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Quando la voce graffia la storia: Petra Magoni canta Brecht e il nostro presente

Petra Magoni e Andrea Dindo – Foto Maurizio Sparesato

Petra Magoni è artista sanguigna, toscana nel profondo, una di quelle cantanti che raramente ti deludono. Ieri sera a Milano sono andato ad ascoltarla al Teatro Menotti dove, con il pianista Andrea Dindo, ha portato sul palco uno dei suoi progetti più complessi: Petra canta Brecht – omaggio a Milva, nell’ambito della rassegna Teatro Menotti in Sormani, arrivata al sesto anno di vita. 

Del progetto Magoni/Dindo ne avevo scritto qui il 2 ottobre 2024, quando il duo l’ha portato per la prima volta sul palco a Padova nella Sala dei Giganti di Palazzo Liviano in piazza Capitaniato. «Con Milano è la quarta volta che lo proponiamo», mi racconta Petra dopo lo spettacolo, «Lo stiamo ancora rodando ma questa sera c’è stato qualcosa di magico».

Infatti il dialogo tra lei e Dindo è stato intenso, carico d’ironia e d’intesa. I brani scelti non sono certo di facile esecuzione. Anche perché mentre Milva privilegiava la teatralità espressiva, con una voce impostata e solenne e lo sguardo ieratico, Petra ha studiato le partiture di Weill (e di Brecht stesso), nota per nota, permettendosi di raggiungere tonalità baritone e acuti da soprano, escursioni vocali usate per rimarcare la profonda, ironica tragedia dei testi brechtiani a cui fa da contraltare la musica scanzonata di Weill.

Milva era donna di grandissima cultura, controcorrente in un periodo – gli anni Sessanta – dove alla leggerezza di un immediato dopoguerra lei contrapponeva con testardaggine l’arte come denuncia e riflessione critica. Cantava per non dimenticare. Petra invece, oltre a omaggiare una delle nostre più grandi artiste, ricorre a Brecht e Weill per denunciare il presente con le sue guerre, i morti, gli interessi economici e i populismi carichi d’odio. Non fa sconti, ci mette anima e viscere, rabbia e allegria, solennità e sfacciataggine. Le sue sono grida di disperazione, si muove di continuo, batte i piedi, percuote le corde del pianoforte mentre Dindo sta suonando, usa tutta la sua vocalità, dal respiro al grido, per connotare il valore profondamente umano e dunque politico di canzoni che richiamano i momenti più oscuri della storia del Novecento.

«Non siamo così lontani da quell’epoca, oggi la stiamo vivendo di nuovo, ed è una situazione molto pericolosa» dice sul palco. Come darle torto? 

Menzione particolare ad Andrea Dindo: pianista e direttore d’orchestra di estrazione classica, grande interprete, le partiture di Weill nelle sue mani diventano di estrema potenza espressiva: l’Intermezzo, studio del compositore tedesco scritto a 17 anni per piano solo, è un prezioso gioiello.

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