Chiara Ianniciello, classe 1999, salernitana. Nome d’arte, con cui non si sente ancora totalmente a suo agio: Chiaré. Chiaré è anche il titolo del suo primo disco uscito ad aprile, otto brani freschi, per nulla banali, con un sound che si richiama agli anni Settanta e Ottanta di una Napoli in effervescenza artistica, vedi Pino Danile e tutto il suo favoloso entourage, ma anche Edoardo De Crescenzo, quindi Joe Barbieri… quel sound mediterraneo, latino, jazzato e molto raffinato.
Chiaré arriva dopo la vittoria prestigiosa con il brano Le Zanzare, alla XIX edizione (2023) del Premio Bianca D’Aponte, festival sui generis dedicato alla giovane cantautrice di Aversa morta per un aneurisma ad appena 22 anni nel 2003, dove non contano la fama e il dio denaro, ma la musica. «Aver vinto il premio mi ha dato una buona botta di autostima», mi racconta Chiara, e con questa anche la conferma «di essere sulla strada giusta». Oltre a una laurea in canto, Chiara si sta laureando anche in contrabbasso classico, a Roma. Nei suoi pezzi alterna la lingua italiana al napoletano, su un tappeto sonoro fatto di soul, R’N’B, jazz, bossa e cultura mediterranea.
Primo disco, molto interessante, belle sonorità. Com’è nato?
«Grazie al premio Bianca D’Aponte! Senza quella vittoria non avrei mai pensato di riuscire a fare un disco. I brani ce li avevo già da parecchio tempo, però non mi sentivo pronta a “tirarli fuori”. Quel riconoscimento mi ha dato sicurezza. Con l’etichetta Four Flies abbiamo iniziato a scegliere le canzoni da mettere nel disco. Assieme a Ernesto Massimino Voza, producer di Paestum, mio caro amico, ci siamo buttati in un grandissimo lavoro di ricerca sonora, fino a quando non abbiamo trovato il sound giusto, che è arrivato con Barocco (brano che apre il disco, ndr). Lì abbiamo capito che dovevamo lavorare su quel tipo di sonorità e di armonie. È stato bello e sorprendente scoprire come quel sound si amalgamasse bene con la mia voce e la mia modalità di scrittura».
Quali sono i tuoi ascolti?
«In realtà sento tutto quello che mi piace, sembra banale ma è così. Ultimamente ho fatto ascoltato parecchio lavori della scena napoletana anni Settanta e Ottanta. Vengo da un percorso di studi di musica jazz ed è stato inevitabile».
Perché ti sei appassionata al jazz?
«In realtà ho iniziato a studiare canto a 12 anni con un’insegnante che era una cantante jazz. Inevitabilmente mi ha influenzata portandomi verso quella direzione, che a dire il vero, non mi dispiaceva. Anche perché la musica jazz è così piena di cose belle!».
La scena napoletana ha ricominciato a diventare molto interessante anche oggi, c’è fermento…
«Penso che ci sia stato un ritorno a quella creatività presente negli anni Settanta e Ottanta, con una libertà di espressione maggiore. Inevitabilmente il mio disco ha preso anche da tutto questo».
Peccato che il mainstream non sia certo quella musica lì?
«Dipende dalla tendenza che uno ha. Io per esempio non ascolto la trap, per me il mainstream è altro, per esempio, la musica Indie».
Sei posizionata nella musica pop, ti riconosci in questo segmento?
«Sicuramente non sono jazz, perché è tutt’altra roba. Pop non saprei, a dire il vero non so darmi un’etichetta considerato quello che faccio».
Giada De Prisco alla chitarra e Luca D’Arco alla batteria: come li hai trovati i tuoi compagni di viaggio?
«Giada è una ragazza che ho conosciuto in una jam in un paese della zona dove entrambe abitiamo. Lei è giovanissima, ha 19 anni. Quando ci siamo incontrate ne aveva 17, ricordo che rimasi colpita dal suo talento, dalla sua musicalità, dal suo modo di fare, quindi le chiesi di partecipare al progetto, quando i miei brani erano ancora in uno stato embrionale. Lei ha accettato con entusiasmo. Il giro dei musicisti dove abitiamo è ridotto, siamo pochi, ci conosciamo tutti: molti ragazzi della scena salernitana e napoletana hanno voluto suonare nel mio disco con piacere e dedizione».
Giada è veramente brava!
«Ha iniziato ora il conservatorio, trascorre tutto il suo tempo a studiare la chitarra jazz!».
State portando in giro il disco?
«A maggio abbiamo suonato in Campania. A settembre suoneremo a Ragusa. Ci stiamo attivando per organizzare un tour in tutta Italia».
Prima di lasciarci, raccontami del premio D’Aponte…
«Mi sono iscritta la prima volta due anni fa ma non sono rientrata nemmeno tra le venti finaliste. Ho riprovato quando ho cominciato a lavorare sulla mia musica in modo più meticoloso e quando i miei brani hanno preso una forma che mi soddisfaceva. Li avevo mandati a Cristiana Verardo, cantautrice che adoro, lei è bravissima, tra l’altro una delle vincitrici del premio D’Aponte. Mi consigliò di iscrivermi. Così ho fatto, senza pensare troppo, tanto è vero che quando mi telefonò Gaetano D’Aponte ci misi un po’ a realizzare che era il padre di Bianca, patron del festival. Ancora più sorprendente è stato vincere, non me lo aspettavo proprio».
Stai componendo nuova musica?
«Sì, perché ho intenzione di partecipare ad altri concorsi. In uno di questi è previsto che porti un nuovo brano: con Voza e gli altri musicisti lo abbiamo scritto nel giro di un paio di giorni, ed è stato bello scoprire che abbiamo acquisito un velocità incredibile nella creatività e una sintonia meravigliosa».
A breve ci sarà un secondo disco quindi?
«Sì speriamo, con calma, però!».
Lo farai sempre come Chiaré?
«Il nome non mi dispiace ma non lo so, mi ci devo abituare. È stata una scelta dell’etichetta che ho approvato. In realtà questo disco volevo chiamarlo Bolle di Sapone, perché in uno shooting fotografico fatto con una bravissima artista che si chiama Bianca Burgo, abbiamo utilizzato le bolle di sapone. Una delle foto è diventata la cover del disco».