Il 26 agosto sono usciti tre album che mi sono piaciuti assai. Parto con Will of the People dei Muse, su quest’album ci tornerò perché ha un legame con un altro lavoro della band britannica che ho ascoltato molto, Drones, del 2015, ma che non è stato sufficientemente considerato. Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard hanno aumentato (e di brutto!) la dose di impegno politico e visionario tipico della loro musica, esasperandolo nei toni con pesanti guizzi dark metal, duro e tagliente e un’elettronica esasperata. Album subito idolatrato ma altrettanto criticato. Lo sto ascoltando, sono quei lavori che richiedono molta attenzione perché si rischia di cadere facilmente negli eccessi opposti di giudizio.
Oltre ai Muse si sono fatti vivi anche gli Yellowjackets, una band che negli anni Ottanta ho ascoltato fino alla nausea: il loro primo album giallo del 1981 che porta il nome della band, l’ho solcato a forza di farlo girare sul piatto. Con Parallel Motion, il loro ultimo lavoro, si arriva a un jazz più maturo, sempre prorompente, merito di un basso elettrico tostissimo, suonato dal virtuoso Dane Alderson, dalle tastiere concentrate e impossibili del mitico Russell Ferrante, dal sax e clarinetto di Bob Mintzer e dalla batteria di Will Kennedy. La casacca gialla l’hanno vestita in questi decenni altri grandi musicisti: Felix Pastorius, figlio di Jaco, al basso, Terri Lyne Carrington alla batteria, Robben Ford, chitarrista e fondatore della band. Troverete una traccia con un titolo italiano, Il Mio Amico: non è altri che il pianoforte Fazioli di Russell, a cui il musicista ha dedicato addirittura una canzone…
Però… però il terzo album mi ha colpito. Un misto di ricordi ed emozioni. Un lavoro fresco, bello, che ti cattura dalla prima nota, firmato Valerie June: Under Cover. La polistrumentista del Tennessee, con quella voce talmente particolare che ti entra nell’anima e te la scava, graffiante e dolce allo stesso tempo, ha fatto centro. Under Cover, titolo a doppio senso, è una personale rivisitazione di otto brani scelti dagli ascolti di Valerie, eseguiti con quella apparente semplicità che li trasforma in pathos e pensieri, dolcezza e intimità.
Brani decisi con cura, che parlano delle piccole cose della vita, delle gioie e dei dolori di tutti e che per questo toccano. Brani iconici come Imagine di John Lennon, una delle canzoni più suonate e famose di tutti i tempi, risolta con una leggerezza piena di speranza. Brani toccanti come Into My Arms di Nick Cave and The Bad Seeds, l’unico dove la June si lascia andare a una maggiore cupezza. O, ancora, la dylaniana Tonight I’ll Be Staying Here with You, dall’album Nashville Skyline del 1969 (quello che conteneva Lay Lady Lay, Girl From The North Country, cantata con Johnny Cash, e I Threw It All Away), qui in una appassionata versione folk. Il pezzo che più mi ha catturato è la splendida rivisitazione minimal di Godspeed, di Frank Ocean, riproposto con una struttura semplificata rispetto all’originale, quasi mistica.
Il mio è un convinto invito ad ascoltarvi questo divertissement firmato dalla quarantenne artista soul/blues. Perché la sua voce è una calamita che ti attira e ti conduce per le strade dell’emozione profonda. Valerie June tocca le corde giuste, e questo basta per metterla in cuffia, un buon bicchiere di Rum, in una notte stellata di fine estate…