Julien Temple per chi ha vissuto il periodo del Punk è una sorta di guru, un sommo testimone e abile narratore. All’epoca, aveva 23 anni e studiava a Cambridge, con una telecamera in prestito ha iniziato a filmare i Sex Pistols quando non avevano ancora iniziato a esibirsi. La sua idea era quella di “leggere” il mondo attraverso le rivolte giovanili, le proteste, i movimenti di una Londra in effervescenza. È vero, in quegli anni, vuoi perché non c’era Internet, vuoi perché si era abituati a pensare in forma collettiva, il senso della rivolta, della provocazione, era forte e saliva subito agli onori delle cronache.
Oggi che di anni Julien ne ha 71 rimane il testimone di un passaggio storico della musica del Novecento. Musica e non solo: la chiamata a raccolta del disagio giovanile, la disoccupazione, la rabbia, la necessità di andare contro tutto ciò che era obsoleto sono state l’humus del lavoro di Temple. Il regista è a Milano al MIC – Museo Interattivo del Cinema oggi e domani, invitato dalla Cineteca Milano che gli dedica la rassegna Julien Tempe: Un regista punk. Come si legga dal comunicato stampa: “Il 17 alle 16 terrà una masterclass sul tema del rapporto tra cinema e musica (ingresso gratuito con prenotazione) e alle 18 un incontro pubblico a ingresso libero fino a esaurimento posti, in cui il regista presenterà e commenterà quattro clip tratte dai suoi film. Per quanto riguarda i titoli in rassegna, saranno proiettati The Great Rock ‘n’ roll Swindle (17 giugno ore 20) sui Sex Pistols, Absolute Beginners (18 giugno, ore 18) sulla scena inglese di fine anni ’50 e Joe Strummer: The Future is Unwritter (18 giugno, ore 20.30) sul leader dei Clash”.
Ho raggiunto Julien telefonicamente ieri, mentre era in aeroporto si accingeva a raggiungere Milano. Ci siamo fatti una chiacchierata sul Punk, ovviamente, ma anche sulla musica di ieri e di oggi, sulle aspettative dei giovani e sull’urgenza di veder crescere gente fuori dal coro, uomini così poco allineati, come cantava Ivano Fossati ne La Musica che gira intorno (1983).
Una curiosità. Perché sei stato espulso dalla St. Marylebone Grammar School?
«Mi hanno fatto delle brutte cose, sai, non ho fatto niente di male, dovevo solo andarmene da lì perché il preside era un pedofilo».
Sei stato un testimone privilegiato della nascita del Punk. Cosa ti ha veramente colpito di quel movimento?
«L’elettricità culturale. Ho visto i Sex Pistols provare prima ancora che facessero concerti. Mi piaceva osservarli. Solo così sentivi che stavi assistendo a qualcosa di radicalmente diverso da quello che succedeva con la normale musica pop. Potevi scambiare sensazioni non solo attraverso la musica, ma anche attraverso l’atteggiamento delle persone coinvolte, nel Punk questa era la cosa più importante».
Pensi che il Punk sia stato una valida reazione alla depersonalizzazione del Rock?
«Sì, credo c’entrasse molto il fatto che la musica, a metà degli anni Settanta, fosse diventata monotona e distante dalle esigenze e dai gusti dei giovani. Sai, dopo il periodo del Glam Rock la musica era diventata estremamente noiosa, il Punk nacque certamente come reazione a questa stasi. Alla nascita contribuì anche la situazione economica di quegli anni: dopo la crisi petrolifera si respirava un contesto di enorme disoccupazione, molti ragazzi avvertivano che per loro non ci sarebbe stato futuro, cosa che, del resto, i Sex Pistols cantarono. Il fatto che vivessero nell’Impero Britannico aveva portato i giovani inglesi a sentirsi in qualche modo speciali, una razza eletta. Ma quando venivi cacciato da scuola e non trovavi lavoro, non la vivevi più così. Rabbia ed energia nacquero dalla situazione economica giovanile. In più, aggiungici anche la noia, visto che non c’era molto da fare. Il punk fu un modo per creare la propria eccitazione».
Quale immagine, tra le tante che hai catturato con la cinepresa, pensi che rappresenti al meglio il movimento Punk?
«Mi piacciono le texture ottenute dall’apertura di una lattina di Lager, quando la birra è esplosa sulla telecamera era come se si stesse aprendo il vaso di Pandora ».
Con tutto quello che sta succedendo nel mondo, tra guerre, crisi economiche, la svolta dell’Europa, il bellicoso Trump negli Usa, vedi possibile la nascita di un nuovo movimento simile al Punk?
«Beh, lo spero. Penso sia necessario e penso anche che il tempo stia scadendo. L’idea di giovani che si uniscono attraverso una sorta di energia creativa come il Punk è davvero l’unico modo per fermare tutto quello che sta succedendo. Non credo ci siano partiti politici di sinistra capaci di stoppare ciò che la destra sta combinando con Internet. Sembrano solo litigare tra loro… i partiti politici tradizionali non aiuteranno, questo è certo. Devono essere i giovani a farlo da soli, perché sono loro che vivranno questo mondo e solo loro potranno cambiarlo. Detto questo, non credo che si debba necessariamente avere la stessa colonna sonora: la musica punk è esaurita, è girata in tondo per 60 anni ormai, penso che oggi debba essere molto più sorprendente di una semplice altra energia musicale per affrontare Internet: andrebbe abbattuto oppure bisognerebbe creare diverse versioni di esso che gli permettano di liberarsi da tutto questo veleno. Il modo in cui viene usata la rete per intossicare le menti delle persone è spaventoso, i social media poi sono un problema molto serio. Penso che quello che stiamo vivendo sia un periodo molto pericoloso e purtroppo noi non vogliamo svegliarci, chissà quando lo faremo. Potremmo benissimo ridestarci tra 20 anni, allora io non ci sarò più, ma i giovani sì ma soltanto per ricordare che “eravamo esseri umani” e che è stato un peccato lasciare che tutto andasse a finire così. Non credo che quel tempo sia lontano, a meno che i ragazzi non si muovano. Qualsiasi cosa possiamo fare per aiutarli, sono d’accordo!».
Sei coinvolto in progetti come Crock of Gold: A Few Rounds with Shane MacGowan che narra la vita di Shane MacGowan, frontman dei Pogues, e Ibiza: The Silent Movie, documentario con le musiche di Fatboy Slim dove racconti la vita dell’isola, dai Fenici alla cultura dance. Cosa mi puoi dire al riguardo?
«Sono interessato a fare film non solo sulla musica ma usando la musica come un modo per viaggiare nel tempo, guardare attraverso quel filtro dentro la società che ha creato quella musica e perché le persone che vivevano in quel tempo volevano quel tipo di musica. Quindi non si tratta solo della band, del cantante o dell’artista. Sono interessato alle città che generano musica su larga scala. Ho fatto un film su Detroit, Londra, Rio de Janeiro, L’Avana, e uno su Ibiza. Quindi, sì, sto guardando il luogo attraverso la musica piuttosto che guardare la musica stessa».
Cosa pensi della musica attuale? Ha ancora lo stesso potere dirompente degli anni ’70?
«Credo che sia molto difficile che oggi riesca ad avere la stessa efficacia. Negli anni Settanta i media erano molto più piccoli, più concentrati, avevamo solo un paio di stazioni televisive che tutti guardavano perché non c’era nient’altro. Ora ci sono un milione, un trilione di siti dove ascoltare o guardare musica su Internet. Quindi è tutto frammentato in piccoli pezzi, il che rende difficile per le persone unirsi attorno a un certo tipo di musica. Sono sicuro che si stia ancora producendo musica buona, ma quella mainstream è molto diversa, nel senso che deve essere noiosa e insipida e non deve parlare di tutto quello che accade nella società. La maggior parte della musica che senti alla radio oggi è orribile. So che ci sono artisti che stanno facendo cose fantastiche, ma li puoi ascoltare solo se conosci i posti giusti dove trovarli. Ai vecchi tempi, quando c’erano i Sex Pistols, l’intera società sapeva chi erano perché c’erano pochi mezzi e luoghi dove potevi ottenere le tue informazioni. I Sex Pistols attaccavano quei “luoghi” e tutti ne venivano a conoscenza. Ora sei libero di fare qualsiasi cosa su Internet ma nessuno lo sa perché ci sono un milione di altri come te».
Dopo 50 anni cosa significa essere Punk? Ha ancora il potere di interrompere le narrazioni mainstream?
«Dici il punk in sé? Non credo che sia minaccioso ora. È rimasto un cliché che compare sulla rivista Vogue ogni cinque anni. Penso che sia parte di qualcosa di più grande, come se fosse una stazione lungo una linea ferroviaria che attraversa il tempo. E penso che alcune delle idee e atteggiamenti dietro il Punk siano ancora molto rilevanti, ma, sai, l’idea di vestirsi da Punk per scioccare o fare musica che suoni come il vecchio Punk è una perdita di tempo. Dovrebbe essere qualcosa che non è mai successo prima».
Qual è il film che hai realizzato, che più ti rappresenta come regista…
«Non lo so, devono dirlo gli altri. A pensarci, qualcosa che ha avuto a che fare con i Sex Pistols, direi. Non so però quale sia il migliore».
Concludo: cosa pensi della Gran Bretagna oggi?
«Difficile spiegarlo. Abbiamo un partito molto di destra, legato a idee fasciste, che sta diventando sempre più forte grazie Internet. Sono le stesse persone che spingevano per la Brexit e che stanno diventando molto riconoscibili, anche se la Brexit è piuttosto impopolare. Il governo laburista, attualmente al potere, è inutile. Non è il governo Tory che avevamo prima, certo, ma servirebbe qualcosa di molto più radicale per impedire all’estrema destra di prendere il potere. È una brutta situazione, ma non così terribile come a Gaza!».