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Mary Lee and Caesar’s Cowboys: il country texano tra folk e swing

Wester Swing. È un sottogenere del country americano nato in Texas e diffuso in alcuni stati vicini. In voga nella prima metà del Novecento, è un mix tra folk e jazz di prima leva. La storia ci dice che il fondatore del genere fu Bob Wills, ovviamente soprannominato The King, artista che veniva da una famiglia musicale, il padre John era un fenomenale violinista. Il Western Swing influenzò un altro Re, quello del rock’n’roll, Elvis Presley, ma anche Chuck Berry e tanti altri artisti  che emersero negli anni Cinquanta e Sessanta. 

Un genere centenario che continua ad avere un seguito (ristretto, in verità) nel Usa, ma anche in Europa e qui in Italia. Oggi vi parlo dei Mary Lee and Caesar’s Cowboys, band romana che ha pubblicato il suo primo disco See Ya Later, Gladiator! (dieci brani per 34 minuti di ascolto) il 27 settembre scorso per la Bloos Records, etichetta indipendente di Simone Scifoni, pianista specializzato in ragtime e musica degli anni Venti del Novecento, producer e componente, ultimo arrivato in ordine di tempo, dei Mary Lee. I fondatori sono Marjolein Mutsaerts, violinista olandese che arriva da esperienze legate al jazz manouche e allo swing e Luciano Micheli, batterista e chitarrista di formazione classica innamorato del Blues dello swing, con escursioni solide nel be bop e nell’hard bop. A loro si sono aggiunti in progressione il contrabbassista Federico Ullo, tra i più richiesti nella scena rock’n’roll e rockabilly, Alessandro Cipollari, batterista con radici nel Boogie Woogie e Jump Blues ma anche chitarrista di raro talento, e Flavio Pasquetto, musicista di steel player che ha lavorato per anni negli States suonando anche con gli Asleep At The Wheel, band dirimente di Western Swing.

Siete tutti ottimi musicisti con la passione del Western Swing, genere non molto diffuso, soprattutto in Italia…
«In Europa ci sono pochissimi gruppi che suonano Western Swing. Anche i numerosi turisti americani che troviamo nei nostri concerti a Roma ci dicono che anche negli States è un genere un po’ troppo dimenticato rispetto allo Swing e al Country. Uno dei nostri obiettivi è dare il nostro contributo affinché non si perda nell’oblio. Prima dei Mary Lee, Luciano e io proponevamo i classici del Country americano, quelli degli inizi Novecento fino agli anni Sessanta. Suonandoli abbiamo trovato che molti brani storici del Country, tipo Faded Love e San Antonio Roads cantati da Patsy Cline, erano stati presi da autori precedenti, vedi Bob Wills and His Texas Cowboys. Siamo molto appassionati del folk americano ma anche del jazz e questo genere musicale è proprio un misto di folk e jazz tradizionale, da cui il nome del sottogenere».

Suonate spesso dal vivo?
«Sì. Ovviamente ognuno della band lavora anche con altre formazioni, però riusciamo a fare due concerti a settimana».

Qual è il pubblico che viene ai vostri concerti?
«A Roma c’è un bellissimo mix di locali e turisti provenienti da tutto il mondo. Recentemente stavamo suonando ad Anguillara, sul lago di Bracciano, e abbiamo notato che c’erano delle persone sedute al tavolo del club che cantavano con noi tutte le parole, erano dei texani in vacanza. Nei festival italiani e esteri suoniamo davanti a un pubblico appassionato della musica anni Quaranta e Cinquanta. Ma anche chi non lo conosce già viene ad ascoltarci ed esce contento».

Marjolein, suoni il violino e sei la voce solista. Che cosa ti ha attratto del folk americano?
«Proprio la presenza del violino sia nel folk, sia nel jazz tradizionale! Che poi è stato sostituito dai fiati, ma nei primi generi Blues e Jazz c’erano molti strumenti a corde, violino incluso. A Parigi ho visto numerosi concerti Gipsy, alla Django Reinhardt, dove si fondono numerosi generi, come nel Western Folk. Con il violino mi posso esprimere in maniera molto creativa, anche perché dialoghi con altri musicisti, c’è un bel interplay tra noi».

Quindi improvvisate?
«Sì c’è spazio nelle parti degli assoli. Arrangiamo anche brani a modo nostro, con i cliché del genere, per poter dare un tocco più fresco. È la cosa bella del jazz».

Perché hai scelto l’Italia?
«Ho una passione per il vostro Paese da quando ero adolescente e venivo in vacanza con la mia famiglia. Già allora il mio sogno era vivere qui. Durante gli studi universitari, Storia dell’Arte, ho avuto la fortuna di poter fare diversi periodi di studio in Italia, scegliendo di specializzarmi nell’Arte Rinascimentale. Durante uno degli ultimi periodi ho incontrato Luciano a Roma. Dopodiché è nato un bellissimo sodalizio di vita e di musica».

In Europa c’è molta più attenzione rispetto all’Italia per lo Western Swing?
«È difficile generalizzare. Noi suoniamo in Club, quindi il pubblico arriva e non paga il biglietto per ascoltarci, oppure in festival dove, invece, il pubblico viene apposta per sentire quel tipo di musica. Considerato ciò, in Olanda e Francia c’è una probabilità maggiore di trovare concerti di Western Swing. Io stessa ho conosciuto il jazz manouche grazie a mio nonno che l’ascoltava. In Italia c’è ancora un grosso ascolto della musica nazionale, è anche comprensibile che questi generi siano meno famosi. È una differenza culturale».

Che musica ascolti?
«Da sempre tantissimi generi diversi, la musica classica da bambina, quando avevo iniziato a studiare violino, da adolescente ho avuto un grande interesse per diversi generi di Rock, soprattutto gruppi inglesi di Folk e Prog, poi i Dire Straits che sento ancora, il Blues. L’unico che non ascolto è il Metal!».

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