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Il “senso” della Musica secondo Valerio Piccolo

Valerio Piccolo – Foto Marcialis

Il cantautore casertano Valerio Piccolo in questo periodo sta vivendo una notorietà ben riposta grazie al brano E si’ arrivata pure tu, parte della colonna sonora di Parthenope, film di Paolo Sorrentino. Piccolo, per chi non lo conoscesse è un musicista, ma anche un traduttore dall’inglese, appassionato di musica e cultura americana contemporanea. All’attivo ha sette dischi molti dei quali concept album e collaborazioni pesanti, per anni con la grande Suzanne Vega e con lo scrittore Ricky Moody. Da poco ha pubblicato il suo ultimo lavoro, Senso, che contiene il brano di cui scrive qui sopra.

Valerio è il classico cantautore americano, chitarra e voce. «Ho costruito il mio percorso intorno a quello, anche se ho sempre avuto delle predilezioni, come l’uso degli archi», mi dice. In Senso, lavoro prodotto da Pino Pecorelli, ha deciso di abbandonare la sua veste di self-made-man e ti vestire quello dell’artista che ha una produzione, una band e addirittura due quartetti d’arco. «Nel disco ci sono pezzi dove addirittura canto soltanto senza avere la chitarra tra le mani, mai capitato in passato!», rimarca. «Ho avuto ottimi musicisti come, per esempio, Duilio Galioto, pianista di Daniele Silvestri e Avion Travel». Altra caratteristica di questo disco composto da nove brani per 37 minuti d’ascolto è l’assenza della batteria, «Una scelta non certo mainstream, ma con una complessità sonora notevole, un vestito che mi calza molto bene, tagliato su misura», continua. 

Sta presentando l’album in giro per l’Italia, piccoli show case, venerdì scorso era a Roma allo Studio Miriam, uno studio di registrazione dove il pubblico si è seduto intorno alla band e a un pianoforte a coda, «Un modo per far sbirciare alla gente dove nascono le note», dice. Nella sua città si esibirà a dicembre, «Per festeggiare un po’ tutto. Lì saremo in quartetto, una band più da viaggio, in un teatrino off dove è tradizione che faccia le presentazioni dei miei dischi».

Rispetto ai tuoi lavori precedenti Senso è il tuo album più… personale!
«È il più intimo, quello in cui parlo più di me. Ed è stato proprio il pezzo che Sorrentino ha usato per il film, E si’ arrivata pure tu, che ha dettato la strada di scrittura di questo disco. Non avevo mai scritto in napoletano, è stata un’urgenza, uscita prepotente. La canzone, di fatto, parla di un ritorno a casa linguistico e metaforico, è la voglia di scavare nelle proprie origini».

Hai una relazione di lunga data con gli Stati Uniti, soprattutto con New York. Perché?
«La mia frequentazione con New York è iniziata grazie alla collaborazione con Suzanne Vega. Da quel momento (era il 2000) ho cominciato a tornarci sempre più spesso e a frequentare il mondo dei songwriter americani per viverlo musicalmente dall’interno. È stata un’esperienza fondamentale dal punto di vista della formazione, di approccio alla scrittura, molto stimolante, soprattuto nei primi anni delle mie frequentazioni. Tutto ciò mi ha spinto a ritornare più e più volte. Ne sentivo la mancanza, era come se New York fosse diventata la mia città. Sono uno che percepisce fortemente le proprie radici, però mi sento a casa in ogni posto, penso che la vita ti indichi dove sono i luoghi che ti danno più possibilità«.

Ora dove vivi?
«Sono di base a Roma».

Parlami della tua collaborazione con Suzanne Vega…
«Avevo tradotto un suo libro di poesie e racconti nel 2000 (Solitude standing. Racconti, poesie e canzoni inedite, Minimum Fax, 347 pagg). Da allora abbiamo cominciato a frequentarci, lei è venuta in Italia a presentare il libro e per l’occasione abbiamo montato uno spettacolo a metà tra il reading e il concerto, che è andato molto bene. Da lì la collaborazione è continuata, ho aperto spesso i suoi concerti in Italia fino ad arrivare all’anno i cui abbiamo scritto insieme il brano Suono nell’Aria/Freeze Tag (2011, ndr). È stata una collaborazione a tutto tondo ma anche una grande amicizia che continua tuttora. Quando vado a New York ci ritagliamo sempre il tempo per un pranzo o una cena per ritrovarci, raccontarci…».

E l’incontro con lo scrittore Ricky Moody? Insieme avete scritto il concept album Adam and the Animals, disco uscito nel 2018…
«La mia amicizia con lui risale a quando ho iniziato a pensare a un progetto con scrittori americani, da cui è nato un disco, Poetry. Avevo coinvolto poeti e scrittori contemporanei americani. Ognuno di loro mi aveva dato un testo che poi ho tradotto e musicato facendolo diventare una canzone. C’era anche Ricky, con lui è nata un’amicizia molto profonda che poi ci ha portato a realizzare insieme Adam and the Animals. Lui è anche un grandissimo cultore della musica, è stato un musicista, aveva formato dei gruppi suoi, sapevo che avevo trovato terreno fertile in quella collaborazione. Il viaggio di Adam and the Animals è stato bellissimo dal punto di vista della creazione».

Torniamo a Senso: parti con la canzone omonima per dare un… senso a tutto il disco?
«Avevo bisogno di una parola che racchiudesse le sfumature di questo lavoro. E “senso” ha a che fare con il senso di marcia, con quello dell’orientamento e anche con il significato, “dare un senso”. Per me è la parola perfetta per dire: ok, sono orientato, so che tipo di marcia sto avendo e che significato ha tutto questo! Mi piaceva l’idea di aprire un album con una canzone che fosse così, con un mood allegro e leggero ma che fa anche riflettere sul tempo. È uno dei temi del disco: come gestirlo, come rallentarlo quando stai andando troppo in fretta».

Sei arrivato a 56 anni e  hai deciso che era tempo di bilanci?
«È un momento di chiusura di un cerchio più che di bilanci, per prendere slancio verso una ripartenza, che poi è esattamente quello che sta succedendo con questo album, arrivato dopo una serie di altri dischi che magari non hanno avuto la stessa attenzione che ha avuto questo, grazie, ovviamente, anche a Sorrentino. Quindi è un momento in cui la gente può vedere meglio dove sono arrivato e anche dove ho intenzione di andare».

Il mondo musicale italiano oggi è in mano a una musica facile… non c’è la voglia di scoprire nuovi talenti al di là del mainstream. Che senso ha in questo momento essere cantautore?
«È una domanda interessante, perché è molto difficile trovare un senso oggi. Il mainstream in un Paese piccolo come l’Italia si è mangiato tutto, mentre in Paesi più grandi non toglie per esempio spazio all’industria Indie, che comunque resta un’industria. L’Indie da noi non esiste praticamente più, non ci sono posti dove suonarlo, soprattutto di dimensioni medie, dove un artista può iniziare a costruirsi un suo pubblico. C’è solo la corsa al mainstream con tre, quattro appuntamenti annuali, un imbuto che diventa sempre più stretto. Quindi, che senso ha fare il cantautore? Te la dico dal mio punto di vista attuale: trovo il senso perché ho avuto il riconoscimento da parte di un artista geniale, enorme, come Sorrentino. Penso che uno dei pochi sensi rimasti sia proprio questo, essere visti da chi fa arte e ha la possibilità di amplificare questa cassa di risonanza facendo sì che la tua musica arrivi il più lontano possibile. È un senso pratico, fermo restando che il desiderio fondamentale resta l’urgenza di scrivere un canzone. Quando si tratta di fare in modo che la canzone diventi la tua vita e il tuo lavoro, il divario si fa sempre più complicato, soprattutto alla mia età. Ho fatto un percorso diverso, ho avuto una vita parallela, oltre alla musica, sono sempre stato nel campo del cinema e, ora, delle colonne sonore. Insieme al brano che Paolo ha usato in Parthenope ho composto una colonna sonora di un cortometraggio presentato ad Alice nella Città, dal titolo Il Presente, scritto e diretto da Francesca Romana Zanni. Mi sto, dunque, dichiarando in quella direzione lì!»

Se il cinema italiano in questi anni sta vivendo un buon momento, Sorrentino lo dimostra, trovi che ci sia speranza anche per la musica italiana d’autore?
«La mia grande fortuna è di avere incontrato sulla mia strada un regista libero nelle sue scelte, non solo perché ora è “Sorrentino”. Paolo ha sempre avuto, soprattutto sulla musica, una sua consapevolezza e cultura che gli hanno permesso di compiere scelte anche particolari che alla fine hanno pagato. Penso che il mio sia un caso fortunato per aver avuto la fortuna di poter interagire con un personaggio così. Sicuramente un’impresa come la mia è stimolante e dà speranza a chi cerca di fare questo mestiere. Però non so se sia considerato l’inizio di un cambio direzione. Penso invece l’opposto: che si vada molto sul sicuro, anche i registi in genere lo fanno. Scelgono un brano di un artista pop già affermato mentre la storia del Cinema dimostra che si può osare, andare per strade non battute e avere un riscontro identico. Da quel punto di vista, Sorrentino dovrebbe ispirare: nella colonna sonora ha messo Sinatra, Cocciante, Paoli e poi Valerio Piccolo. Ricevo decine e decine di messaggi ogni giorno di gente favorevolmente colpita dalla canzone. Evidentemente si può fare».

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