
Marco Gilardone, a sinistra e Andrea Saidu a destra, i MRS Carril
Mrs Carril è un’attempata signora a modo, di quelle vecchio stampo. Però è attentissima alle novità discografica, ama a tal punto la musica da aver “adottato due musicisti che, in qualche modo la rappresentano. Lei se ne sta a giocare a bridge con le amiche, spesso in crociera verso l’amato Sudamerica, mentre loro lavorano. Così va la vita!
Scherzi a parte, Mrs Carril è il progetto di due musicisti che non hanno altra ambizione che scrivere canzoni. Non banali, ricercate, curate nei minimi particolari. Sono piemontesi, Andrea Saidu, voce da tenore, 45 anni, fa il fonico e il musicista di professione, Marco Gilardone, 61 anni, è un medico foniatra, un patito dell’Opera e compone canzoni.
Un’unione improbabile a prima vista, in realtà i due artisti vanno d’amore e d’accordo grazie a proprio Mrs Carril, alter ego creato perché nessuno dei due deve apparire. Quello che conta è solo e soltanto la musica. Loro sono dei tramiti, persone che hanno accettato di servire con grande entusiasmo una causa fatta di note, suggestioni, passioni ed emozioni. «Scrivere senza costrizioni è sempre una cosa bella e noi abbiamo la fortuna di farlo in entrambi i casi sia per quanto mi – e per quanto gli – riguarda e questo, inconsapevolmente, ci rende originali. Non siamo alla ricerca strategica di hit da mercato», mi spiega Marco, voce da baritono.
Fanno i dischi, li compongono, scrivono i testi, li stampano, li suonano però il frontman non sono loro. Dice sempre Marco: «Rispetto ai contenuti dei dischi, onestamente non parlare di frontman ci riesce un pochino particolare visto che non esiste. C’è piuttosto un progetto di songwriting. Abbiamo fatto un po’ di promozione, ovviamente attraverso i soliti canali, abbiamo stampato anche i Cd, ma perché io, essendo un pervertito collezionista, non ho resistito. Mi sono intestardito: ho i compact disc di chiunque, vuoi che non abbia i miei! Non averli mi sembrava di una tristezza devastante».
Il loro ultimo disco, uscito a giugno, si intitola Questo Temporale, 11 brani per 36 minuti di ascolto, cantato da una voce femminile, Orangeantos, al secolo la catanese Antonella Arancio, bravissima vocalist.
Il lavoro dei Mrs Carril è fatto di un mix di conoscenze cantautorali, jazz, ritmi sudamericani, musica classica, Opera. Un potpourri che una volta assemblato acquista una veste nuova, diversa dalla canzone d’autore italiana che siamo abituati ad ascoltare. Molto accattivante a dirla tutta. Lo potete capire ascoltando Il Lavoro Paziente Del Ragno, o Vogliamo bene a Scroogie o ancora il brano che dà il titolo al lavoro, Questo Temporale.
Con Marco e Andrea ho fatto una bella chiacchierata su come è nata la dolce Mrs Carril, sul perché hanno scelto di non apparire, sulla musica e sull’Opera lirica…
Come vi siete trovati?
Andrea: «Ci conosciamo da una quindicina d’anni fa. Ho sempre fatto il fonico e suonato, Marco ha sempre suonato e fatto il medico da una vita: quando avevo bisogno del foniatra andavo dal lui e quando lui aveva bisogno del fonico veniva da me. Un paio d’anni fa lui aveva bisogno di imparare a usare un registratore multitraccia e io gli ho dato una mano a sistemare una stanzetta a casa sua per poter provare e registrare. Avevo appena finito le prime tracce del mio ultimo disco e gliele ho fatte ascoltare perché ci tenevo ad avere un suo feedback. Gli è piaciuto e voleva regalarmi una sua canzone. Gli ho detto: “Non me la regalare, piuttosto vieni da me, ci divertiamo, lavoriamo insieme”. Quella canzone era Solidi Ignoti che poi è la prima traccia di Lagentesegreta, il primo album dei Mrs. Carril».
Chi è, dunque, Mrs. Carril?
Andrea: «Il nome è ovviamente uno pseudonimo. È un personaggio della nostra fantasia, una signora avanti con l’età curiosa della musica, non soltanto di quella della sua età, con l’esperienza e la coscienza del fatto che non può esserci sempre e comunque roba brutta uscita il mese scorso! Lì si è incominciato a lavorare, a scrivere, in una manciata di anni sono venuti fuori tre dischi, due di canzoni, uno strumentale, Denial che poi ha accompagnato la mostra di un nostro amico, Andrea Franzosi, che ha appena esposto a Garbagna, vicino a Tortona, in una location molto bella che abbiamo usato anche per la prima del nostro spettacolo live che si intitola Io e Mrs Carril in cui proprio raccontiamo questa storia di affetto, amore verso questa signora. Lei è la nostra eminenza grigia, una coscienza, una trasfigurazione di noi al femminile che ci guida attraverso una selezione del nostro catalogo. Noi siamo lì come esecutori perché il centro di quello che presentiamo è la canzone. Siamo autori, non un progetto dove metterci la faccia in quanto interpreti, ma in quanto autori. Abbiamo un catalogo racchiuso in questa etichetta non ufficiale che si chiama MC Music. Quello che vorremmo è che queste canzoni prendessero il volo. Hanno una versione che ci soddisfa, ed è quella che poi portiamo sulle varie piattaforme a nome Mrs. Carril. Come dire, a noi interessa la parte autoriale e di promozione delle canzoni. Giusto?».
Marco: «Assolutamente sì. Sottolineo tutto quello che ti ha detto Andrea, l’idea è proprio quella. Intanto ci divertiamo, e per noi è la cosa più importante. Perché in realtà non viviamo di musica e, proprio per questo, abbiamo la pretesa, forse la presunzione, di provare a scrivere qualche cosa. Nessuno inventa niente, abbiamo dei background molto differenti, lui è un dottore del Dams, quindi ha tutto un retroterra anche universitario di scienze dello spettacolo, io invece ho fatto il medico, il foniatra, mi sono occupato di voci artistiche e soprattutto di opera lirica, di teatro musicale, quindi di canto completamente differente rispetto alle cose che andiamo poi a produrre… Però sono un onnivoro, penso di più al fatto che esista della musica bella e della musica brutta sia che tu sia in serie A, B o C e che ci sia qualcuno che fa delle cose interessanti e qualcun altro che fa delle cagate. Nemmeno tutto Mozart o Donizetti è meraviglioso. Abbiamo dei gusti che in parte convergono, e il resto vanno verso direzioni dverse e forse, proprio questa “biodiversità” da un certo punto di vista è una ricchezza. Io magari arrivo dopo aver visto la “Tetralogia” di Wagner a Bayreuth e arrivo con delle suggestioni di un certo tipo e lui va a sentire Cremonini e ne porta altre. Coincidiamo con Peter Gabriel, David Sylvian, ci troviamo in tanto cantautorato italiano di qualità, Pino Daniele, Gianmaria Testa, Fossati, Dalla, in molto jazz, siamo andati insieme a sentire Brad Mehldau recentemente, insomma, la roba buona non ce la facciamo mancare».
Marco, quindi tu per lavoro “assisti” cantanti d’opera?
«Ho fatto una specie di doppia vita, il medico foniatra, con una specializzazione in foniatria e in audiologia, e il medico dell’Arte, mi sono occupato molto di ricerca e poi contemporaneamente faccio ancora il critico musicale, ho scritto per quasi 15 anni per la rivista L’Opera e attualmente sono uno degli autori della rivista online Connessi all’Opera diretta da Roberto Mori. Lì offro più dei contributi di scienza della voce per cercare di fare un po’ di divulgazione sulla conoscenza della voce umana e della voce umana applicata all’ambito musicale, meno a quello attoriale di cui mi occupo onestamente meno. Ho lavorato molto con artisti, soprattutto nell’ambito lirico».
Da esperto, quanto sono compatibili l’Opera con la musica italiana recente?
«In fondo, quando Verdi non voleva che nessuno sentisse le prove del Rigoletto nel 1851 perché c’era dentro La donna è mobile e temeva che qualcuno la sentisse per poi canticchiarla prima della prima, e così valeva anche per Puccini, tanto per citare due giganti, significava che era una musica mainstream, tutti l’ascoltavano, era popolare. Poi c’era, sempre popolare, la musica folcloristica. L’opera per tantissimo tempo, è stata “pop”, ha smesso di esserlo quando si è andati verso la Turris eburnea del Novecento colto. Quello che accomuna l’Opera italiana alla musica recente è la melodia. La canzone italiana in fondo è fatta di grande melodia, di grandi voci che cantano in modo molto diverso, ma c’è un testo, c’è una un’armonia, una melodia, una scansione ritmica, hanno molto di più in comune di quanto non si possa generalmente ritenere».
E in questo contesto come si inserisce Antonella Arancio con il suo progetto Orangeantos?
Marco: «Noi abbiamo più voci, come dice Andrea, siamo un progetto».
Ma voi non cantate?
Marco: «Non abbiamo né l’età né la bellezza fisica per andare al Festivalbar! Scherzo, ma se mi chiedessero declinerei con molta serenità, sono anche un po’ più grande di Andrea, quindi insomma, Mrs. Carril è un progetto, per cui così come utilizziamo per suonare degli amici o dei musicisti molto bravi, per esempio Guido Battaiola ai sassofoni o Stefano Resca alla batteria, pur cantando entrambi, abbiamo ritenuto di sposare la causa della ricerca di una voce che potesse rappresentarci. Nel nuovo album che andremo a registrare Antonella non ci sarà, ci saranno altri cantanti. Quindi i cantanti in qualche modo ci fanno l’onore e il piacere della loro presenza, ma in realtà, come dire, sono anch’essi degli strumenti…».
Andrea: «… Che devono essere consoni a quello che è il mood dell’album in cui chiediamo di partecipare. In Questo Temporale Antonella ha fatto centro, per questa sua caratteristica di distacco emotivo, è stata in grado di dare un senso a testi e musiche in maniera super efficace, con un un’interpretazione ficcante, a volte anche con delle sfumature di sensualità mai volgari, mai vezzose».
In questo disco giocate molto sui titoli delle canzoni, come nei lavori precedenti per esempio Lagentesegreta».
Marco: «Lì giocavamo ancora di più!».
Beh però anche I solidi ignoti non è male! E poi c’è anche Vogliamo bene a Scrooge, avete preso in prestito il personaggio di Dickens…
Marco: «È uno dei temi forti che attraversano l’album: cercare di trovare un bilanciamento e non fare l’apologia dell’antisocialità perché altrimenti sarebbe un anticonformismo di maniera. Nell’album Lagentesegreta nei testi che in quel caso, erano tutti miei, c’erano molti giochi di parole, molta ironia, molti aspetti un pochino più buffoneschi che saltavano fuori… In questo in cui il contributo di Andrea è più forte per numero di canzoni scritte in modo più introspettivo, abbiamo mantenuto l’ironia nei titoli, vedi Il mitico Thor e Vogliamo bene a Scrooge, brano che amiamo molto».
Comunque, controtendenza, voi tendete sempre a fare dischi che hanno almeno 10 brani, quest’ultimo ne ha 11. Insomma, non fate gli Ep a parte Denial.
Marco: «Ma Denial è più un’installazione, fa parte di un’altro capitolo della nostra vita. Siamo appassionati di arte figurativa e quindi conseguentemente abbiamo amicizie in quel campo. Abbiamo già in cantiere un secondo lavoro, stiamo preparando la sonorizzazione di una mostra di Claudio Magrassi a novembre e poi, cominciamo già a dirlo perché a questo punto ci riempie di responsabilità, ci hanno commissionato la sonorizzazione del museo interattivo di Pellizza da Volpedo nella sua città. Ci siamo dati un anno. Sarà un’altra bella avventura!».
Andrea: «Per gli album di canzoni invece rimaniamo attaccati al concetto tradizionale di disco contenitore dando un senso alle parole e alla musica, al nostro lavoro come quello dell’album che effettivamente, come notavi, non ha purtroppo oggi più tanto senso perché sappiamo che i metodi distributivi sono altri. A noi viene di organizzarlo in quella maniera, dando un significato alle canzoni, e a un lavoro. Li vediamo bene utilizaati in qualche produzione cinematografica. Secondo me Questo temporale ha delle cose che si prestano, come Il lavoro paziente del ragno, brani che per noi hanno una facilità di visualizzazione delle parole».
Marco: «E questo è un merito di Andrea che andrà anche a vedere il concerto di Cremonini però di fatto rimane attaccato con tutta questa sua curiosità e questo suo interesse e talento a ciò che accade nella musica chiamiamola leggera per intenderci, senza dare una definizione diminutiva in questo senso, mentre io continuo ad ascoltare Mahler, Puccini, Wagner e Miles Davis per cui alla fine sono fuori da quello che accade realmente nel sound della musica che ascoltano i giovani o i meno giovani o i diversamente giovani come me e te».
Porterete nei teatri questo lavoro?
Andrea: «Stiamo cercando di mettere in piedi un piccolo tour nell’autunno per avere un’altro modo di promuovere queste canzoni e sottolineo, canzoni non esecutori».
Marco: «Il teatro per noi diventa un contenitore tant’è che abbiamo scritto una piccola pièce teatrale, monologhi che intercalano le varie canzoni, proprio perché riteniamo questo tipo di prodotto musicale particolarmente adatto a essere presentato a un pubblico che ha voglia di confrontarsi, non di essere stuprato da un punto di vista uditivo, né essere intrattenuto mentre beve il cocktail e racconta i cavoli suoi a quello che ha di fianco. Per cui il punto è un po’ questo, non è facile trovare delle opportunità in questo senso, da qui l’inventarsi il contesto teatrale con i monologhi. Abbiamo fatto questa première, c’erano un centinaio di persone, molte delle quali, credo non per piaggeria, alla fine hanno manifestato un apprezzamento per il lavoro. Per noi è stato fonte di soddisfazione, anche se molti erano anche amici!».