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I paesaggi sonori di Tuulikki Bartosik

Oggi vi porto in Nord Europa. Per essere più precisi, un po’ in Svezia e un po’ in Estonia, per incontrare Tuulikki Bartosik, gran brava musicista che si colloca tra il folk e l’avanguardia. Tuulikki è una “Baltoscandic”, la cui vita è equamente divisa tra Scandinavia e paesi Baltici. Il suo strumento è la fisarrmonica a bassi sciolti, cioè i bassi non sono risolti solo in accordi ma anche in note singole (per la cronaca, usa una italianissima Pigini, azienda nata nell’anconetano nel 1946, costruita appositamente per lei). È anche una cantante, una compositrice e una polistrumentista, suona il pianoforte, l’harmonium e lo zither, strumento della famiglia dei cordofoni, molto diffuso nel paesi scandinavi e baltici.

Fatte le dovute presentazioni, vi spiego perché questa artista mi ha coinvolto: il suo terzo album da solista, uscito a fine gennaio, dal titolo Playscapes è una avvolgente sintesi di emozioni, ricerca, classicismo, tecnologia, passione, minimalismo sonoro, in poche parole, un disco non banale. E di questi tempi, dopo una settimana festival di Sanremo osannato a dismisura, ma con un parterre musicale sempre più incomprensibile, non essere scontati è un dote rara.

In 38 minuti e 12 tracce (le potete ascoltare su Bandcamp) il mondo di Tuulikki prende tante forme, i paesaggi sonori sono reali: Robertsfors, primo brano del disco, “mostra” una cittadina svedese nella contea di Västerbotten, con meno di settemila abitanti. E ancora Reval che è l’antico nome di Tallin, la capitale dell’Estonia, London, Helsinki, Stockholm. Quindi, Norrland, la regione svedese del Nord. Ci sono due brani, Hibiki e Tsunagari, parole giapponesi che significano suono e relazione, connessioni che aiutano a capire queste fotografie armoniche.

La fisarmonica è lo strumento fisico utilizzato per raccontare queste sensazioni a cui Tuulikki ha aggiunto varia effettistica, loop, pedali che ne alterano il suono e in qualche modo ne cambiano totalmente la provenienza sonora. In London, come nella “altre città”, ci sono anche registrazioni in presa diretta, brusio di persone, il rumore della metropolitana londinese, così anche in Helsinki, dove voci e applausi contribuiscono a creare un “panorama” confortevole, rendendo solida l’immagine di un luogo.

Quello che ha fatto la Bartosik in Playscapes è un’operazione di ricordo sonoro, immagini tradotte in note. L’elettronica in questo aiuta molto ed è usata in modo sapiente e onirico, pensata come contraltare al suono dello strumento puro, che arriva, come in Sundbyberg (è una popolosa città satellite di Stoccolma) a ribadire la realtà pura, semplice, nuda, “monotonamente” viva.

Bel disco, dunque. Vivamente consigliato a spiriti liberi e curiosi.

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