Sto ascoltando in questi giorni un lavoro molto interessante. È firmato da Jerusalem In My Heart, progetto musicale dietro al quale si celano Radwan Ghazi Moumneh ed Erin Weisgerber, musicista, producer, sound designer canadese di origini libanesi cresciuto in Oman il primo, e visual artist canadese la seconda. Per la cronaca, Moumneh s’è “battezzato” Jerusalem in my Heart riprendendo il titolo di un disco uscito nel 1967 della grande interprete libanese Fairuz, che, assieme all’egiziana Umm Kulthum, è la più grande voce mediorientale del Ventesimo secolo.
L’album porta un titolo tosto, Qalaq, che in arabo ha varie accezioni, ma che Moumneh ha usato per riassumere una onnicomprensiva “grande preoccupazione”. Un disco politico? Assolutamente sì, soprattutto nella sua seconda parte, dove tutti i brani si chiamano Qalaq e sono numerati da 1 a 9 in uno studiato crescendo dirompente di angosce e tormenti.
In più, è un lavoro corale. Ed è ciò che conta di più: lavorato in piena pandemia, Moumneh ha deciso di sfruttare le distanze (fisiche e mentali) mandando i temi abbozzati a molti artisti sparsi nel mondo perché li completassero, liberi di manifestare e interpretare queste inquietudini. Quindi, ha ripreso tutte le incisioni e le ha ricostruite modellando l’album come lo possiamo ascoltare ora.
Qalaq è uscito l’8 ottobre per la canadese Constellation Records. Porta dentro di sé tutto il dolore, la sofferenza e l’amarezza di vedere il Medio Oriente così dilaniato. Dai disastri in Libano, il governo andato in default, l’esplosione che ha dilaniato il porto della capitale libanese lo scorso anno, la corruzione, la guerra civile, ai territori palestinesi bombardati recentemente.
La coralità del pathos gioca un ruolo importante. Situated between the cracks of a broken tomorrow/ I worry, recita la poetessa americana Moor Mother in Qalaq 3, mentre, in Qalaq 1 l’ottantanovenne Alanis Obomsawin, regista, cantante, attivista canadese, accompagnata dalle percussioni della portoghese Diana Combo introduce con voce grave la prima delle preoccupazioni, che culmineranno in Qalaq 9 con la partecipazione di mayss, Mazen Kerbaj, Sharif Sehnaoui e Raed Yassin, un corto circuito acuto, disturbante, la summa di tutte le angosce e violenze stratificate negli anni.
In tutto questo, dove la musica scomposta in noise e interventi di strumenti, molti dei quali tradizionali, ha un ruolo narrativo coerente e tragicamente reale, si aggiunge anche la visualizzazione plastica di quello che Moumneh vuole consegnarci con Qalaq. La foto scelta per la cover dell’album è della ventinovenne libanese Myriam Boulous, tre donne cercano riparo a Beirut durante la Rivoluzione d’Ottobre del 2019, mentre un libretto firmato dal fotografo/musicista Tony Elieh racconta l’esplosione al porto di Beirut del 2020.
Quel tragico evento ha portato non pochi musicisti a raccontare una pagina vergognosa della storia libanese come avevo scritto lo scorso anno in questo post.