Ci sono tanti modi per fare musica. Soprattutto oggi, un limbo, dove tutto sembra essersi cristallizzato e dove ci si muove a fatica, su strade strette e apparentemente invalicabili. In questo mondo in slow motion, per fortuna, ci sono speranze. Piccole, probabilmente insignificanti comparate al mondo dei live precovid, ma fresche, genuine da cui trarne insegnamento.
E vengo al punto. Lui si chiama Giulio Voce, ha 33 anni, è romano dell’antico e popoloso quartiere San Giovanni, e di professione fa il cantautore. All’attivo ha un album, Lithos, e due Ep, Terra Bruciata e Voce. È un musicista, quindi grande rispetto per il suo lavoro! Uno cresciuto a rock anni Sessanta e Settanta, cantautori alla Guccini e alla Rino Gaetano, fulminato dagli Offspring. Quale mix può esserne uscito dai suoi ascolti e dal suo background lo giudicherà chi vorrà ascoltarlo. In lui ho trovato, data l’età, reminiscenze di quelle estati da adolescenti degli anni Settanta, un po’ impegnate e altrettanto “cazzare”, tra folk americano, rock British e cantautorato impegnato.
Giulio è stato uno di quelli che ha approfittato della quarantena per crescere come artista, cercando aspetti del suo lavoro più umani, contatti, pareri, consigli dai suoi fan, vecchi e nuovi, sparsi lungo tutto lo Stivale. E proprio questo contatto virtuale lo ha reso reale a molti, che hanno iniziato ad apprezzarne la musica e il suo modo di presentarsi. Il motivo per cui l’ho contattato…
Quest’anno niente concerti, niente pubblicazioni, niente di niente…
«Non è un 2020 molto fortunato. In aprile avrei dovuto fare il “concerto della vita”, quello che prepari e speri perché può svoltarti la carriera, nella sala Petrassi all’Auditorium Parco della Musica, quindi in estate sarei dovuto partire per un tour… È saltato tutto, così ho pensato che dovevo ottimizzare le occasioni perse».
Quindi?
«Grazie proprio al lockdown e alla mia presenza sui social che mi ha dato l’occasione di conoscere persone nuove, parlarci, discutere, m’è venuta l’idea di fare ugualmente un tour, molto particolare, però, andando a suonare nella case di chi mi vuole invitare e ascoltare dal vivo. Ho sondato e molti, tanti, si sono offerti di ricevermi, chi nel giardino del condominio, chi nel salotto di casa, addirittura, questo ad Ancona, a bordo di una barca a vela. Sto ancora mettendo a punto il progetto, probabilmente con me ci sarà un altro musicista, quindi un fonico, un fotografo, un videoreporter e una giornalista. Vorrei ricavare da questo viaggio in musica una sorta di docufilm – mi piace spaziare in altri ambienti. Insomma, un’avventura post-covid a stretto contatto con il pubblico».
Della serie, se il pubblico non può andare dall’artista è l’artista che va a casa del pubblico… Suonerete gratis?
«Ci sono alcune opzioni in discussione: lanciare un crowdfunding – e lo farò in questi giorni – ma anche forme diverse di accoglienza, ad esempio un baratto, scambio di ospitalità per immagine. Stiamo pensando di noleggiare un camper, che sarà la nostra casa per il tour e potrebbe diventare anche un elemento di unione nella nostra avventura musicale».
Dove andrete?
«Al Nordest, dove abbiamo avuto molti inviti, soprattutto in Veneto, San Donà di Piave, Jesolo, Bibione, ma anche in Friuli Venezia Giulia, passando per le Marche. Avrei inviti anche a Sud… vediamo come va il primo esperimento. Mi piacerebbe raccontare l’idea di viaggio, che in realtà sto già elaborando da mesi, con una serie di canzoni che comporranno il mio prossimo disco: mi ha dato lo spunto la Trilogia dei Pirati scritta da Valerio Evangelisti, con cui sono entrato in contatto. Il brano Tortuga fa parte di questo progetto, come l’altro, Penelope, o C’eri Tu, brano contenuto nell’Ep Voce, elemento anch’esso di questa lunga storia: una canzone semplice, estiva, molto pop. Scrivere una cosa apparentemente semplice è difficilissimo, perché facilmente cadi nelle banalità».
L’idea di avere con te un fonico ti fa onore…
«Se devi presentare un brano lo devi fare bene. E poi, è fondamentale l’empatia che si crea con i tecnici. Senza di loro un concerto non sarebbe tale…».
Cosa ti aspetti dal tuo “personal tour”?
«Anche prima della quarantena molti mi domandavano: ma tu preferisci suonare nelle piazze, nei club o nei caffè letterari? Rispondevo – e ribadisco – che per me i migliori concerti sono i “post cena gucciniani”, quegli attimi dove c’è un vero scambio di emozioni, una sorta di ritorno alle origini, dove io racconto una storia e poi ho il contatto diretto e immediato con il pubblico. Mi aspetto questo. Vorrebbe dire che ho fatto centro!».