Ieri sera, con Rufus Wainwright si è chiusa un’edizione “straordinaria” di Piano City, battezzata Piano City Milano Preludio 2020. L’evento dal vivo che in pochi anni s’è affermato come uno dei principali appuntamenti musicali del capoluogo lombardo si terrà, covid19 permettendo, in autunno.
Questi tre giorni di maggio (22/24), le date tradizionali, si sono tenute lo stesso, in live streaming. In alcuni casi, d’ottimo ascolto, in altri tremendamente metallici, tanto da risultare anonimi. C’erano grandi nomi da Remo Anzovino, a Boosta, da Rosey Chan a Chilly Gonzales (la sua lezione al pianoforte è stata davvero interessante), Silas Bassa, Ludovico Einaudi, s’è aggiunto anche Vinicio Capossela, assieme a tanti altri musicisti.
In questi mesi di quarantena la musica ci ha fatto sempre compagnia, dalla classica al pop, passando per rock e jazz, rap e contemporanea, artisti da tutto il mondo si sono esibiti collegandosi da uno smartphone o da un computer, come tanti “busker” nelle loro case, chi davanti a un pianoforte, chi con una chitarra, chi con una base pre-registrata. Come per molte altre cose (tante, a dire il vero) la quarantena ci ha obbligato a rivedere il nostro modo di vivere, guardare, ascoltare.
In particolare, nel live streaming abbiamo ascoltato – e visto – super musicisti, rockstar, popstar in versione casalinga, come mai ci saremo aspettati di immaginarli. Si esibivano per rimanere sostanzialmente vivi e presenti, una necessità bilaterale, a dire il vero… È come se improvvisamente, dai potenti diffusori digitali si fosse passati alle prime radioline portatili, gracchianti, metalliche, prive di colore e profondità. L’uomo, come tutti gli esseri viventi di questo mondo, ha una buona capacità di adattamento.
In questo momento, come hanno ricordato in tanti, anche la musica è profondamente penalizzata. Non sto pensando ai soli artisti, alle pop star milionarie, ma a chi contribuisce a renderli tali. Ad esempio, i tecnici, fonici, light designer, coloro che lavorano dietro al palco per garantire una performance perfetta a una band, un’orchestra, un cantante. E anche ai turnisti, musicisti e coristi, che vivono di palco in palco. Queste persone, altamente professionali, oggi non hanno voce, non hanno un sindacato che li difenda né una valida prospettiva per almeno un anno. Bisognerà fare qualche cosa.
Ci sono un po’ di idee in giro tra gli addetti al settore: per esempio, l’ultima arrivata proprio oggi, 26 maggio, quella di Machete Aid on Twitch, 12 ore di diretta streaming, venerdì 5 giugno dalle 15 sul canale @MacheteTV di Twitch, per raccogliere fondi a supporto «del settore musicale italiano, messo a dura prova dall’emergenza sanitaria causata dal COVID-19», come spiegano gli organizzatori della crew hip-hop. Sempre i vulcanici ragazzi: «Durante la diretta interverranno vari artisti e personalità provenienti dal mondo della musica, dello spettacolo, dell’eSport, della cultura e delle istituzioni». Ci sono altre raccolte fondi in corso, come quella di Music Innovation Hub, ma ne parleremo a tempo debito…
A proposito di live streaming leggevo un interessante articolo di Alex Ross, critico musicale del New Yorker proprio su tutti questi argomenti. Il titolo? Concert in the Void, “Concerti nel vuoto”. Ross nota come queste esibizioni siano il più delle volta tremende, persino imbarazzanti, perché non accuratamente microfonate, con una scena difficile, le case di ciascuno, che distraggono l’ascoltatore, contribuendo a ridefinire sostanzialmente il concetto di ascolto. Però, scrive l’autore, «Documentano, con il potere obliquo che le arti possiedono, una straordinaria fase umana nella storia. La loro mera esistenza è incoraggiante e, a volte, raggiungono un potere sorprendente».
In effetti, la quarantena ha scatenato la creatività di artisti come Florent Ghys, musicista francese di 41 anni, che in questi giorni ha pubblicato in rete alcune sue composizioni basandosi su un coro molto particolare, che lui ha battezzato Cats&Friends (sì un coro di animali!), rielaborando brani di maestri come Erik Satie (Gymnopédies), o lo Stabat Mater di Pergolesi. Possono far inorridire i puristi, ma sono un uso “virtuoso” del mezzo a disposizione per comunicare, provocare, far riflettere…
Ricordate l’intervista a Fabrizio Sotti che ho pubblicato qualche giorno fa? Richiamava la “classe media della musica” e il rischio che questa, in appena un anno, possa venire cancellata definitivamente. Lui parlava del jazz. Zach Finkelstein, un tenore di Seattle, ha aperto un blog, The Middle Class Artist, dove discute, collega, provoca, cerca di tenere insieme, appunto, la classe media degli artisti, gli onesti lavoratori del palco e delle sale d’incisione per cercare una via d’uscita alla crisi.
E andiamo a concludere: i live streaming casalinghi dunque servono? Nel lockdown sono stati essenziali per moltissime persone (e lo sono tuttora). Hanno aiutato artisti e pubblico. Ma è stata una fase, e in quanto tale, questa deve essere superata. Con la fine delle varie quarantene sarà possibile continuare sulla strada del live streaming, magari fatto in modo professionale con tutti i lavoratori della musica protagonisti, dalla star al fonico, così si potrà ascoltare un’esibizione perfetta, pagandola, sì, pagandola!, come si paga un qualunque film sulle piattaforme. In attesa di ritornare ad affollare teatri, club o super concerti.