La chitarra baritono amplificata con il sistema ascusmonico e ottofonico (per dovere di sintesi, sistemi che rendono lo stesso spazio in cui si sta seduti ad ascoltare un enorme strumento musicale grazie a una serie di altoparlanti disposti in una sequenza ben definita) è potente, evocativa, fa vibrare le corde delle tue emozioni. Basta una singola nota, profonda, che rimbalza, si moltiplica, ad accarezzare la tua anima.
Dopo otto anni di assenza dai palchi Franco Mussida è tornato. Venerdì scorso all’Auditorium San Fedele di Milano, teatro pieno di gente e di attese, il mitico ex chitarrista della PFM, ha presentato un concerto dove il protagonista non era lui assieme ai suoi musicisti, ma la musica.
Un bene molto più alto, un dono che abbiamo tutti a disposizione e che dovremmo saper cogliere. «L’uomo non può vivere senza la musica», mi aveva detto lo scorso anno Franco. Eravamo nel suo studio alla CPM, la scuola che ha fondato e che cura con la coscienza di chi deve trasmettere messaggi vitali. In quell’occasione mi aveva parlato di un universo dove è possibile viaggiare, un universo di note e magia di benessere e attenzione per l’uomo e le sue connessioni con la natura.
Torniamo all’Auditorium: Mussida, come lo chiama affettuosamente la moglie Loredana, emozionantissimo come se fosse al suo primo concerto della vita, è riuscito a compiere un piccolo, grande miracolo creando uno spazio temporale di pace, condivisione di emozioni, caricando tutto il pubblico nella sua barca, insieme a Iòtu, il protagonista del suo viaggio nel pianeta della musica. La chitarra baritono nelle sue mani diventa strumento universale mentre gli altri membri dell’equipaggio (le bravissime Giulia Lazzerini, Marta Bonato e Marina Ferrazzo alle voci, Eveline Lucchini al basso cinque corde, Alessandro “Pacho” Rossi alle percussioni e Alessandro Spoldi alle tastiere) si preoccupano di far navigare quella piccola barca nel mare delle emozioni.
Il disco uscito nell’ottobre scorso, Il Pianeta della Musica e il viaggio di Iòtu, dal vivo con l’aggiunta di nuovi brani, sul palco diventa un’opera che Franco definisce Pop, nell’accezione primaria del termine, patrimonio di tutti, ma che in realtà è… musica e basta. Chiunque quella sera ha potuto leggerci qualcosa in quelle sequenze di note, pop, prog, rock, worldmusic, timbriche jazz. Musica e parole che hanno raccontato un diverso punto di vista. Quello di un musicista, di un artista che ammette le colpe della sua fortunata generazione che ha succhiato la linfa della musica senza restituire alle generazioni future attimi di fervida creatività. E che ora, come racconta in Ti Lascio detto, non si può chiamare fuori.
Chiamata alle responsabilità per un bene superiore, quello della musica, appunto, che deve essere trasmesso per un futuro migliore. E un po’ migliori siamo usciti tutti quella sera dal teatro. Consapevoli di aver ricevuto un messaggio da cui nemmeno noi possiamo tirarci indietro. Cinquant’anni fa si chiamava musica impegnata. Oggi possiamo definirla musica per l’anima. Perché – e il messaggio che fa venire la pelle d’oca arriva diretto quando la band intona È tutto vero – siamo pigmenti colorati, condensati/ siamo il più e il meno/ l’invisibile sostanza di ogni nuovo arcobaleno.