È uscita per Edizioni Curci la colonna sonora firmata da Fabio Massimo Capogrosso, di Esterno Notte, il lungo film di Marco Bellocchio ritornato, dopo Buongiorno, Notte del 2003, ad affrontare il tema del rapimento dell’allora presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e la strage degli uomini della sua scorta da parte delle Brigate Rosse, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Fa bene il regista piacentino a non dimenticare uno degli episodi più bui della nostra Repubblica. All’epoca del rapimento avevo 16 anni, ricordo con ansia quei giorni: dal profondo Veneto dove allora stavo, si percepiva una nebbia strisciante che saliva progressivamente e copriva tutto. L’immagine che avevo in quegli anni dell’Italia e di tutto quello che stava accadendo era quella di una palude senza fine, vista in bianco e nero, sfuocata, ansiogena.
Quelle sensazioni mi sono tornate alla mente ascoltando la musica di Capogrosso: il suono sordo e ossessivo dei timpani a scandire il tempo, l’ansia dei violini, il crescendo delle voci in un ricongiungimento di dolore straziante del brano Requiem per via Caetani, merita più di un ascolto. Come il Valzer delle Maschere, graffiante accompagnamento sonoro a un mondo politico per nulla trasparente.
Il perugino Fabio Massimo Capogrosso, 38 anni, è autore di musica sinfonica, cameristica e teatrale. Vista l’età, non ha vissuto quei momenti ma è riuscito a renderli molto bene: «Ho provato, attraverso soprattutto l’uso di un’orchestrazione densa e ricca di colori, a esplorare in profondità le articolate dinamiche di una vicenda così drammatica, ma che al contempo presenta anche aspetti tristemente incomprensibili e grotteschi», ha dichiarato in più interviste. S’è ispirato leggendo la sceneggiatura e guardando i girati. Quasi sei ore di film, diviso in due parti presentate nei mesi scorsi al cinema, che diventeranno una serie trasmessa il prossimo autunno dalla Rai.
Fabio, è stato un lavoro molto difficile e altrettanto interessante…
«Ho sentito il classico peso sulle spalle, ma sono sfide che un artista accetta con entusiasmo. Anche perché sono sempre stato affascinato dal cinema e, soprattutto, dai lavori di Marco Bellocchio».
Quanto ti ha occupato la composizione?
«Ho lavorato anche 15/20 ore al giorno per circa un anno. Sono quasi sei ore di film e Bellocchio è un regista che non si accontenta, indaga, ragiona, riflette, cambia».
Che metodo di lavoro vi eravate dati?
«È stato un dialogo continuo con Francesca Calvelli, grandissima montatrice e compagna di Bellocchio, e con Claudio Misantoni, l’altro montatore con cui ho lavorato. Il Tema dello Stato, per esempio, è una richiesta di Marco e Francesca: lo Stato c’è, reagisce ma i tentativi risultano anche assurdi e ridicoli…».
Ascoltando i 16 brani del disco ho avvertito molto Stravinskij…
«Finalmente qualcuno che me lo dice, grazie! Te ne sei accorto: Stravinskij è uno dei miei fari nella composizione, non solo in questa colonna sonora…».
Il Valzer delle maschere ha un che di tragico nella sua apparente spensieratezza…
«È un momento grottesco della vicenda Moro. L’ho scritto su una scena molto cruda, il giuramento dei sottosegretari del nuovo governo, immediatamente dopo il rapimento del presidente DC…».
Infatti, proprio quel giorno alle Camere doveva essere presentata la fiducia al nuovo governo Andreotti, cosa che successe lo stesso pomeriggio del rapimento… Torniamo al disco: nella release digitale ci sono 16 brani, tra cui una sofisticata versione de L’Internazionale…
«Ho dovuto fare una scelta perché in realtà c’è molta più musica, in totale è più di un’ora e venti minuti».
Quando componevi seguivi un ordine?
«No, il calendario delle riprese. Francesca Calvelli ha una spiccata sensibilità musicale, quindi s’è lavorato davvero molto bene, in sintonia».
Com’è stato lavorare con Bellocchio?
«Quest’occasione mi ha dato molto. Interfacciarmi con lui è stato fantastico. Alla soglia degli 83 anni, ha un grande entusiasmo, lo stesso di un bambino che scopre il mondo. Mi ha dato molto anche dal lato musicale, quindi sono cresciuto sia come uomo sia come artista».
Come è stato accolto il tuo lavoro dai tuoi colleghi?
«Ho ricevuto molti messaggi da musicisti, pochi da compositori, in verità, che mi hanno suggerito di farne una suite, un’opportunità che valuterò».
I brani dove sono stati registrati e con quale orchestra?
«A Praga, dalla Czech National Symphony Orchestra, diretta dal maestro Marek Stilec. Hanno fatto un ottimo lavoro, grazie anche a Goffredo Gibellini, grande fonico, che ha seguito tutta la parte della produzione. Insomma, un gran bel viaggio!».
Farai altre colonne sonore?
«La mia ambizione non è quella di fare altri film ma di incontrare progetti profondi con persone che hanno una visione altrettanto profonda con cui condividere un cammino. Mi è capitato più volte di dire no. Sento di potermi esprimere, ho il mio linguaggio creato con studi, fatica, applicazione».
Ne approfitto: come vedi la musica oggi?
«Viviamo in un’epoca dove, da una parte Internet ha avuto il pregio di diffondere la musica, ma dall’altra ha contribuito a creare quello che Carlo Boccadoro nel suo omonimo saggio ha definito gli analfabeti sonori».
Non c’è solo un problema di ascolti…
«Chiunque oggi può mettersi al pianoforte e dire che è un musicista, anche se non conosce la musica… È come scalare o aggirare una montagna per evitare di far fatica. Il musicista sale, se la conquista la vetta! Prendi Arvo Pärt: la sua musica è apparentemente semplice, in realtà è di una complessità assoluta».
Fabio, dunque, cosa ascolti?
«Un po’ di tutto, attualmente Baby Shark (ride, ndr), ho una figlia piccolina! Rock, reggae, il jazz mi piace da morire!».