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NavenerA: In Fondo con Marco “Ciuski” Barberis

Da sinistra, Marco “Ciuski” Barberis, Gianluca Zanone aka Alec Dreiser, Fabio Pollono

Marco “Ciuski” Barberis, classe 1965, è un batterista trasversale. Ha suonato con tanti gruppi, Mao Mao, Ustmamò, Mallory Switch ma anche con Cristina Donà, i La Crus, ovvero Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti, e con Michael McDermott. Un musicista che, ammaliato dal Prog inglese, cresciuto nel Punk, ha deciso di mettersi in gioco come autore di testi e musiche e di pubblicare il suo primo disco come band leader.

Il suo progetto si chiama NavenerA, con lui alla batteria e voce ci sono Fabio Pollono alla chitarra e Gianluca Zenone (Alec Dreiser) al basso. Il disco invece ha un titolo apparentemente strano: In Fondo. Il fondo ha diverse accezioni, per Marco sono i vertiginosi fondali marini che lui usa come metafora per i tanti “fondo” della vita. Spiegati molto bene nella Graphic Novel che porta lo stesso titolo disegnata da Massimo Blangino allegata al disco. 

NavenerA diventa, visivamente, anche un sommergibile il cui equipaggio usa per sondare l’animo umano. Vita, lavoro, amore, emozioni, tutto viene scandagliato nelle oscurità dell’animo umano. Ecco che, in una sorta di Nautilus Marco diventa il Capitano Nemo, che osserva, registra meticolosamente, una non giudica né punta il dito. «Semmai mi piace pensare di fornire attraverso le canzoni, una possibile soluzione», mi spiega. Il mondo va male, ce lo diciamo tutti i giorni, ma lamentarsi non serve a niente.

Perché, come canta Barberis ne Il Grande Blu, seconda traccia di questo lavoro che dura 47, intensi minuti, l’uomo ha diritto di sognare, di poter respirare liberamente nelle profondità marine, per ritrovare se stesso. Questo mondo non mi piace più/ Non respiro non c’è aria qui/ Poca luce non ci vedo quasi più/ Non c’è amore, non ricordo che cos’è/ E non trovo più nessuno come me/ Ogni luogo è pieno di parole vuote/ Ogni cuore ha perso la sua nobiltà/ E tu, uomo, hai ucciso la tua anima/ Io non abito già qui me ne voglio andare via… Una narrazione che dalle profondità dei mari ci porta nel Ventre della Terra, brano che parte con un didgeridoo elettronico che riporta dritto ai riti aborigeni e finisce con Wakan Tanka, canzone dedicata a Madre Natura, la cui voce risuona ancora libera nonostante le violenze dell’uomo.

Come nasce il progetto NavenerA e perché la maiuscola alla fine?
«Così nell’antico Giappone chiamavano le navi straniere che apparivano all’orizzonte e che per un effetto ottico sembravano nere. Mi è piaciuta l’idea che porta con sé qualcosa di misterioso. La “A” maiuscola finale nasce da un questione grafica ed estetica, una specie di simmetria, sembra quasi un palindromo. Il progetto è nato quando mi è venuta la voglia di mettere insieme delle canzoni e provare a fare, per una volta, un progetto tutto mio, dopo aver suonato per tanti anni come batterista al servizio di altri. Sono canzoni che ho scritto e messe in un cassetto pensando di farle cantare ad altri artisti. Ho provato a cantarle, quindi cominciato a lavorarci, finendo per crederci fino in fondo…».

E in fondo… cosa c’è?
«Tante cose. Mi sono accorto che, quasi per caso, in più di metà delle canzoni compariva questa parola con varie connotazioni e significati. Così è diventata il titolo dell’album. Cosa c’è in fondo non si sa, “in fondo” comunica le profondità dell’oceano che sempre mi hanno attratto e, per metafora, anche l’insondabilità dell’animo umano».

Nel concetto “dell’in fondo” la metafora non è solo udibile ma anche visibile attraverso una graphic novel disegnata da Massimo Blangino…
«Volevo dare al progetto un mezzo espressivo in più. Sono sempre stato un appassionato di fumetti, l’immaginario che ti dà un fumetto è potentissimo, addirittura più forte di un film, perché quest’ultimo racconta una storia che tu hai davanti agli occhi, con dialoghi, musica, rumori di scena. Il fumetto, invece, è composto da immagini statiche, puoi rimanere ore a fissare una vignetta per trovarne i dettagli, indagare a fondo sul significato di determinate immagini. Il fumetto ha delle potenzialità espressive enormi. E poi è molto evocativo, perché le immagini spesso comunicano qualche cosa anche quando sono solo semplici tratti di matita. Massimo usa una tecnica molto sporca, una matita grassa, con tratti poco definiti, ed è quello che mi piace del suo stile».

Parliamo della musica: hai lavorato con tanti gruppi e artisti, e questo si sente nell’album…
«Ho sempre cercato di fare della capacità di variare e del sapersi adattare alle diverse situazioni un mio punto di forza. Mi è capitato di suonare rock elettronico, reggae, musica etnica, pop, quello dove devi stare molto composto e con parti precise. Ho imparato qualche cosa da ciascuna delle mie esperienze, quindi ora posso essere dieci batteristi contemporaneamente. Così dopo trent’anni di lavoro ho deciso di mettermi al servizio di me stesso!».

Possiamo catalogare il disco nel Rock alternativo?
«Sono nato nel Rock. Al di là di tutto quello che ho cercato di imparare nel corso della mia carriera, ho ascoltato e continuo ad ascoltare molti generi diversi. Da ragazzino mi sono innamorato del Rock progressivo dei gruppi inglesi, ho iniziato ad ascoltare musica molto presto, grazie ai fratelli più grandi dei miei amici. In giro si sentivano i Genesis, la PFM, i Deep Purple, tutta musica che mi entrava nelle orecchie e che mi ha affascinato. Quando ho iniziato a crescere è arrivato il Punk, e il mio amore s’è portato in quella direzione. Andavi a vedere i grandi gruppi rock e pensavi a quanto fossero irraggiungibili; il Punk invece ha reso la musica alla portata di tutti. Ricordo che ho pensato: “Se è così, forse ce la possiamo fare!”, e con i miei amici abbiamo cominciato a strimpellare, ore e ore passate a suonare chiusi in cantina per cercare di rendere le idee canzoni. Il Punk è stata una folgorazione, non ho più potuto farne a meno».

Oggi, in controtendenza, stanno ritornando a nascere band rock, fatto che le case discografiche osteggiano, perché i gruppi costano troppo e i guadagni sono più “lenti”…
«Il settore è in crisi, lo sappiamo benissimo, ci sono delle dinamiche che portano a cercare di risparmiare ovunque, e questo implica anche il concentrarsi su scelte di genere un po’ forzate. Un ragazzo che ci sta provando e ha talento e fantasia viene spinto a seguire il mainstream».

Rap, trap, è musica veloce, monetizzabile, è però musica perlopiù non suonata…
«È così. Ho la sensazione che si stia ritornando un po’ a queste cose. La musica va suonata, lo puoi fare con tanti strumenti, però va suonata. La musica finta non comunica molto, è un discorso un po’ banale, ma ne sono abbastanza convinto».

Per questo motivo sono qua a scavare lontano dal mainstream…
«Sono d’accordo, ma allargherei il discorso di questo “semplificare” oltre i confini della musica. Mainstream oggi è diventato un po’ tutto ciò che ci circonda e se tu non stai nella corrente principale, sei considerato un fuori di testa. Dovresti essere sempre d’accordo con quello che pensa e dice il mainstream, guarda l’informazione! Il pensiero non allineato non è visto molto bene, mettiamola così».

La cover della graphic novel disegnata da Massimo Blangino

Per suonare con te hai chiamato Fabio Pollono e Gianluca Zenone (Alec Dreiser). Perché?
«È stata una scelta mirata. Gianluca lo conosco da tantissimi anni, mentre Fabio è una conoscenza più recente. Oltre a essere un bravo chitarrista e musicista, Fabio possiede grandi doti di arrangiatore, riesce a mettere sempre quel qualcosa in più nei brani. Ha suonato delle parti sui provini che gli avevo mandato che in alcuni casi non mi aspettavo. Quasi sempre le sue proposte sono state illuminanti, soprattutto dal punto di vista melodico e armonico. Lui ha aggiunto tanta poesia, riuscendo a dare dei colori in più arricchendo lo spettro di emozioni che le canzoni riescono a comunicare. Ha anche un tecnico del suono molto in gamba. Nel caso di Gianluca che io conoscevo e mi ha confermato, è stata la sua energia e il suo stile…».

… Avete suonato insieme nei Mallory Switch…
«Sì, un progetto di anni fa. Di Gianluca mi piace il suo modo di prendere in mano il basso e di “violentarlo” tanta è l’energia che ci mette. Sembra che strappi le corde! Infatti, durante i concerti, mi accorgo che il pubblico lo guarda con gli occhi sgranati: non è molto comune vedere un musicista che suona con quel tipo di attitudine. In più, ha una grande conoscenza di tutta ciò che è musica elettronica e industrial, generi che mi interessano parecchio. Tra i tanti gruppi che adoro e dei quali mi sono innamorato credo che i Nine Inch Nails siano uno dei miei amori più grandi che condivido con Gianluca. Abbiamo passato anni senza riuscire ad ascoltare altro se non Trent Reznor!».

Veniamo ai contenuti: sono inevitabilmente legati all’oggi. Da musicista come vedi la situazione alla luce di quello che fai?
«Sono molto combattuto tra giornate in cui mi sento molto pessimista e altre in cui cerco di essere più positivo e ottimista. In realtà, sono un ottimista di carattere, non sono uno che si deprime e si arrende, nonostante quello che vedo intorno a me non mi piaccia per niente. Nelle mie canzoni lo dico apertamente, ho cercato di essere il più sincero possibile proprio perché non mi interessava mettere filtri, usare giri di parole. Ho cercato di essere diretto, a costo di non essere troppo interessante dal punto di vista poetico. Comunque non mi va più tanto l’atteggiamento di condannare sempre e dire che tutto fa schifo, cerco di usare anche l’ironia in quello che scrivo proprio perché vorrei che in qualche modo il messaggio diventasse un po’ più leggero».

Com’è scrivere testi in italiano?
«È affascinante ma molto più difficile. I miei primi tentativi tanti anni fa erano stati con l’inglese, ed era più semplice. Quando poi ti nasce il bisogno di dire qualcosa che abbia un senso, devi per forza scrivere nella tua lingua per farti capire. Soprattutto voglio usare un linguaggio che sia mio. Mi piace giocare con le parole, fare in modo che queste suonino bene, anche se in inglese questa operazione è più facile. Ma l’italiano ti offre delle possibilità enormi, al di là delle rime ci sono le assonanze, i giochi di parole mi piace molto usare parole che in qualche modo abbiano più di un significato. Ti cito una frase de L’ultimo Uomo sulla Terra. Questo personaggio a un certo punto dice: Nessuno mi può giudicare, in fondo sono umano anch’io e anche io ho bisogno di qualcuno da odiare. Non lo dico io ma il mio esatto contrario».

Mi parli della tua lunga collaborazione con il cantautore americano Michael McDermott?
«È stato un periodo molto intenso: Michael si appoggiava a me e ad altri musicisti italiani quando dall’America veniva a fare i tour in Europa. La prima volta è successo ad Amburgo. Lui arrivò con un volo da Chicago lo stesso giorno del concerto, ci trovammo in teatro per fare le prove con lui. La cosa affascinante di Michael è che ha una vastità di repertorio impressionante. Con lui abbiamo fatto una marea di concerti e credo di non aver mai suonato due volte la stessa scaletta. Ho dovuto imparare in tre anni una quantità incredibile di canzoni. Spesso durante i concerti usavo degli appunti perché era impossibile memorizzare tutto. La potenza enorme di Michael, al di là della scrittura, è soprattutto sul palco, è un performer impressionante: che suoni il pianoforte o la chitarra il suo livello di comunicazione è sempre al massimo. Lo senti cantare e a metà concerto dici: “uhmm, non ce la fa a finire il concerto”, e invece no. Non so dove trovi tutta questa benzina».

Dopo In Fondo che, immagino, stai portando in giro, ti è venuta voglia di continuare su questa strada?
«Non ho più vent’anni e quindi pormi degli obiettivi precisi è una cosa che non faccio già da tempo. Per cui anche in questo disco l’obiettivo per me è stato raggiunto nel momento in cui abbiamo registrato le canzoni. Poi è chiaro che, quando il lavoro esce, hai qualche aspettativa, senza farti chissà quali illusioni, visti i tempi. Ho idee nuove che ho parcheggiato lì, nel solito cassetto. Per il momento penso a portare il disco nei concerti: ne abbiamo fatti parecchi la scorsa primavera – il disco sarebbe dovuto uscire in quel periodo, ci sono stati intoppi e abbiamo rimandato l’uscita a settembre – e sono andati benissimo. Proseguiremo nel 2025, abbiamo date fissate a febbraio e marzo».

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