Giovani e Musica: sogni, aspettative, ansie e tanta voglia di raccontare

Martina Conti

I ventenni e la musica. Cosa li spinge a vivere di note? Quali le aspirazioni artistiche e culturali in un mercato discografico – almeno in Italia – piuttosto verticalizzato su generi commerciali tutto sommato banali e artefatti? Sono domande che mi faccio da un po’. Così, grazie alle tante segnalazioni che ricevo ogni giorno, ho individuato due ragazzi che stanno muovendo i loro primi passi in questo mondo così apparentemente libero grazie ai social, ma in realtà sempre piuttosto chiuso. Si chiamano Daniele Delogu, in arte NILO, 21 anni appena compiuti, di Sassari, e Martina Conti, 22 anni, veneta della provincia di Treviso.

 

Daniele frequenta composizione al Conservatorio di Piacenza, Martina si è appena laureata in Comunicazione e Pubblicità. Non fanno né rap né trap, anche se sono generi che ascoltano, poco italiano molto americano. Non inseguono, dunque, la via più facile. Sono figli – inevitabilmente – di Spotify. Daniele ha prodotto un album, Meco, due Ep, Direzioni Future e Lobi, e alcuni singoli, tutti publicati tra il 2020 e il 2022. Martina, invece, è al suo primo singolo, Ipnotica. Il primo spazia tra alt rock e accenni jazz, la seconda, invece, naviga nell’indie, sua grande passione.

Ragazzi comuni, ragazzi di spessore, con le loro ansie ma anche speranze, con la loro visione lucida del mondo, sognatori ma ben attaccati alla terra, viaggiatori realisti potremmo definirli.

Fa bene per noi che di anni ne abbiamo ormai troppi (ah, la vita!) fare qualche immersione nel mondo del futuro. Un tuffo stimolante e non banale. Così tra un uso sapiente dei social e poca fiducia nella politica, tra sogni e punti di riferimento inaspettati ne sono usciti due ritratti che fanno ben sperare per un futuro meno omologato almeno nella musica. 

Presentazioni: Daniele, iniziamo da te…
«Ho 21 anni, studio composizione al conservatorio di Piacenza. Scrivo partendo dalla musica, quindi poi sviluppo il testo. Una volta sistemate queste due cose incomincio con gli arrangiamenti, vedo quali musicisti e quali strumenti ho a disposizione e inizio ad assemblare il tutto».

Sono tuoi colleghi di studio?
«Sì allievi del conservatorio (sono tutti del corso di jazz) che si sono interessati al progetto e con i quali suono e faccio concerti. Gli ultimi due Ep che ho pubblicato su Spotify li ho fatti insieme a loro, in base alle loro esigenze e ai loro gusti, è il bello della musica scambiarsi le idee…».

Martina, raccontami la tua passione per la musica…
«L’ho sempre avuta, fin da piccola, prima studiando pianoforte, quindi chitarra, ascoltando tanti dischi e cantandoci sopra. In realtà mi sono laureata in Comunicazione e Pubblicità. Apparentemente sembra che non abbia nulla a che fare con la musica, però ho frequentato corsi che includevano la musica, come musica pop e radio. Ho sempre desiderato lavorare in questo ambiente, però, ho pensato, se non ce la dovessi fare, mi piacerebbe comunque restare in quest’ambito, magari dalla parte della produzione, della radio».

Musica e testi del tuo primo singolo li hai scritti tu?
«Sono più una persona che si “inventa” le melodie, però mi faccio molto aiutare, soprattutto con i testi».

Come vedete il mercato musicale nazionale?
Martina: «Della scena italiana ascolto in primis l’indie. Va tanto anche la trap, ma non l’ascolto molto, preferisco quella americana. C’è un panorama piuttosto vasto, e ciò mi piace perché vuol dire che c’è spazio anche per persone come noi!»
Daniele: «Sono convinto che ci siano, fortunatamente, tantissimi generi ascoltati e apprezzati. Però, e non è un problema solo italiano, soprattutto nell’ultimo periodo la musica sta diventando un po’ mordi e fuggi, tende al verticale verso un unico genere. Ascolto anch’io la trap, ci sono della cose molto buone come altre parecchio brutte. Negli ultimi due tre anni sta diventando un ostentare fine a se stesso». 

La trap non è una novità, è partita come una rivoluzione sociale negli Stati Uniti negli anni Novanta, qui mi sa tanto di costruito. È una verticalizzazione perché serve a far soldi… E poi i testi sono molto autoreferenziali e banalissimi…
Martina: «Questo non te lo so dire, non ascolto solo trap e rap. La musica è un’espressione personale, ci sta il parlare solo di se stessi. E poi, anche quando parlo degli altri, lo farò sempre dal mio punto di vista, quindi portando qualcosa di me».

Non è perché ti viene più semplice?
Martina: «Sicuramente. Ho iniziato a fare musica mia e non a cantare canzoni degli altri, perché in questo modo ci metto me stessa, volevo qualcosa di molto più personale».
Daniele: «Sono d’accordissimo con Martina. Scrivo molto su di me. Poi c’è sempre uno sfuggire da se stessi e cercare di criticare gli altri, la ragione per sentirsi un po’ migliori, non sentirsi unici e solitari. Però non credo sia negativo il fatto che gli artisti si concentrino sul parlare di sé. Sono curioso, mi interessa capire cosa e come vive le sue emozioni un artista».

Daniele Delogu

Il parlare di sé è aumentato in questi ultimi anni. Avrà contribuito anche il Covid…
Martina: «Possibile, sono stata tanto sola in questo periodo. Ho lavorato su molti lati del mio carattere che non mi piacevano. Il lockdown per me è stato positivo, anche se, soprattutto all’ultimo anno di università, non frequentando, si sono chiusi molti rapporti personali».
Daniele: «In questi due anni sono cambiato, ma in negativo, sono diventato un po’ melodrammatico, anche se ho lavorato tanto. Ho scritto il mio primo album in quarantena, non sapevo cosa fare, stavo impazzendo. Certe cose sento di non vivermele più nel modo in cui me le godevo prima, ho perso il gusto di gustarmi anche le piccole gioie».

E ciò ha influito sulla vostra musica?
Martina: «Certo! Se un fatto ti cambia come persona, anche il mirato artistico, che è un po’ l’espressione di se stessi, è cambiato molto».
Daniele: «Anche per me. Nonostante sia stato tragico, riconosco che sono le cose migliori che possano succederti, gli eventi che ti destabilizzano ti fanno diventare molto produttivo, scrivi tanto!».

Che cos’è per voi la musica?
Martina: «Sembra un po’ stupida come risposta, però è veramente tutto, perché non mi vedo fare altro nella vita!».
Daniele: «È l’arte che riesce a comunicare meglio di tutte le altre, perché molto più d’impatto. Provo emozioni molto più forti ascoltando un brano piuttosto che guardando un quadro. È l’unico mezzo con cui mi trovo bene ad esprimermi: meglio “scrivere” un suono un rumore che parlare!».

Avete artisti di riferimento?
Martina: «Seguo soprattutto artisti internazionali, l’ho scritto anche sulla mia biografia di Spotify, sono una grande fan di FKA twigs, mi ispira molto, ho fatto anche la tesi di laurea su di lei!».
Daniele: «Ne ho molti, da Daniele Silvestri a Frah Quintale, anche Salmo, essendo sardo, il gruppo sanguigno influisce!».

Il vostro obiettivo ora?
Martina: «Continuare a fare musica, Ho già altre canzoni pronte, non vedo l’ora di pubblicare tutto quanto! Vorrei far uscire  un album, dopo l’estate. Il mio obiettivo è costruire la mia base musicale».
Daniele: «Starò tranquillo per un po’, ma non starò fermo! Ho alcuni pezzi interessanti che vorrei far uscire. Gli obiettivi? Ampliare di più la fetta di pubblico, cercare di arrivare a più persone».

Vi stanno seguendo nel vostro percorso musicale?
Martina: «Sì c’è un team».
Daniele: «In questi due anni ho costruito un gruppo di lavoro, tra cui mio fratello che è un designer, per aiutarmi dal punto di vista dell’estetica e dell’immagine».

Case discografiche in vista?
Martina: «Sono con UMA Records».
Daniele: «Per ora niente, altre autoproduzioni… arriverà qualcosa!».

Quanto ha influito sul vostro modo di lavorare la musica italiana e internazionale degli anni precedenti, penso al rock, a certo pop anni Ottanta e Novanta, al jazz, al punk, al soul…
Martina: «L’artista italiana che più mi ha aiutata a crescere è stata Mina. Non voglio paragonarmi a lei, ma l’ho ascoltata talmente tanto, cantandoci sopra che la vedo come una figura di riferimento».
Daniele: «Sono stato influenzato tantissimo dal rock prog, Pink Floyd Genesis. Quindi, dai Radiohead e Muse. Ora, con il fatto che ho colleghi che studiano jazz, ne sto ascoltando tantissimo».

Quanto conta l’essere visionari nella musica?
Martina: «Secondo me non esiste più, è una cosa del passato, oggi si tende a essere un po’ tutti uguali…».
Daniele: «Un musicista non deve essere necessariamente visionario, ma curioso, non aver paura di cambiare. C’è tanta paura, si rimane bloccati, si teme di non essere capiti. Con la velocità di questi tempi, basta una canzone, un album per non andare avanti. L’ansia di non essere più apprezzati, più capiti, di guadagnare sempre meno…».

Mi state dicendo che un artista oggi non può permettersi di essere visionario?
Martina: «La musica è concepita molto come usa e getta, fatta per monetizzarci e poi ciao! Al giorno d’oggi tutti possono fare musica, l’accesso è alto. I social hanno cambiato tutto, prendi Tik Tok, canzoni stupide, fatte apposta per essere stupide che diventano famosissime perché tutti le usano per sottofondo dei propri post».
Daniele: «Si tende a scrivere canzoni per contesti. Non c’è più un genere, non ha abbastanza senso. Ci sono canzoni che funzionano perché appartengono a un determinato ambiente».

Esempi di contesti?
Daniele: «Musica per divertimento in discoteca, artisti che puntano più sui club e quindi fanno musica per pochi, brani per Tik Tok, pezzi di 30 secondi a stare lunghi, con un giro di accordi che ormai tutti conosciamo a memoria ma che spaccano. Queste vanno di brutto. E tutti ci stiamo piegando a questa cosa qui».

Daniele ho ascoltato, da Lobi, Mio nonno era un pittore, mi ha colpito molto…
«Non doveva nemmeno essere pubblicata perché l’ho scritta poco prima che uscisse l’album, dopo la morte di mio nonno, avvenuta qualche mese fa. È l’unico pezzo non suonato con strumenti ma digitale».

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