Il paradiso? C’è ed è la Terra. Parola di Lucas Santtana

Lucas Santtana – Foto Jérome Witz

Oggi vi presento un disco uscito ai primi di gennaio per la casa discografica francese Nø Format!. L’autore è Lucas Santtana, 52 anni, brasiliano di Bahia, nipote di Tom Zé, uno dei padri del Tropicalismo, polistrumentista, con domicilio in Francia, a Montpellier. Il disco si intitola O Paraíso. Fatte le presentazioni ufficiali, ve lo consiglio perché è uno dei lavori più interessanti che ho ascoltato in questi primi mesi del 2023, sia dal punto di vista musicale sia da quello “letterario”.

Cos’è il paradiso? Bella domanda. Stando alla religione cattolica il luogo di incontro tra l’uomo e Dio, un posto meraviglioso come lo descrive Dante Alighieri: Nel ciel che più de la sua luce prende/ fu’ io, e vidi cose che ridire/ né sa né può chi di là sù discende… Nell’accezione comune un luogo dove si sta bene. Per Maometto era un giardino di delizie… Per il nostro artista il Paradiso è un luogo ben definito, reale, presente che tocchiamo e respiriamo ogni giorno. La terra è il paradiso dell’uomo, «è lei che ci permette di vivere e di godere di ogni cosa», mi spiega Lucas che ho raggiunto a Parigi da dove è partito il suo tour che toccherà Europa (per ora non in Italia) e il Brasile.

È un concetto che va oltre l’ambientalismo e la sostenibilità di cui tutti si stanno riempiendo la bocca. È più un’affermazione, un rivendicare come il meglio lo si abbia davanti agli occhi: la Terra, il nostro piccolissimo ma enorme pianeta, baciato dalla fortuna e torturato proprio da chi dovrebbe onorarlo e rispettarlo. Não precisa morrer se quiser descubrir, Só precisa entender onde você vive (Non è necessario morire per scoprirlo, basta capire dove stai vivendo…), canta Lucas nel pezzo che dà il titolo al disco. Nei dieci brani che compongono O Paraíso, otto originali e due cover, Errare Humanum Est di Jorge Ben Jor (versione bellissima) e The Fool on the Hill dei Beatles cantato assieme alla brava Flore Beguingui, della band francese L’Impératrice (se non la conoscete, ascoltate Tako Tsubo, disco del 2021, un bell’elettro-funk), si celebra il racconto della vita, la necessità di riaffermare che tutti abbiamo diritto di godere del Paradiso.

Il lavoro di Lucas dal punto di vista musicale riflette il suo percorso artistico, ricerca, bossa, samba e un uso di ritmi e generi che, fusi insieme, ricreano ambienti confortanti. Qui il musicista ha lavorato per sottrazione, cercando efficaci ponti armonici usando pochi strumenti e una leggera effettistica data dai sintetizzatori. Per scelta, da sempre, canta in più lingue, perché «la musicalità delle parole è importante». Il risultato è una musica che arriva, avvolge ed emoziona. Per capirlo basta mettere in cuffia O Paraíso, What’s Life, Errare Humanum Est, La Biosphère, The Fool of the Hill, Sobre La Memoria, un samba cantato in spagnolo (come vi raccontavo poco fa!) che chiude quest’album ricco e composito. 

Dunque, Lucas, O Paraíso è la Terra!
«Sì. Ho letto molto sul nostro pianeta, sulla biosfera, e questi libri hanno cambiato il mio modo di percepire il mondo. Viviamo in un pianeta enorme, dove tutto è perfetto per noi, respiriamo, abbiamo l’acqua, le foreste, il cibo ho capito quanto questa nostra casa sia un’opportunità unica per il genere umano. Siamo circondati da un’infinità di cose meravigliose. Se esiste un paradiso questo è decisamente la Terra».

Hai deciso di pubblicare un disco militante?
«Non è un lavoro da attivista, piuttosto un disco affettivo, che manda messaggi positivi, un invito a riflettere per guardare al mondo come a uno splendido essere che perpetua la vita. Dobbiamo trattarlo bene, perché è la nostra unica chance, non ne abbiamo altre a disposizione. Abbiamo la fortuna di abitare questo pianeta, siamo dei privilegiati. Con questo non voglio dire che la ricerca nello spazio di nuovi spazi di vita sia inutile. Ma credo che sia più utile e necessario in questo momento cercare di salvare il luogo che abitiamo».

È un paradiso tattile e multiforme
«Che noi stiamo distruggendo come se la Terra avesse una vita illimitata. Non ha senso né ragione che ci siano persone, popoli interi che soffrono la fame, perché le possibilità di nutrire tutti ci sono. È una questione politica. Noi già siamo in paradiso, dobbiamo combattere perché lo diventi per tutti quanti».

Quello che sta succedendo agli Indios Yanomami in questo momento è inammissibile. Morire di fame nella foresta amazzonica…
«Abbiamo vissuto anni tragici con Bolsonaro. C’è stato un tentativo di genocidio programmato di questa tribù, considerati dall’ex presidente, che teorizzava il ritorno della dittatura, persone inutili: la grande foresta andava sfruttata a costo della sua distruzione. Invece è un ambiente che merita rispetto e di cui dovrebbe occuparsi il mondo intero: bene ha fatto Lula ha insediare un Ministero delle popolazioni indigene, e mi auguro che venga costituita una polizia composta da tutti i Paesi del mondo che salvaguardi foreste come l’Amazzonia. Vedi, l’esplorazione mineraria o di metalli rari non riguarda solo il garimpeiro (il cercatore, ndr) ma anche, per esempio, l’Europa che richiede per il suo consumo questi materiali. Ciò vale anche per le coltivazioni estensive di soia e per il legname pregiato. Dobbiamo capire che il nostro pianeta è limitato ed è doveroso rivedere gli stili di vita per garantire il paradiso alle generazioni che verranno».

Bolsonaro è stato una brutta pagina per la giovane democrazia brasiliana. La gente è cambiata, è più dura…
«È un processo che viene da lontano, certo, indietro non si può tornare. Dobbiamo imparare a convivere e trarre insegnamento da quanto accaduto. Oggi sappiamo che in Brasile un buon 20 per cento della popolazione è fascista. Questo è un dato di fatto, va accettato ma anche combattuto con la legge e la democrazia. Abbiamo avuto una dittatura militare per vent’anni e un presidente che aveva nostalgia di quel periodo terribile della nostra vita. Si è arrivati a un passo da un nuovo regime, ma i militari non hanno voluto, così come la maggior parte del Brasile. Ha vinto la democrazia con tutti i suoi errori e difetti».

Un’ultima domanda. Avete usato poca elettronica in questo disco o sbaglio?
«Abbiamo suonato con strumenti “veri” ma anche con synth. Quello che non abbiamo fatto è stato di correggere digitalmente gli errori. Se si sbagliava si registrava tutto di nuovo. Per questo è un disco autentico, genuino».