
Paolo Benvegnù e Luca Baldini – Foto Antonio Viscido
Per chi ha amato Paolo Benvegnù, la sua poetica, la sua musica ci sono tre appuntamenti da non mancare, tra Toscana e Marche, al Festival delle Musiche, a Fiano della Chiana (AR) in piazza Matteotti, domenica 3 agosto, al Teatro Romano di Fiesole il 4 e a Pesaro, martedì 5 agosto (Anfiteatro Parco Miralfiore).
Chi ha organizzato il tutto è il Roccia, Luca Baldini insieme con i Bevegnù, la band che ha accompagnato per anni Paolo, con Enrico Fink e la sua Orchestra Multietnica di Arezzo, e con un ospite speciale: Neri Marcorè che canterà assieme ai quattro cantanti dell’Orchestra e a Luca.
Tutti musicisti che hanno scambiato con Paolo note e amicizia, legati da quella sensibilità umana e artistica coinvolgente che l’artista milanese trasmetteva naturalmente. Una dote? Una professione di vita? Forse entrambe le cose. «Neri non l’ha mai incontrato di persona, si sono conosciuti, scritti, parlati a lungo per telefono, dovevano trovarsi ma poi è successo l’inevitabile», mi racconta Luca.
Come leggerete nella lunga intervista che ho fatto al bassista toscano, i Benvegnù stanno celebrando il loro amico nella lingua e nei modi che li ha accomunati, la musica. E lo faranno per tutto l’anno. Una sorta di elaborazione del lutto ma anche una forma di rispetto verso il loro mentore e la ferma volontà di non far cadere nell’oblio il lavoro artistico di un uomo mite, speciale, profondo.

Neri Marcorè
Avete deciso di prendere il lascito di Paolo e continuare su questa strada…
«In realtà non abbiamo ancora deciso niente. Soltanto di dedicare quest’anno al ricordo di Paolo, commemorarlo come fosse una lunga veglia funebre, però in condivisione con tutte le persone che gli hanno voluto bene. Abbiamo scelto la modalità cara a Paolo, quella dello sfioriamoci e abbracciamoci. Il nostro gruppo fa un po’ da base, poi ci sono gli ospiti che vengono a suonare in ricordo di Paolo, cantando le sue canzoni. Abbiamo iniziato a marzo al Glue di Firenze e continueremo a farlo fino al 28 dicembre, data che segna l’ultimo concerto che Paolo ha fatto in vita. Quello che sarà dopo non lo so, in questo momento siamo solo a ricordare Paolo, ad abbracciarlo insieme alle persone che che gli hanno voluto bene».
Paolo ti citava sempre nelle interviste, eri “il Roccia”…
«Abbiamo lavorato insieme 25 anni, è metà vita e ho dei ricordi ovviamente indelebili. Siamo state due persone che hanno convissuto attraverso la musica, hanno avuto un rapporto bellissimo, solidale e di amicizia, ma anche di lavoro bello fatto insieme. Paolo io eravamo complementari sicuramente in tante cose».
Con Enrico Fink e l’Orchestra Multietnica Paolo aveva collaborato molto, com’è nata l’amicizia con Neri Marcorè?
«Sono stato io a farli incontrare. Ho conosciuto Neri in un Festival che organizzo, l’ho chiamato a fare una presentazione e ci siamo trovati subito bene, è stato molto spontaneo e divertente. Conosceva qualcosa del lavoro di Paolo, così gli ho fatto ascoltare più brani. Con Paolo, poi, ci siamo detti, “ma perché non gli facciamo sentire 27/12“(dall’album È inutile parlare d’amore, ndr), sembra scritta per lui? Neri ha accettato subito con entusiasmo e in due giorni ci ha mandato la sua versione. È stato un abbraccio importante, come quando dei naufraghi in mare ricevono una corda di salvezza. Questa cosa ha riportato entusiasmo in Paolo, si sono sentiti al telefono perché volevamo andare avanti con un progetto futuro, ma questo incontro non c’è mai stato. E quindi ho pensato che Marcorè fosse la persona giusta per ricordarlo, proprio perché gli era vicino artisticamente ma non l’aveva mai incontrato. Ed era proprio quello il significato che volevo dare: due persone che non si sono mai incontrate, ma attraverso l’arte sono diventate solidali, amiche. Paolo poi era il cantante dell’Orchestra Multietnica, ci teneva tantissimo a quel ruolo. L’orchestra è composta da una trentina di elementi che provengono da più parti del mondo, vivono tutti ad Arezzo e nei paesi limitrofi, e nel loro paese molti facevano i musicisti».

L’Orchestra Multietnica di Arezzo diretta da Enrico Fink – Foto Antonio Viscido
Secondo te che che eredità ha lasciato Paolo alla musica italiana?
«Enorme! E vorrei che qualcuno se ne accorgesse. Ti dico quello che farò io. Non so se come gruppo, lo vedremo nei prossimi mesi, ma io mi sento in dovere, purtroppo o per fortuna, di portare avanti la filosofia, l’etica, la poetica di Paolo, per divulgarla, perché è stato un autore, nella poesia paragonabile a Ungaretti, nella letteratura a Cioran, nella musica a Battiato e a Tenco. Paolo deve essere ricordato come uno dei più grandi autori di musica e di poesia nel nostro Paese. Divulgare, dunque, ma anche tenere in vita questa eredità».
Quando l’ho conosciuto pensavo fosse tutto costruito, in realtà era fatto proprio così. A tratti era anche sprovveduto, viveva in un mondo fantastico dove c’era posto per la tranquillità, la pace e l’amore…
«Paolo viveva tutti i giorni come se fossero l’ultimo della vita. Lo faceva sorridendo, educato, spiegando le cose a suo modo, studiando molto, raccontandosi, salutando e conoscendo le persone, andando alla ricerca dell’altro. Dicevamo sempre, “noi non abbiamo un pubblico, ma abbiamo tanti privati”, che significa, ogni persona ha un’esperienza importante da raccontarti e sicuramente serve a migliorare qualcosa di te».
Anche perché nel Reloaded che avete fatto di Piccoli fragilissimi film avete avuto una partecipazione di artisti tra i più vari in assoluto. La cosa che mi ha stupito è che tutti abbiano accettato. Mi aveva parlato di Tosca, che lui non osava avvicinare perché perché per lui era una dea dell’Olimpo musicale…
«E infatti non l’avrebbe mai avvicinata. Qui è intervenuta la nostra complementarità. Lui sarebbe volutamente rimasto sotto un albero ad aspettare che il sole cambiasse direzione per coprirsi attraverso l’ombra. Io cercavo di cogliere la cosa in più, di arrivare a quello che poi magari era la sua volontà ma che non avrebbe affrontato per nessuna ragione. Chiamare tutti questi artisti è stata un’idea condivisa anche se lui non se la sentiva di contattare qualcuno che potesse magari dargli una mano oppure cantare un suo pezzo, non si sentiva in grado… Io ho chiamato tutti, e tutti, ti giuro, hanno detto subito di sì e si sono offerti gratuitamente. Perché Paolo era una persona che quando arrivava in un posto lasciava sempre un’energia importante. Succede anche a chi ascolta la sua musica. Quel sì corale per noi è stato una presa di coscienza importante, l’ha comunque fatto cambiare un pochino anche nell’aprirsi verso gli altri».
Come lo hai conosciuto?
«Nei primi anni 2000, gli portai, come tutti i fan degli Scisma, il demino del mio gruppo che si chiamava Mantra Turbato.Eravamo seduti in un pub di Firenze, lui prese la demo e mi disse subito: “guarda che nome di merda”! Ci rimasi, però dopo fece una bella risata e disse, l’ascolto volentieri. Il giorno dopo mi chiamò: “Facciamo delle cose insieme perché vorrei conoscervi meglio». Venne a suonare con noi in sala prove. Facemmo insieme un concerto nel 2002 o 2003. E poi ci siamo tenuti in contatto continuamente. Il mio chitarrista, il Gando, che ora suona con i Negrita, e poi suonò anche con noi per molto tempo, cominciò a fare il fonico di Paolo quando gli Scisma si sciolsero e Paolo stava pubblicando il suo primo disco solo. Aveva bisogno di una persona che facesse da tour manager. Il Gando me lo disse e io cominciai a occuparmi di questo gruppo di sciamannati che erano i Paolo Benvegnù. Dopo poco tempo Giovanni “Johnny” dall’Orto, il bassista di Paolo che suonava anche con Marco Parente e con Andrea Franchi, era stato chiamato con loro a suonare in una big band per una decina di date. Paolo mi chiese di sostituirlo, feci una prova e andai a suonare a Reggio Emilia. Poi facemmo altre 15 date in trio, io Andrea e Paolo perché Marco Parente continuava a fare concerti e Johnny dall’Orto lo aveva seguito, e da lì in poi non mi sono mai più fermato, in pista con Paolo. Ci siamo riconosciuti subito, è diventata un’amicizia solidale assoluta».

Paolo Benvegnù – Foto Antonio Viscido
È duro da digerire suonare senza Paolo…
«È impressionante, oltre ai pensieri notturni, anche mentre suoniamo ci giriamo, come commentavo qualche giorno fa con i miei compagni, e ci aspettiamo di vedere Paolo al suo posto, ma non c’è. È lui che ci teneva uniti, era il nostro collante. Mi manca la quotidianità del chiamarlo, di mandarci i pezzi suonati con la chitarra che poi diventavano brani veri, del dirci oggi che si fa, del raccontarci una stupidata, ho letto quel libro, ho ascoltato quella canzone… Mancherà molto nella composizione ovviamente, perché comunque era un lavoro creativo condiviso che ci completava. Come diceva il suo Pescatore di perle, “continueremo ancora a respirare”. Ecco, a noi manca ancora quel respiro, ce la faremo ma è difficile in questo momento non pensare a dove, a cosa possiamo sbagliare, perché sai, sono situazioni abbastanza delicate. In questa avventura ho avuto l’abbraccio, il sì della famiglia, della sua compagna, di sua figlia e dei suoi nipoti che mi stanno spingendo ad andare avanti… anche secondo loro è importante tenere alta l’attenzione su questo grandissimo artista, quindi cerco di farmi “scivolare” le cose, come diciamo nel “Mare verticale”, di pensare alla musica, suonare».
State scrivendo nuovo materiale?
«In questo momento ci siamo detti, “fermiamoci un attimo”. Io sto facendo delle cose mie, ma non è quello il problema. Arriviamo al 28 dicembre, e anzi ho chiesto loro un incontro già a fine estate per capire cosa vogliamo fare e in che modo lo vogliamo fare. Non è che tutti abbiamo lo stesso spirito per affrontare il lutto. Ognuno deve avere la propria libertà, il suo tempo e il suo percorso. Nessuno è costretto a fare niente. Io mi sto dicendo che qualcosa voglio fare per continuare ad avere Paolo su questa terra. Ci sto pensando, ci sono tante idee, tanti progetti che mi chiedono, che stanno partendo e che devo scegliere: su alcuni sbaglierò molto probabilmente, sarò giudicato da quelli che la pensano diversamente da me, pazienza».
Attualmente in quanti siete ne i Benvegnù, e chi canta?
«Io, Daniele Berioli, Gabriele Berioli, Saverio Zacchei, Tazio Aprile. Poi con noi c’è Mariel Tairai che è un violinista bravissimo dell’Orchestra Multietica a cui ho chiesto di venire a completare il nostro gruppo e Manuel Schicchi, un chitarrista acustico che in questo momento fa le parti di Paolo, ed era un musicista molto vicino a Paolo visto che a un certo punto doveva venire a suonare con noi, perché come diceva Paolo, “è una persona molto bella e importante”. Ho riunito delle persone che stanno bene insieme, che riescono a portare il messaggio giusto, equilibrato, bello».
E la voce è quella di Neri Marcorè?
«Nel concerto sì. L’orchestra ha quattro cantanti, un’albanese, un’argentina, un’algerina e un libanese e come succedeva insieme con Paolo, mescoleranno le varie lingue dentro ai suoi pezzi e canteranno anche alcune canzoni in italiano».