
Maria Mazzotta – Foto Alessia Rollo
Venerdì 18 luglio a Ronco, una frazione di Ghiffa, provincia di Verbania, che si affaccia sul lago Maggiore, nell’ambito della terza edizione del Festival Musica e Spiritualità, si esibirà Maria Mazzotta con il fisarmonicista Antonino De Luca. La cantante salentina, che da anni lavora sulle musiche popolari, presenta un lavoro che ha avuto molto seguito e credito, Amoreamaro, disco uscito nel 2020.
Un progetto molto particolare, intimo, profondo: l’amore al femminile raccontato in tutti i suoi aspetti, dalla bellezza alla morte, usando ovviamente la musica folk, salentina, napoletana, romana, abruzzese, siciliana. Un concerto perfetto per il concept di Musica e Spiritualità, come spiegano gli organizzatori: «È un boutique festival che invita al raccoglimento, dedicato a quella che ci piace definire “L’arte dell’incontro”, alla valorizzazione delle piazze, degli spazi che tornano, grazie agli appuntamenti in programma, a essere luoghi restituiti alla comunità, alla condivisione, allo scambio di emozioni».
“Quei luoghi” si trovano tutti nella zona della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, dove la natura la fa da padrone e la spiritualità si manifesta plasticamente nel Sacro Monte, patrimonio dell’Unesco, e nel grande tempio buddista di Albagnano.
Un appuntamento da non perdere (io ci andrò!) per chi ama la musica popolare ma anche la voce di Maria, incredibilmente versatile, calda, raffinata e potente. In attesa di vederla sul palco con vista lago vi propongo questa intervista che le ho fatto alcuni giorni fa.
Maria, perché la musica tradizionale ti ha catturato così tanto?
«Faccio una premessa: sono nata e cresciuta a Lecce, ho frequentato il conservatorio in città studiando pianoforte e arpa. Ascoltavo la musica classica, chiaramente le opere liriche, ma anche tanto rock e punk. Mi sono trovata per caso ad assistere a un concerto di musica tradizionale con un gruppo che si chiamava Aramirè, composto da Roberto Raheli, Luigi Chiriatti e Alessandro Girasoli. Sono rimasta folgorata per come questa musica era libera, il pubblico interveniva, batteva le mani, qualcuno addirittura portava i tamburelli e suonava con i musicisti. Tutto questo mi ha entusiasmato, ammaliato, così ho cominciato a studiarla. Se ci pensi non è una musica statica, cambia nel tempo perché risente dell’interpretazione dell’esecutore, è una musica viva che si rinnova».
Maria Mazzotta – Foto Giulio Rugge
La Puglia ha una vocazione per la musica popolare…
«Non credo che la Puglia detenga, come dire, l’esclusiva. C’è la musica calabrese, quella siciliana, lo stornello romano, la tammurriata campana. Sono sensibile a tutte le musiche di tradizione e, come dico sempre, quando ricerchi nelle varie musiche popolari trovi tantissimi punti in comune, per cui ti rendi conto che non sono fusioni. Già la musica tradizionale è un miscuglio di tante cose: noi abbiamo avuto i turchi, i saraceni tante dominazioni che ci hanno comunque influenzati. Tutto il mondo è un mix di gente che parte, che torna, che viene, che va… è questa la musica, incontro e apertura verso gli altri. La musica tradizionale crea ponti e non barriere, queste musiche sono tutte spinte dall’esigenza umana di trasmettere qualcosa».
Infatti nel tuo ultimo disco Onde, pubblicato lo scorso anno, in due brani hai chiesto la collaborazione di Volker Goetze e di Bombino. Cerchi punti di contatto continui che usi per contaminare?
«Sì o comunque per aprirsi, confrontarsi. Per esempio, Bombino è un musicista del Niger, è un Tuareg, la ritmica che noi abbiamo messo su Sula nu puei stare è un terzinato che è una tarantella, una pizzica ma anche un ritmo tipico dei Tuareg. Per cui mi sembrava quasi scontata la sua presenza. Quando vai nelle tradizioni trovi veramente tantissimi punti in comune. Nei Balcani, in Albania, in Grecia, in Bulgaria ho trovato temi comuni. Ogni volta che vado in giro per il mondo a parlare della musica tradizionale, chiedo: “Avete testi che parlano della donna che raccoglie l’acqua alla fontana? Oppure dell’uccello che va a portare il messaggio d’amore? Mi rispondono di sì, sono sono tematiche comuni, non dico a tutto il mondo, ma a gran parte della popolazione».
Scusa, ma la tua passione per il Punk?
«(Ride, ndr). Sì, per la verità, la passione per Giovanni Lindo Ferretti e poi anche per i Sex Pistols! Credo che per me sia stato fulminante Live in Pankow, il disco live dei CCCP, sono cresciuta con loro. E con i Marlene Kuntz. Quindi punk-rock soprattutto italiano. Andavo in Conservatorio praticamente con i capelli rasta e tutte le catene al collo. Ero un soggetto abbastanza particolare».
Con Onde hai unito il punk-rock e la musica popolare…
«Dopo Amoreamaro avevo l’esigenza di avere più forza, più potenza, vedere il pubblico in piedi a saltellare e a partecipare attivamente danzando, così mi è venuto naturale provare a unire questi due mondi che apparentemente sembrano così lontani tra loro, usando una chitarra elettrica distorta. Dopo quasi trent’anni di esperienza mi rendo conto che le voci spesso rotte e rauche della tradizione del Sud come anche il Flamenco in Spagna, a proposito di cose in comune, sono per me vicinissime al suono della chitarra distorta…».
La musica popolare oggi può essere protagonista di cambiamenti sociali?
«È una domanda complicatissima. Ho sempre creduto che abbia un grandissimo potere. Vengo dalla musica tradizionale del Salento dove esiste il fenomeno del tarantismo, attraverso la musica si curavano mali come la depressione… Ha sempre avuto una funzione “curativa” ma anche una portata rivoluzionaria, penso al repertorio della canzone d’autore impegnata politicamente: quando non si poteva dire qualcosa lo si diceva attraverso la musica, gli stornelli, il folk. Forse sono una sognatrice però credo ancora che possa sensibilizzare la gente, dunque intervenire in modo positivo nel cambiamento sociale e umano».
Restiamo sul tema: immigrazione. Noi la viviamo come un problema, in realtà da sempre i popoli si sono mossi per cercare una vita migliore…
«Non dimentichiamoci che siamo stati noi i primi a essere emigrati, in Argentina, in Belgio per lavorare nelle miniere, ma anche negli Stati Uniti dove ho assistito a processioni di santi tipiche del nostro Paese. Non capisco perché ora noi dovremmo chiuderci, ma qui entriamo nella politica e non ho voglia avventurarmi su queste strade. Preferisco parlarti di musica, che è amore, abbraccio, apertura e condivisione. Questi sono i messaggi che mando e che manderò sempre. In Onde ho voluto parlare di migrazioni perché mi ero stancata di ascoltare le notizie di barconi zeppi di uomini, donne e bambini che venivano dirottati, respinti. Per me il diritto alla vita è fondamentale, sacrosanto. Se c’è una persona in difficoltà, la prima regola è aiutiamola, accogliamola, poi si vedrà come e dove».
Musica e contaminazioni, ma anche musica e spiritualità, che è poi è il tema del festival dove canterai domani. C’è una connessione molto profonda…
«Assolutamente, vedi il fenomeno del tarantismo, un rituale antichissimo che scava nel profondo di te stesso, quasi una preghiera al santo. Oggi è San Paolo ma anticamente chissà a chi o cosa era rivolto. Sant’Agostino diceva: “Chi canta prega due volte”. Io il canto lo vivo come un qualcosa di inspiegabile, non tangibile. Quando canto non mi rendo conto di quello che sta accadendo, non sto più riflettendo e ragionando su come devo cantare, su quale nota devo fare, chiudo gli occhi ed è come se dentro di me si spalancassero delle porte profonde che mi connettono con il divino. A fine concerto la gente mi racconta che si è emozionata e commossa. Vuol dire che ha vissuto assieme a me questo passaggio».
Stai preparando un nuovo lavoro?
«C’è un disco pronto che ho realizzato con un musicista e produttore spagnolo, Raül Refree, sempre sulle musiche tradizionali. Si chiamerà San Paolo di Galatina, e uscirà il prossimo anno. Sono canzoni che già facciamo in uno spettacolo che parla di femminile e spiritualità. Infatti ci sono dei moroloi, canti che aiutavano la famiglia del defunto a piangerlo, e altri che accompagnavano la processione del Venerdì Santo che parlano della Madonna che va a cercare Gesù. Sto anche lavorando – abbiamo fatto un po’ di prove – con un pianista napoletano, Antonio Fresa, per far uscire un disco solo voce e pianoforte. Mi son detta: uno strumento così nobile con una voce e un repertorio così popolare, perché no? Proviamo questa questa commistione e vediamo cosa racconta… È uscito qualcosa di magico, ne sono entusiasta».