Jany McPherson per la prima volta al Blue Note di Milano: colori, magie e tanto ritmo

Jany McPherson – Foto Arturo Di Vita

Fire in my hands. È il titolo del brano d’apertura di A Long Way, disco uscito a fine 2023 firmato da Jany McPherson, pianista e cantante cubana di Guantanamo, Oriente dell’Isla. Un brano “indiavolato” fatto di cambi di ritmi, improvvisazioni, accelerate e frenate, tutto contenuto in 6 minuti e 57 secondi. Il Fuoco nelle sue Mani la McPherson ce l’ha eccome! Il suo jazz fatto di mille colori ricorda la sua provenienza latina, un complesso intersecare di ritmi cubani, centroamericani, brasiliani. Vi sto raccontando questo perché sabato 19 aprile Jany salirà per la prima volta sul palco del Blue Note di Milano. «Ci sono stata spesso ad ascoltare buon jazz, per esempio Kurt Elling, cantante americano che adoro. Questa volta ci sarò io lì a suonare e ti confesso che mi sento emozionata», mi dice Jany. 

Con l’Italia la McPherson ha uno stretto legame. Da diversi anni viene a suonare, concerti di piano solo o in trio, nell’ultimo periodo con due jazzisti di lungo corso, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria. Tiene concerti soprattutto al Sud e a Roma, dove è praticamente di casa. Vista la sua prima volta al Blue Note (due spettacoli in una sera, as usual!), l’ho contattata per farmi raccontare il suo rapporto con il jazz, la musica latina e il canto, altra sua grande passione.

Jany, prima di tutto una curiosità: com’è nato A Long Way?
«L’ho scritto in un momento di grande ispirazione, pensando alle esperienze vissute in questi ultimi anni e ai ricordi di quando ero bambina a Cuba. Partivo già con qualche breve melodia che avevo registrato sul dittafono. Poi è arrivato un flusso creativo continuo in cui ho composto senza fermarmi. Così ho messo a punto le partiture con i musicisti che sono venuti con me in sala di registrazione e abbiamo inciso il disco. Ogni brano racconta una storia unica, è un riassunto riuscito di tutto quello che che sono diventata con il passare degli anni».

Sei nata a Guantanamo, l’Oriente di Cuba è bellissimo, la mitica strada La Farola, Baracoa, Moa… mi è rimasto nel cuore!
«Sono posti meravigliosi! Figurati che io sono nata a Guantanamo ma non sono mai stata a Baracoa, anche se la cittadina appartiene alla provincia di Guantanamo. Non ho mai avuto la possibilità di visitarla ed è uno dei miei propositi per la prossima volta che andrò Cuba».

Dove vivi in Francia?
«A Nizza. È il posto in Europa che più si avvicina a Cuba: abbiamo il sole quasi tutto l’anno e il clima è davvero fantastico. D’estate ho l’impressione di stare a Guantanamo, talmente fa caldo! Sto vivendo qui da 20 anni, sull’isola ritorno per visitare la mia famiglia. Quello che mi manca di più dove vivo è l’ambiente familiare, il trovarmi nel giardino di casa con i piedi nudi per prendere tutta l’energia di questa terra bellissima».

A proposito di famiglia, come è nata la tua passione per la musica?
«Sono nata in una famiglia con una grande predisposizione per l’arte e la musica. Mio padre è musicista, penso che la passione mi sia arrivata soprattutto da lui: da piccolina mi insegnava a cantare le canzoni tradizionali. Ricordo che la mia prima esibizione l’ho fatta a cinque anni, ero all’asilo e quel giorno c’era una festa. Mio padre mi ha accompagnato alla chitarra e io ho cantato un brano della trova tradizionale, conservo ancora la foto, Dio benedica il fotografo che ha catturato quel momento! Oltre a mio padre, ho un cugino musicista, un attore teatrale, una ballerina, uno scultore. Mio zio è direttore dell’ufficio della cultura Guantanamera e ha lavorato con il teatro Guignol… insomma siamo una grande famiglia con un grande amore per l’arte!».

Hai quindi iniziato con il canto per poi passare al pianoforte?
«La voce è stata il mio primo strumento. Poi mio padre, vedendo che avevo un talento naturale per la musica, decise di iscrivermi alla scuola d’arte di Guantanamo e farmi fare i test attitudinali, avevo sei anni e mezzo. Li ho passati tutti ed è stato lui a scegliere come strumento di studio il pianoforte, dicendomi: è il più completo, cominciamo così, se poi dopo ti interessa altro, vediamo».

E invece il piano non lo hai più lasciato…
«Ho cominciato a studiare il piano classico in modo accademico ed è finito per diventare lo strumento del mio cuore, senza perdere di vista la voce, ovviamente, mia prima passione. Certo, ho pubblicato un disco intitolato Solo Piano dove non canto, ma in genere quando suono mi viene naturale anche cantare». 

Torniamo al Blue Note: oltre a A Long Way hai in programma altro?
«Farò anche qualche brano tratto da Solo Piano e canterò alcune mie riletture personali di standard internazionali, che per me hanno un fascino senza tempo. Mi piace mettermi al servizio di questa musica e allo stesso tempo portare il mio… “personal touch”». 

A Long Way è il tuo tempo dedicato alla musica. Come definiresti il tuo stile compositivo, visto che non sei né totalmente jazz, né tantomeno solo latin jazz?
«Hai ragione. Per me è difficile collocarmi, perché la mia musica è piena di influenze jazz, di ritmi cubani, latini, della musica classica europea, della grande canzone italiana e francese. Dentro di lei esiste una vasta gamma di sfumature, di cui il jazz ne colora una buona parte… per me è complicato dire: sono solo un’artista latin jazz. È vero che il fatto d’essere cubana orienta la mia musica, d’altronde le mie radici sono quelle, ma non è sufficiente per definirmi tale».

Che musica ascolti?
«Ultimamente ascolto molto poco. O meglio, preferisco dedicarmi ai miei riferimenti musicali. L’unico artista che ho sempre ascoltato e lo faccio tuttora è Stevie Wonder, è un genio della musica, pieno pieno di melodie meravigliose, e anche una mia fonte d’ispirazione. Sono anche una grandissima fan di Pino Daniele, che ho ascoltato tantissimo e che ha influenzato il mio modo di comporre canzoni. Nella playlist chemetto di solito in auto ci sono sempre entrambi in compagnia di Gregory Porter, Keith Jarrett e di tutti quegli artisti che mi fanno sentire un feeling, una connessione con quello che sto ascoltando».

Suonando il pianoforte hai dei musicisti, anche classici, preferiti, che ti appassionano per profondità d’esecuzione?
«Se parliamo di questo ti posso dire che Michel Petrucciani è un caposaldo, assieme a Michel Camilo e Gonzalo Rubalcaba, attualmente uno dei più grandi pianista cubani. E poi, c’è sempre Bill Evans, non credo esista un solo pianista al mondo a cui non piaccia il suo stile unico».