo deve essere il frutto di tre “genialità”, chi si inventa il prodotto, chi lo commercializza e chi cura la parte finanziaria. Uno non può fare tutto. Se lo fa, lo fa male. Che tradotto, per emergere nel complesso – e impietoso – mondo dello streaming musicale l’artista dovrebbe pensare solo a quello che vuole comunicare con la sua musica e i suoi testi, il resto lo devono fare altri, case discografiche, uffici stampa, eccetera eccetera.

Il problema è che le case discografiche investono e fanno questo complesso lavoro quasi esclusivamente su chi fa tendenza sui social, spesso mettendo in secondo piano le qualità artistiche, quindi, per raggiungere gli obiettivi di un “ottimo affare” si tiene l’orizzonte basso, scontato, banale.

Tutto questo discorso per dirvi quanto sia importante formare comunicatori nella musica e quanto sarebbe altrettanto determinante che ritornassero i talent scout a girare per le strade e per i locali “low profile”. Quelli che trovano rockstar e popstar seguendo i follower sono soltanto degli impiegati incaricati di leggere cifre, privi dell’entusiasmo di chi, ai tempi, scoprì, che ne so, Elton John o i Genesis, consapevoli di aver trovato artisti unici, “terre rare”.

Ne ho parlato con Gianni Sibilla, direttore didattico del Master in Comunicazione Musicale, responsabile della gestione e dello sviluppo di contenuti digitali legati alla musica di Rockol.it. 

Gianni, è un mio pallino fisso, non è che la musica mainstream sia granché, direi che punta, vertiginosamente, verso il basso…
«Il motivo è che l’industria musicale deve fare quello che tutte le aziende fanno, pensare ai profitti. Quella musicale è un’industria che ha sempre funzionato per cicli. Dal 2016 in poi c’è stato il “grande cambiamento” con l’arrivo del rap e della trap, che però ha perso l’originale carica trasgressiva. Questi generi sono diventati il nuovo Pop, anche se gli artisti interessati negano. Un esempio? Cenere, brano che Lazza ha portato a Sanremo, è la canzone più ascoltata degli ultimi sei mesi».

Dunque l’industria musicale gode di buona salute!
«Sta bene e dal 2015 è in espansione continua grazie allo streaming. Dopo la pausa Covid, anche il live è ripartito più forte di prima. Le major detengono il 70/80 per cento del mercato musicale, i concerti che funzionano sono i mega eventi…».

Ubi maior…
«La grande differenza tra le nostre generazioni e le attuali è che oggi si ha accesso a tutto quello che si vuole. È un mondo talmente vasto dove è facile perdersi, e qui interviene l’algoritmo che in base alle ricerche di ognuno profila e propone di conseguenza. Si rischia di finire ad essere ascoltatori governati dall’algoritmo».

La “musica impalpabile” è il cuore del mercato attuale, non ci sono soluzioni alternative all’orizzonte?
«È il modello dominante che ha risollevato il mondo della musica. Rispetto a dieci anni fa l’industria discografica ha raddoppiato il suo valore. Poi, hai ragione, ci sono i lati oscuri, con queste piattaforme certi artisti molto validi si trovano a guadagnare briciole».

Dunque, il fine del master è far capire tutto ciò ai futuri professionisti del mestiere?
«La prima cosa che si insegna è che tutto parte dagli artisti. Si lavora con il talento di una persona, bisogna esserne consapevoli. Se si capisce questo ci si comporta di conseguenza».

Com’è strutturato il master?
«Sono 1500 ore di lezioni suddivise tra corsi, laboratori, case history con artisti presenti – un nostro frequentatore fedele è Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari – ci sarà anche quest’anno con un laboratorio – e poi stage in etichette discografiche, promoter di concerti, uffici stampa, media musicali ed elaborazione di un Project Work finale. Cerchiamo di dare una visione a 360 gradi del mondo della musica».

Avete molte richieste?
«Tantissime, una media di più di 100 per 25-30 posti. Siamo il corso di riferimento sulla musica in Italia, è un lungo lavoro di credibilità e reputazione. E poi, molti ex allievi ritornano come docenti. Il core del nostro lavoro viaggia su due binari, la comunicazione e il mondo digital».

Cosa sta succedendo con l’Intelligenza Artificiale?
«L’utilità del suo uso per l’industria musicale è tutta da capire, l’automatizzazione di certi strumenti c’è già da tempo, non è una novità. Dubito che l’IA si possa applicare alla creatività: l’imperfezione umana, che definisce il valore artistico, non è riproducibile».

Quale sarebbe il mondo ideale per la musica e l’industria musicale?
«Che ci fosse spazio per tutti, e altrettante possibilità economiche, ma anche una maggiore diversità e inclusione possibile. Penso alle proposte femminili che vanno molto meno di quelle maschili. Aggiungo: una maggiore sostenibilità, si deve lavorare sull’impatto ambientale. Ci arriveremo, si sta muovendo finalmente qualcosa».

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