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Ivano Icardi e la sua musica… Unconventional

Un suono limpido, cristallino, pulito, esaltato da una registrazione tecnicamente perfetta. Una chitarra Suhr, usata dagli impallinati della perfezione sonora, prodotta in California nell’azienda fondata 26 anni fa da un liutaio mitologico, John Suhr. E un chitarrista torinese, producer, musicista, che il 12 ottobre scorso ha pubblicato un lavoro con un titolo che la dice lunga: Unconventional. Lui si chiama Ivano Icardi e ha 48 anni. Bellezza, perfezione, anima sono le tre parole che mi vengono in mente ascoltando questo disco davvero poco convenzionale. Un contemporary jazz fatto da un musicista onnivoro, che nella sua lunga carriera ha spaziato dalla classica al pop, dal rock e ora al jazz, suonato sempre in un modo tutto suo. Brani onirici, solo strumentali, che trovano la loro compiutezza nel trio che Icardi ha creato, Elio Rivagli alla batteria e Riccardo Fioravanti al contrabbasso, due navigati musicisti con solide radici jazz.

Il che ha favorito un dialogo continuo, con improvvisi cambi di ritmo tipici del prog, fraseggi complessi con la chitarra che in certi passaggi arriva a ruggire in stile rock per ridiventare poi una morbida voce solista, mai prevaricante: mettetevi in cuffia Canberra Sky, Babylon e Ines in sequenza, come sono state inserite nel disco composto da nove brani, capirete come il dialogo progredisce in un linguaggio mai sopra le righe, equilibrato. È musica per immaginare: ognuno di noi, ascoltandolo, potrà “occupare” la traccia sonora con i suoi pensieri, le sue felicità, le sue malinconie…

Ivano, è un disco molto diverso da quelli che hai pubblicato finora.
«L’ho chiamato Unconventional proprio perché c’è un fortissimo stacco rispetto al passato. A parte l’album live che ho rilasciato nel 2019, l’ultimo in studio, del 2016, sempre strumentale era improntato verso il Rock. Unconventional è un lavoro che stacca nettamente col passato e mi proietta al confine tra il jazz e il contemporary jazz. Chiamandolo così, volevo “avvertire” il mio pubblico!».

Ti sei scelto due fidati compagni di viaggio!
«Elio Rivagli ha sempre suonato sui miei dischi, ci conosciamo da 20 anni, siamo come fratelli. Lui è uno dei batteristi jazz più bravi che conosca. È nato con il jazz e lo fa con un suo modo molto creativo. Ha dedicato tantissimo tempo a questo disco. Se non fosse stato per lui certe soluzioni ritmiche non sarebbero mai arrivate. Riccardo Fioravanti è un fratello maggiore, tra di noi c’è sempre stata ammirazione, volevamo lavorare insieme da tanti anni. Per questo lavoro avevo bisogno di un contrabbassista creativo che non fosse solo un bravo musicista ma un artista. Quello che si ascolta su Unconventional ha molto del suo carattere sonoro, ed è stata una grande cosa per me, molto stimolante».

Infatti c’è un bell’interplay. Aggiungo: è registrato divinamente bene…
«Oh, grazie! Mi fa molto piacere perché è stato registrato e masterizzato nel mio studio. Odio vantarmi ma di questa cosa vado molto fiero. Marco Volontè, editore di libri di musica, mi ha chiesto di scrivere un libro su come ho lavorato a questo disco, uscito il 7 novembre, con il titolo Unconventional, l’arte della chitarra moderna (Volontè&Co, 136 pag. 24,90 euro, ndr). Lì ci sono tutte le trascrizioni dei brani, ma racconta anche come è stato registrato il disco, come sono stati piazzati i microfoni, come sono stati usati i preamplificatori, insomma, tutte quelle cose da nerd di studio di registrazione. È la prima volta in Italia che un editore pubblica un libro sulla registrazione di un disco».

Perché nella tua musica non c’è la voce?
«Ho una doppia vita, come tutti quelli che fanno il mio lavoro, quella da produttore musicale e l’altra da chitarrista solista. Sono due carriere parallele, ultimamente ha preso più piede l’Ivano chitarrista. Tanti anni di produzione lavorando nei dischi con i cantanti mi hanno sempre fatto pensare che la gente ha bisogno di ascoltare anche musica per viaggiare con le immagini senza farsi guidare dalle parole. Farsi condurre dalla propria immaginazione mentre ascolti un brano lascia emozioni più forti, permette di raccontarti una tua storia. E quel brano ti emozionerà persino più di una canzone. E poi, la chitarra è la mia voce».

Foto Giuliano Tricarico

Qual è il tuo processo creativo?
«La sera, a casa con mia moglie, in salotto sto seduto su una sedia davanti al televisore e con la chitarra elettrica non amplificata suono, faccio pratica. Ogni tanto viene fuori l’idea, così prendo il cellulare faccio un video di quello che stavo suonando e il giorno dopo in studio comincio a sviluppare l’idea. Se mi convince e mi emoziona comincio a creare. Ho cassetti pieni di idee che non ho mai utilizzato, scartate perché non avevano quel quid in più che mi permette di portarle a essere un brano che può rimanerti nella memoria perché ha una sua unicità».

Nella tua doppia vita come vedi la musica italiana in questo momento?
«C’è una proposta musicale terribile, cose inascoltabili. E sono uno che ha lavorato per anni nel mainstream, ho vinto due dischi di platino con Amici. Oggi è tutto così involuto. Mi è capitato di vedere sul palco durante un festival un ragazzino con un dj che era tutta la sua band. Diceva cose senza senso (non perché non le potessi capire!), di cattivo gusto, insulti… la musica e l’Arte sono altra cosa. La musica deve avere un’estetica della bellezza, per carità anche nell’Arte e nella musica dodecafonica c’è la ricerca della bruttezza, ma sempre fatta consapevolemente, con stile, con una grande classe».

La digitalizzazione, i programmi per “montare” un brano anche se non sai suonare ha democratizzato la musica, ma anche banalizzato…
«Penso alle generazioni di oggi, ai miei nipoti che hanno 16 anni e a come vivono la musica. I loro idoli sono ridicoli e risibili, non stanno in piedi. È vero, c’è sempre stata musica semplice, quando ero ragazzino c’era Jovanotti che cantava Sei come la mia moto… Però… Ciò si riflette un po’ anche nei musicisti, nella musica strumentale. Eccezioni a parte, il musicista ventenne tende a vivere di performance estrema in quei dieci secondi su TiK Tok per mostrare quanto è sorprendente».

Porterete in giro Unconventional?
«Siccome ho cambiato genere musicale, sto cambiando anche manager e agenzia. Partirò dal prossimo gennaio, lo porterò in tournée nei teatri».

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