Giuliano Tricarico, “No Loud” quando a suonare è… un podcast

Quella che vi propongo oggi è una bella storia, dove la musica ha ruolo salvifico fondamentale. Una di quelle in cui resilienza e passione riescono a cambiare le prospettive di una persona. Giuliano Tricarico, torinese, classe 1977, formazione umanistica e una passione smisurata per la musica e la chitarra. Lavora come commerciale nell’elettronica di consumo ma dopo 15 anni decide di seguire il suo primo amore e crea uno store online dedicato a strumenti musicali rigorosamente italiani, Spaghetti Guitar Tools. Da dieci anni è marketing manager in Gold Music, uno dei principali distributori di strumenti musicali del nostro Paese. 

Vita appagante dove la musica – e la chitarra – sono una costante. Nel 2021 Giuliano scopre che non riesce più a controllare degli spasmi improvvisi alla mano destra. Diagnosi: distonia focale.  Non può più suonare ad alti livelli la chitarra. Arriva la depressione, sta quasi per sfasciare vita e famiglia quando, grazie anche al suo grande amico Ivano Icardi (di lui ho parlato  in questo post un paio di anni fa), chitarrista raffinato e di gran talento, ha un’illuminazione: se non posso suonare la chitarra fisicamente lo posso fare facendo suonare le emozioni. Nasce così due anni fa, il 27 settembre 2023 alle 12:10 (data e ora della nascita di sua figlia Gaia), No Loud, podcast che parla di chitarre “vissute” attraverso la vita di chi le usa, le costruisce, le vende, le ascolta.

«Tutto nasce per continuare a creare, per ascoltare storie di “gente come me”, le difficoltà che hanno affrontato e come ne sono usciti, per scommessa con me stesso, per proseguire la mia ricerca personale e condividere passione e bellezza. Una autoterapia vera e propria, che amo rendere disponibile a chiunque abbia la voglia e la sensibilità di attingere, per lasciarsi ispirare o semplicemente riflettere», scrive Giuliano.

Quanto basta per chiamarlo e farmi raccontare la sua storia. Il 6 giugno è uscita l’ultima puntata della stagione (riprenderà a settembre), una bella chiacchierata con Gianni Rojatti, uno dei grandi chitarristi italiani che vanta collaborazioni internazionali, da Billy Gibbons degli ZZ Top a Steve Vai, per citarne due a caso!

Giuliano suoni ancora? 
«Purtroppo no. Ogni tanto prendo in mano la chitarra, ci gioco, ma è come se a Carl Lewis si fosse strappato il tendine d’Achille. La corsetta te la puoi fare, di certo non puoi correre i 100 metri in 9, 86 secondi! Nel mio caso, senti che la testa vorrebbe ma la mano non le sta dietro. È frustrante per una persona che suona da quaranta’anni. Ho sempre avuto band medio-piccole ma per me la musica è una costante. Nel momento in cui è mancata sono finite le emozioni».

Se non sbaglio, la distonia focale si manifesta con movimenti involontari dei muscoli, per esempio, il palpitare involontario della palpebra…
«Sì, esatto. Nel mio caso non riesco più a fare i movimenti fini con la mano destra: non posso più scrivere, per esempio, e neppure sbattere l’uovo. Quando mi è successo per la prima volta stavo prendendo una minestra da una pentola per metterla nel piatto e l’ho lanciata in aria. Ovviamente uno ci ride sopra, ha il suo lato divertente… Usare il mouse ultimamente è diventato difficoltoso, ed è un problema perché se non posso più nemmeno montare No Loud, non mi resta che darmi allo scopone scientifico».

Non c’è cura o una stabilizzazione?
«No, perché è una patologia rarissima ed evidentemente non crea ricchezza. L’unica cosa che viene fatta è la tossina botulinica applicata direttamente nei nervi o nei muscoli che tendono a irrigidirsi o a dare lo spasmo, in modo da annullarli, non farli funzionare più. L’ho provata cinque volte, gli effetti durano un paio di mesi, dopodiché torna tutto come prima. Dopo quattro mesi rifai un’ulteriore iniezione… Non mi è servita o non sono mai riusciti a beccare il muscolo – i muscoli – giusti. È un’operazione difficile: nel solo avambraccio ce ne sono diciotto. L’ultima tossina botulinica che mi hanno iniettato mi ha praticamente ucciso l’indice, se devo indicare qualcuno o darti la mano, il dito rimane in mezzo, quindi faccio prima a fare con la sinistra».

Il podcast è la conseguenza di questo tuo disagio?
«La distonia ha martellato duramente sulla mia emotività. No Loud è nato da lì: ero sotto a un treno, stavo per mandare a monte la mia famiglia, lasciare moglie, figlia e lavoro. Con chiunque parlassi, la risposta era: e vabbè, non puoi suonare! Mica hai una malattia che ti porta alla morte entro due mesi,  hai il lavoro, hai gli affetti. Nessuno riusciva a capire il mio disagio, tutti giudicavano dal loro punto di vista senza comprendere il mio dolore. Una sera, chiacchierando con Ivano Icardi, lo facciamo spesso, ci apriamo una bottiglia di vino e parliamo, mi sono accorto che lui era l’unico a comprendermi davvero. Così mi son detto: devo interagire con persone che parlano la mia stessa lingua. Dunque, non solo con chi la chitarra la suona ma anche chi la vive nel quotidiano. Confrontarmi con questo tipo di persone mi fa star meglio, è terapeutico. Ho portato avanti l’idea del podcast per me, come effetto curativo, ma anche con la speranza che potesse essere utile un giorno a qualcun altro. I problemi sono personali, le problematiche universali, è molto più facile riconoscersi negli altri piuttosto che ammettere una propria difficoltà e affrontarla».

Sei in onda dal 2023, ogni mese dialoghi con un artista, un esperto, un liutaio… come li trovi? 
«Conosco praticamente tutti, anche perché il settore in Italia è relativamente piccolo».

Come strutturi una puntata?
«Innanzitutto chiedo all’ospite di raccontare la propria storia sin dall’infanzia, traumi e bellezze, se ho davanti a me un artista, per esempio, domando dove ha intercettato il canale da cui ha estratto la bellezza che poi ha riversato nella sua arte. Vado dentro la vita di queste persone, non si parla praticamente mai di chitarra, No Loud è un podcast che parla di persone, di esseri umani: parto dalla loro storia per farmi condurre nelle loro emozioni in quello che fanno, sui palchi, in studio di registrazione negli store di strumenti musicali. Nel quotidiano cosa devi affrontare e come lo affronti? Ci sono stati personaggi che mi hanno raccontato di matrimoni falliti e da quelle ceneri sono nate nuove persone e nuovi successi. Successo per me vuol dire essere felici, realizzati, sereni con se stessi».

Cercare la felicità, in questo caso, nella musica?
«Secondo la propria sensibilità, non la limiterei solo ala musica, ma amplierei al concetto di arte. Sia essa opera di un pittore, un musicista, un ballerino, un cuoco o, estremizzo, un broker finanziario…».

Dammi una definizione di arte!
«È la capacità di una persona di perdersi dentro a qualcosa e di diventare quella cosa. L’uomo è fatto di rapimenti. Io ce l’ho per la chitarra, tu ce l’avrai per per il lavoro che fai o per le passeggiate in montagna. Ci sono momenti in cui sei esattamente te stesso. Nel caso dei chitarristi, o comunque delle persone con cui ho a che fare per No Loud, nel 99% delle volte è la chitarra, la musica. Personaggi tipo Ivano Icardi, lo cito perché lo conosciamo entrambi, parlano in musica perché pensano in musica».

Mi ha colpito il racconto di Marco Merula, proprietario di uno storico negozio di strumenti musicali quando ricorda l’incontro con la donna della sua vita…
«Lo conosco da quarant’anni, ho speso i milioni da Merula, però, il nostro rapporto è sempre stato Buongiorno, Buonasera. Merula parla raramente, sempre educatissimo, mai una parola fuori posto: credevo non accettasse di essere il protagonista di una puntata. E invece l’ha fatto, una persona di quell’età, di quella cultura e di quella riservatezza si è esposta e ci siamo divertiti. S’è parlato ovviamente della sua attività, di cosa ha rappresentato per lui, di come sognerebbe venisse portata avanti». 

Molto intensa anche la puntata con il chitarrista Pietro Quilichini!
«Mi ha raccontato della morte della sua compagna. Non lo sapevo, L’ha fatto lui, spontaneamente ed è stato un momento toccante, stavo per mettermi a piangere. Era una donna bellissima, modella, cantante, un tumore in due anni, se l’è portata via. Hanno fatto in tempo a sposarsi perché era il loro sogno nonostante fosse diventata irriconoscibile anche a se stessa. Quanta forza ti dà, quanto ti ispira una persona del genere?».

È un format che funziona, dunque?
«Funziona se lo parametriamo alla nicchia che occupa, e cioè, quella del chitarrista. In Italia è molto, molto ristretta. Prendi Francesco Balossino la penultima intervista uscita. È uno dei maggiori esperti di chitarre e di strumenti vintage in Italia. È stato molto divertente, sono andato da lui in questo antro delle meraviglie dove trovi pezzi che lasciano senza fiato… fortuna che son povero, altrimenti gli avrei mollato lì un sacco di soldi per portarmi a casa qualche chitarra leggendaria. Scusa divagavo: Balossino è una persona che può muovere del pubblico, ma focalizzato sul discorso chitarra».

Beh gli ascolti sono gli ascolti, però…
«La cosa che mi dà felicità è quando qualcuno mi scrive: “Grazie, perché ascoltare questo podcast mi ha fatto star bene”. Mi interessa che No Loud venga conosciuto, non per essere una star dei social ma per il per il valore intrinseco dell’operazione e perché in qualche modo so che può generare bellezza e benessere. E posso bearmi del fatto di essere uno degli artefici, ovviamente, assieme all’ospite, vero protagonista dell’episodio».

Giuliano, un’ultima cosa: ti hanno mai chiesto di partecipare al podcast?
«Sì, continuamente, tanti personaggi più o meno noti. E lì dipende. La persona con cui ho a che fare mi deve interessare per un qualche tipo di affinità. Spesso mi trovo a dover dire di no e, fra l’altro, lo dico senza giri di parole. È una forma di rispetto!».