Un pianista jazz e uno classico, quest’ultimo con una predilezione per gli artisti del Novecento. Insieme. Un’ottima notizia per chi ama i generi e le contaminazioni. A maggior ragione se i due musicisti in questione si chiamano Dado Moroni e Alfonso Alberti. Nomi conosciuti nei teatri di tutto il mondo per la loro intensa attività concertistica. Si potranno vedere insieme nell’”ultima puntata” della 28esima edizione dell’Atelier Musicale, sabato 18 marzo, come di consuetudine presso l’Auditorium Di Vittorio alla Camera del Lavoro di Milano alle 17:30, 10 euro.
Un’occasione ghiotta per ascoltare, in un’ora o poco più, un ripasso della musica del Secolo breve, capire con l’ascolto se ci sono punti in comune tra jazz americano e musica colta europea, tra free jazz e sperimentazioni, anche attuali. «Uno dei giochi sarà vedere quanto questi due linguaggi possano essere diversi oppure simili, trovare dei punti di contatto», mi dice Alfonso Alberti.
Dunque, sullo stesso palco Alberti e Moroni proporranno Debussy accanto a Fats Waller, Stravinskij e Bartók con Ellington e Strayhorn, Schoenberg e Stockhausen con Monk e Powell, Ligeti con Evans, Sugiyama con McCoy Tyner. Tutti autori che in qualche modo hanno contribuito ad evolvere standard musicali. Giovani creativi a cui è spettato il compito di cambiare, meglio, rovesciare narrazioni codificate. Continua Alfonso: «Checché se ne dica il senso dell’arte non sta semplicemente nel progresso. Se esiste un linguaggio, si prova ad andare sempre un po’ più in là».
Si alza l’asticella, come nel salto in alto. Si abbattono traguardi che sembrano irraggiungibili. «Autori come Stockhausen si sono spinti all’estremo nel ripensare l’ABC della musica, per ripartire da zero con un qualcosa di nuovo», osserva Alberti.
Chiedo ad Alfonso se Stockhausen sia uno dei suoi preferiti del Novecento. «L’ho suonato parecchio, ora non lo faccio più così spesso. Ringrazio però Maurizio Franco di Atelier Musicale perché mi ha chiesto espressamente di inserirlo nel programma, e a ragione. Non ci sarà, invece, uno degli autori del cuore di Alberti, Niccolò Castiglioni. «Lo ascoltavo quando avevo 15/16 anni, poi a 20 anni è arrivata la notizia della sua morte (era il 1996, ndr). Tito Ceccherini mi propose di costituire una formazione musicale per ricordarlo. Così è nato l’Ensemble Risognanze».
Inoltrarsi in questo dedalo di sentieri novecenteschi porta inevitabilmente a “rallentare” a qualche incrocio e a cambiare percorso. Da Stockhausen a Castiglioni a Sugiyama si arriva al periodo tardo romantico: che musica ascolti?, domando curioso. Alfonso di getto: «Gustav Mahler, lo metto sempre, mi tocca nel profondo, con le sue sinfonie costruiva mondi ideali». Per poi prendere la strada del jazz: «Non lo suono, non è il mio territorio. Ci sono, però, brani che propongo che non sono poi così distanti da mondo del jazz: Giorgio Gaslini, nel suo versante contemporaneo, scrisse per me alcuni brani. In uno di questi, Nella foresta degli alberi sognanti, si percepiscono i linguaggi di Monk e Sun Ra».