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Interviste: Giulia Pratelli, cosa vuol dire essere una cantautrice

Giulia Pratelli – Foto Claudia Cataldi

L’11 gennaio scorso è uscito per la Blackcandy Produzioni un disco che trovo molto interessante. È di Giulia Pratelli, 32 anni, cantautrice pisana, e si intitola Nel mio stomaco. Il cantautorato al femminile è un capitolo della musica italiana che meriterebbe più attenzione. Di artiste brave, preparate e, soprattutto, che hanno qualcosa da dire e la dicono bene, negli ultimi anni ne sono nate parecchie. Mai abbastanza, comunque.

Forse perché si sconta  (e ci si scontra) con il mito di chi ha fatto la storia della canzone d’autore in Italia soprattutto negli anni Settanta e Ottanta (Lucio Dalla, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Rino Gaetano, il grandissimo Pietro Ciampi, attivo fin dai primi anni Sessanta, Fabrizio De Andrè, Claudio Baglioni, Antonello Venditti e via elencando…). Tutti uomini, ovviamente. Le donne, ma non solo in questo campo, basti pensare al jazz, sono sempre state viste e vissute come grandi voci, sublimi interpreti, ma, quasi mai, scrittrici di musica.

Il lavoro di Giulia, dalla musica al testo, è un percorso di vita temporalmente ben definito, sviluppato in undici brani, con un incedere ben preciso. Una storia racchiusa in un romanzo in note dove viene fuori la verve creativa dell’artista, il bel incedere della scrittura, libero da rime forzate, una pagina di pentagramma dove lei si racconta con l’essenzialità dettata da un brano, e l’uso di ritmiche e armonie non appiattite su format già ascoltati, grazie anche al buon lavoro fatto con il producer Zibba (Sergio Vallarino), non nuovo a collaborazioni con la Pratelli.

Con Giulia, oltre al disco ho voluto parlare anche del cantautorato al femminile e del mondo musicale che ci gira intorno…

Innanzitutto, perché la passione per la canzone d’autore?
«Sono cresciuta con i cantautori italiani. I miei li ascoltavano sempre e mi hanno fatto apprezzare, oltre alle melodie, i testi. È stato un percorso naturale. Da piccola avevo imparato a memoria molte canzoni, adoravo Baglioni, e le cantavo usando l’antenna dello stereo come un microfono. Quindi ho iniziato a studiare canto, poi chitarra e armonia…».

Nel mio stomaco “canta” in modo diverso dalle altre tue precedenti produzioni, Tutto Bene e Via!
«Volevo ottenere un suono caldo ma deciso. Assieme a Zibba abbiamo potuto avere una band, i “miei” musicisti romani. È stato un lavoro di partecipazione. In Roma, Milano, per esempio, la coda del brano è nata improvvisando in studio».

Chi sono i musicisti che ti hanno accompagnato?
«Mi fa piacere che mi domandi di loro, sono bravi professionisti, Edoardo Petretti al pianoforte e tastiere, Toto Giornelli al basso e contrabbasso, Filippo Schininà alla batteria e percussioni, Luca Guidi (che è diventato il mio compagno dopo aver inciso il disco!) alle chitarre elettriche e Novella Curvietto al violoncello. Le chitarre acustiche sono mie, come i cori. Edoardo, Toto e Filippo condividono numerosi progetti insieme, soprattutto cantautorato e jazz».

Quanto ai testi cosa mi dici?
«Nel mio stomaco racchiude un racconto, particolari sensazioni vicine nel tempo ed emotivamente coinvolgenti che ho vissuto. Tutti brani che avevano bisogno di stare insieme. Li ho raccolti e portati a Zibba. Solo lavorandoci mi sono accorta che non era solo un racconto ma un viaggio vero e proprio che inizia con Niente, brano in cui sentivo la necessità di uscire dal guscio dove mi ero chiusa (Lasciami diventare nera/ Fare i conti e poi bruciare,/Sigaretta accesa/ Coda di sirena,/ Per tornare a galla, Radice a primavera… ndr) e finisce con Non ti preoccupare, le parole che dicevo ai miei quando uscivo la sera (Ho sbagliato tante cose ultimamente, Spero tanto tu mi possa perdonare/ e darmi un bacio sulla fronte/ Quando arrivo a casa… brano che ha vinto il premio Bianca D’Aponte edizione 2018, ndr)».

Parliamo del rapporto cantautori/cantautrici. Negli ultimi anni sempre più musiciste hanno iniziato a percorrere questo filone…
«Sì, e per fortuna! Ce ne sono di veramente brave, come, ad esempio, Cristiana Verardo, che lo scorso anno ha pubblicato un album meraviglioso. Essere una cantautrice vuol dire non avere una vita facile, c’è ancora tanta diffidenza verso la scrittura al femminile. In Italia siamo stati fortunati, abbiamo avuto un grande parterre d’autore, però tutto al maschile. Fatto che, ancora oggi, rende un po’ più faticoso far emergere una cantautrice. È un problema molto sentito tra noi musiciste. Collaboro con un’associazione, Musica di Seta, fondata da Chiara Raggi, una musicista che ha deciso, attraverso questo brand, di unire le artiste e aiutarle con un’etichetta discografica, un magazine on line – dove tengo una rubrica – e organizzando eventi, come Eco di Donna Evolution, il Festival di Musica d’Autrice di Rimini. Nel 2021 abbiamo avuto Ilaria Pilar Patassini ed Eleonora Betti».

L’obiettivo di Musica di Seta, leggo dal sito, è “creare un luogo in cui le cantautrici possano trovare un modo di lavorare rispettoso della musica e della persona”…
«Sentiamo la necessità di affermarci, non come un fenomeno da circo, piuttosto in maniera uguale ai colleghi maschi. Alle donne è sempre stata riconosciuta la vocalità, pensa a Mina, alla Vanoni, mostri sacri. Noi cerchiamo di mettere al centro la musica d’autrice, l’artista nella sua complessità e totalità».

Quando componi da dove parti? Testo o melodia?
«Di solito da idee di testo che poi sviluppo insieme alla melodia. Mi viene più facile lavorare su entrambi…»

Perché Nel mio stomaco?
«È nato, appunto, da un’idea, quella del perché si dia al cuore così tanta importanza. Fisicamente, quando stai male, ti tormenti sul futuro, hai preoccupazioni somatizzi tantissimo. E quel groviglio fisico non ti viene nel cuore ma nello stomaco, nella pancia. Quest’ultima comanda molto più del cuore, che sta lì bello, in posizione carina. Il cuore è molto più estetico dello stomaco ma quest’ultimo esprime una parte diversa della nostra emotività».

Un lavoro ragionato, non urlato, che dà il tempo di riflettere su quanto si ascolta… un po’ controcorrente rispetto al mainstream attuale…
«Ho l’impressione, e temo sia irrimediabile, che ci sia troppa velocità, tutto è estremamente rapido, ed è difficile fermarsi per un ascolto. Insegno musica e lo vedo, oltre al ventesimo secondo di solito l’attenzione per il brano cade. In realtà è un problema che non c’è solo nella musica…».

Vedo con piacere che non hai accompagnato video alla promozione dell’album…
«A parte Luglio, girato lo scorso anno, abbiamo scelto di non investire più sui video ma di concentrarci sulla parte musicale».

Immagino che per i concerti siate ancora in attesa, causa pandemia…
«Sì stiamo aspettando di avere un qualche orizzonte. Mi auguro che da Primavera si possa iniziare a lavorare, ho voglia di portare in giro il mio disco».

A proposito, com’è nata la cover del disco?
«La foto è di Claudia Cataldi, mentre l’intervento grafico è di La Tram, un’illustratrice molto brava che ha realizzato un collage digitale dove ha racchiuso un po’ di quello che sono io. C’è la conchiglia, riferimento al mare che amo (vivo a Livorno da poco ed è meraviglioso!), c’è il melograno, ci sono i fiori che ricordano la mia provenienza, la campagna toscana, e c’è la statua che rappresenta la mia passione per l’arte…».

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