
I Camaleoni – Foto di Roberto Cifarelli
Lorenzo Palermo, 24 anni, pianoforte e tastiere e una ventina di soprannomi, vada per Lorenz. Fabio Pergolini, 24 anni, batteria, detto Bio. Valerio Maria Bandi, 31 anni, chitarra elettrica, appassionato di anagrammi, chiamato per questo Balerio Vandi. Riccardo Savioli, 28 anni, sassofoni, è il Sav. Andrea Brutti, 25 anni, basso elettrico, invece è Sbrù.
Tenetevi bene a mente questi nomi. Insieme fanno i Camaleoni, giovane band che ha prodotto da pochi giorni il suo primo album dal titolo Camadamia (anagramma di Macadamia, made in Valerio!). Come avrete capito ai cinque eclettici musicisti piace giocare con note e parole. E questo è già un segno distintivo della loro creatività e voglia di divertimento.
Li ho visti live al Volvo studio di Milano circa un mese fa, e sì, ci sanno proprio fare! Oltre a muoversi sul palco da musicisti navigati, quello che ti prende subito è la loro gioia nel fare musica e trasmetterla, la sensazione che si prova è la stessa di respirare a pieni polmoni aria buona in alta montagna. Gli otto brani per 49 minuti d’ascolto sono movimenti di un’unica, debordante suite. Stai con le cuffie incollate alle orecchie in un vortice di jazz, fusion, prog, funk, R&B. Trascinano, giocano con le note, adorano catturare l’attenzione con cambi improvvisi, il complicato diventa semplice, il dialogo è la struttura fondamentale.
L’arpeggio al pianoforte che apre il disco e il primo brano Stuck in Traffic, introduce in poche battute un basso possente e una chitarra anni Settanta con wah wah. Da lì è un dialogo continuo tra sax e chitarra, tra basso e batteria, tra sax e tastiere. E poi seguono Flood, Ios, la dolcissima ballad My Eyes On You, Macadamia, Still Believe It, Curry On, e la chiusa in pompa magna con Send This To Ur Crash.
Di sicuro, a mio modestissimo parere, uno dei gruppi più interessanti, capaci e brillanti di questo 2025. Altra particolarità della band è che fanno solo musica strumentale. «Il cantante ce lo abbiamo, è Riccardo», mi dice Andrea, «lui canta con il sassofono». La voce è un di più che per ora non è completato nel sistema Camaleoni. Anzi, forse andrebbe a intaccare quel dialogo sciolto e quell’intesa che i cinque hanno creato grazie alla padronanza dei propri strumenti.
Insomma, sanno il fatto loro. Ascoltano tanta musica diversa, ognuno mette a disposizione il proprio bagaglio culturale, così si divertono tra jazz, fusion, funk, spruzzate di classica, suite da Yellow Jackets, ritmi afro. Ho incontrato Lorenzo Palermo e Andrea Brutti via Zoom per proporvi una bella chiacchierata sul progetto e sulla band.
Vi ho visto al Volvo Studio. Vi divertite e fate divertire. Come vi siete trovati?
Lorenzo: «Sono uno dei primi fondatori del progetto, io e Fabio suoniamo insieme da quando avevamo cinque anni! Abbiamo suonato di tutto, in band rock, fusion, qualsiasi cosa, con cantanti e senza. Dopo il Covid ci siamo uniti a Valerio perché volevamo riprendere a suonare. Ci mancava però il bassista…».
Come avete trovato Andrea?
Lorenzo: «Frequentando le lezioni di musica d’insieme al conservatorio. Gli ho proposto di unirsi a noi, per provare qualche standard. Lui ha accettato. Riccardo è stato l’ultimo che si è unito alla band, l’abbiamo conosciuto in occasione della laurea di Andrea. Ci siamo trovati benissimo con lui, c’è stato un interplay assurdo anche a livello personale. Quindi da lì è nato ufficialmente il progetto».
Siete amici, con gusti e caratteri musicali eterogenei, riuscite comunque a lavorare bene insieme…
Andrea: Sì, siamo molto amici ma anche… “nemici”! L’equilibrio sicuramente è stata una cosa su cui abbiamo dovuto lavorare in funzione di gruppo, visto che ognuno di noi ha i propri riferimenti artistico-musicali. Abbiamo cercato di venire incontro ai gusti e alle esigenze musicali di ciascuno. Tutti abbiamo scritto i nostri brani, pronti però a metterci in gioco e a cambiare discutendo e accettando i suggerimenti del gruppo. Cosa secondo me fondamentale perché si acquisisce e salda la fiducia delle persone con cui intraprendi questo viaggio. Abbiamo raggiunto un bel risultato».
Visto che orbitate tutti intorno a Milano, avete frequentato il conservatorio nel capoluogo?
Lorenzo: «Io e Andrea ci siamo conosciuti a Milano, Riccardo tramite il conservatorio, Fabio ha invece frequentato la Civica Scuola di Musica, mentre Valerio il conservatorio di Piacenza. Una volta gravitavamo tutti su Milano e infatti ci vedevamo spesso. Poi Andrea è andato a Bologna a studiare al conservatorio musica elettronica e Riccardo ha deciso di intraprendere una nuova vita sulle montagne sopra Piacenza, a Codegazzi, frazione di Ferriere, borgo di appena otto abitanti».
Andrea: «Ci siamo stati, abbiamo fatto persino una session, giornata creativa, superispirati, puoi suonare a qualsiasi ora senza disturbare nessuno. Però sei fuori da tutto, il supermercato più vicino è a trenta minuti di macchina!».
Che genere di musica ascoltate?
Andrea: «Lorenzo viene da un emisfero che varia dal jazz al prog alla fusion, Valerio arriva dal rock, anche se è comunque appassionato di jazz e fusion. Riccardo ha fatto studi di classica e infatti è molto proiettato in un’ottica compositiva, però il jazz tradizionale lo mastica bene e tanto, mentre Fabio è appassionato di musica funk, soul, gospel e io sono più sul versante R&B, hip hop e musica elettronica. Il comune denominatore per tutti è il jazz».
Cosa pensate della scena musicale italiana?
Andrea: «Credo che in questo periodo storico, ovviamente dipende dai contesti culturali, in Italia, ci sia una scena jazz molto interessante, ancora di nicchia, un po’ più indipendente, quella del jazz un po’ più street, contaminato con altri generi. A Milano abbiamo un gruppo famoso, gli Studio Murena, che fondono jazz e hip hop – qui sono nati anche i Calibro 35 – c’è Marco Castello che riprende canoni estetici che rimandano a Pieno Daniele, c’è Ghemon, tanta gente interessante che fa della musica strumentale con dei rimandi al jazz il cavallo di battaglia. La musica prettamente strumentale in Italia non ha ancora la stessa visibilità che si vede altri Paesi. Se vai a Londra o a Berlino la gente vive di questa musica, lo dimostrano i cartelloni affissi che pubblicizzano il nuovo disco di Youssef Dayes o di Alpha Mist. È proprio un concetto diverso di mainstream, che comunque, per come sta proseguendo l’industria musicale, siamo fiduciosi che lo diventi anche da noi. L’importante è cercare di esprimersi al meglio delle proprie possibilità, divertirsi e far divertire. Ovvio che il jazz e la musica strumentale saranno sempre considerati più di nicchia rispetto alla musica cantata, siamo la patria del cantautorato!, però, il gusto generale sta evolvendo, non c’è più una forte distinzione tra musica cantata e strumentale, tutto si mescola e questo è un bene per l’industria e, in generale, per la musica».
Lorenzo: «(ride, ndr) Ha già detto tutto Andrea! Penso che, comunque, la nostra forza siano le esibizioni dal vivo. Un conto è ascoltare da soli il pezzo in cuffia su Spotify e un altro vederci suonare. Il fatto che non ci sia il cantante diventa uno spartiacque tra l’ascolto singolo nella propria cameretta che può risultare più ostico e il partecipare ai concerti dove non ci si accorge che manca una voce».
Quindi la voce è bandita proprio!
Andrea: «Ovviamente, siamo aperti a collaborazioni che, chissà, magari potranno anche essere con cantanti oppure con altri strumentisti. In realtà, la nostra voce è Riccardo. Non sentiamo l’esigenza di mettere per forza un testo ai nostri brani».
Lorenzo: «Se proprio deve esserci un cantante magari lo vedo più alla Pat Metheny, con il cantante che esegue i temi insieme agli strumenti».
Andrea: «Abbiamo un batterista che è anche molto bravo a cantare. Glielo abbiamo pure detto: “Prima o poi ti facciamo intonare una melodia, fai dello skat. Sei il nostro Anderson Paak!».
Non fate una musica semplice…
Andrea (scherza, ndr): «Abbiamo impiegato anni a imparare i nostri pezzi! La possibilità di fare musica oggi è alla portata di tutti, di conseguenza c’è più roba da ascoltare. Questo forse è un bene perché hai più possibilità di esporre la tua arte, ma dall’altra parte però i gusti musicali tendono ad abbassarsi. La qualità musicale oltre a essere legata al periodo storico in cui stiamo vivendo, dipende pure dai servizi streaming, dove si stimola un ascolto passivo. Di conseguenza, non si ha sempre quella profondità di ascolto che necessiterebbe un artista, un musicista, in generale. Forse l’industria musicale cerca proprio questo. Al contempo, però, siamo fiduciosi: in Italia ci sono artisti veri, e sono tanti, vanno scoperti, ricercati. Il nostro Paese ha sempre avuto una tradizione musicale importante».
Lorenzo: «Questa semplicità è anche molto legata al profitto, per cui, le scelte che, magari, fanno le case discografiche, alla fine, indicano una linea più semplice, che può arrivare, diciamo, a più persone. Ma questo non avviene solo nella musica, ma in tanti altri settori.»
Da dove deriva il nome Camaleoni?
Lorenzo: «È venuto fuori in uno dei primi incontri avuti dopo il Covid: Fabio e Valerio, stavano battibeccando, rispetto al fatto che era necessario essere più aperti all’ascolto di più generi. A un certo punto Fabio gli ha detto: “Secondo me dovresti essere più camaleontico”. Poi, suonando, ci siamo resi conto che portavamo, comunque, una grande energia, da cui è uscita l’immagine del leone. Abbiamo letteralmente fuso i due concetti: Camaleoni».
Come sta andando il disco? Ha avuto ottime recensioni…
Andrea: «Prima di tutto siamo entusiasti che sia uscito, era un disco che avevamo dentro il computer da un po’, finche non ci siamo detti: “È maturo, lasciamolo uscire di casa!”. Per noi è stata una grande vittoria. L’abbiamo registrato a Bollate al Nebula Studios, un bellissimo ambiente ed è uscito in un momento perfetto per noi, di coesione, dal punto di vista di gruppo. Quando poi abbiamo visto che stiamo sfiorando i cinquemila ascolti per il single Macadamia su Spotify, ci siamo rasserenati: per una band comunque indipendente – si è affidata da poco alla BlueArt – che ha fatto tutto da sola, è una bella conquista e una grande soddisfazione. L’obiettivo è portarlo in giro il più possibile, ci stiamo lavorando. Siamo molto entusiasti anche delle recensioni che ci sono arrivate: molto bella quella di Jazzit e di altri siti simili che hanno speso parole positive, anche dal punto di vista delle reference. Radio Pop ci ha paragonato ai Brand X di Phil Collins, tanta roba!
Lorenzo: «Però sai che io li ascoltavo? È bello che si percepisca questo lato, un po’ intrinseco, della nostra personalità artistica che non esce in maniera totalmente palese. Questo ci fa molto piacere».