Stasera spegnerà le sue mille luci Eurovision Song Contest, il Sanremo d’Europa. Essendomi imposto di ascoltare tutte le canzoni in concorso, ascoltate nude, senza il corollario di tori roteanti, lucine, sfavilliii, ho avuto più e più attimi di sconforto. Lo confesso.
Nulla contro lo spettacolo in sé, uno storico festival della canzone famoso nel mondo. Nato nel 1956 per presentare, sull’onda di Sanremo, la tradizione musicale e canora d’Europa, è stato un modo per contribuire ad avvicinare i Paesi riconciliati, la musica e le culture in essa espresse potevano diventare uno dei collanti per costruire una nuova Europa, possibilmente unita. Con gli anni il senso è cambiato ed è diventato un evento, un grande spettacolo mondiale, Insomma, una macchina da soldi.
Ho ascoltato le canzoni “nude”, dicevo. Delle peculiarità dei singoli Paesi, a parte qualche accenno di ritmo o qualche strumento tradizionale inserito per titillare la memoria dell’ascoltatore, il resto è un pop light, dove s’è attinto a piene mani impastando rock, popmusic anni Ottanta e Novanta, echi di acid jazz, pizzichi di funk e frammenti di Morricone q.b. Un piatto ben servito!
Qualche esempio? Gli sloveni LPS con Disco, sono un’imitazione imbarazzante dei Jamiroquai… la svedese Cornelia Jackobs in Hold Me Closer richiama sostanziosamente la Lady Gaga di Shallow. I Cechi We Are Domi in Lights Off ricordano tanto il pop sbarazzino di Ariana Grande…
E se la lituana Monika Liu con Sentimental fa tornare alla mente la brava Caro Emerald, con un pezzo ben assemblato, il tedesco Malik Harris in Rockstars si allinea alle tante ballad cantate e rappate con crescendo alla Eminem (non è il solo…). Continuo: l’inglese Sam Ryder, con Space Man, oltre a portare lo stesso nome, assomiglia, all’inizio del brano, terribilmente a Sam Smith, per cambiare progressivamente e trasformarsi in Freddie Mercury, in uno dei classici crescendo alla Queen… E ancora: l’estone Stefan con Hope, fa il verso al grande Ennio Morricone con tanto di cori, chitarre western e fischio: cosa non si fa… Per un Pugno di dollari.
Capitolo a parte per gli ucraini Kalush con il brano Stefania. È un classico rap con rimembranze local, cori inclusi. Sono ucraini, inevitabile che stiano funzionando da catalizzatore, un simbolo di quanto sta succedendo oggi in quel Paese. Vien da sorridere, se non ci fossero di mezzo distruzione e morte. Siamo a quasi tre mesi di guerra scatenata dalla Russia e alimentata dall’America con lo scopo di “aiutare”… Una guerra dove chi deve guadagnare, guadagna e chi deve morire, muore, senza imbarazzi. Li danno per favoriti, anche se la musica, credo, c’entrerà poco nelle scelte dei votanti.
C’è da tener d’occhio anche il Portogallo con Maro e la sua Saudade Saudade, e Mahmood & Blanco (nell’ascolto generale devo ricredermi sul loro brano, nettamente una spanna sopra). Un solo rammarico, ovviamente per il sottoscritto: l’eliminazione dei georgiani Circus Mircus con il brano Lock Me In, un funk rock con accenni beat anni Sessanta, ben suonato. Allegri, spavaldi, teatranti, lo specchio della Georgia, terra aperta e accogliente da sempre.
Concludo: vinceranno probabilmente i Kalush e mi starà bene, l’attenzione del mondo è lì. D’altronde quello dell’Eurovision è un festival fatto per stupire con effetti speciali, ricchi premi e cotillon, come diceva Renzo Arbore a L’Altra Domenica. Ma anche per riflettere, a gentil volo d’angelo, sui problemi e sulle battaglie sociali. Tutto all’acqua di rose: lo show deve andare avanti, divertire, commuovere, con un pizzico di tristezza e uno di verità. Ricetta sperimentata non si cambia.