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Tobe! Grendizer: gli E-Wired Empathy volano con Goldrake

Giovanni Amighetti – Foto Francesco Bocchi

È stato uno dei mitici cartoni animati giapponesi che ha acceso le fantasie tecnospaziali dei nati negli anni Sessanta e Settanta. È arrivato in Italia per la prima volta il 4 aprile del 1978, da noi era conosciuto come UFO Robot – Goldrake. Dal 6 gennaio scorso la Rai sta trasmettendo la nuova serie, battezzata Goldrake U e, in un paese dove anche la notizia più semplice può diventare un caso politico, si sono formati subito due partiti, i duri e puri del Goldrake prima maniera e gli altri che vedono il nuovo anime con il distacco dovuto dal passare inevitabile del tempo. Il successo della nuova saga non ha raggiunto gli ascolti sperati tanto che, subito dopo la fine della nuova serie, per la gioia dei nostalgici, ritornano, restaurate, le avventure del “vero” Goldrake. La sigla italiana (musica di Vince Tempera e testo di Luigi Albertelli) secondo le vendite Amazon in questi giorni è passata al primo posto scalzando fior di artisti mainstream.

Tobe! Grendizer, in italiano, Vola! Grendizer, era la sigla dell’originale giapponese, scritta da Shunsuke Kikuchi e cantata da Isao Sasaki, che in Italia venne ripresa all’interno dell’anime. Il brano composto da tre strofe, una marcetta enfatizzata tipico degli anime, è stato ripreso in mano dagli E-Wired Empathy che ne hanno fatto un pezzo diverso, ampio, ricco, creativo. 

L’idea l’ha avuta Giovanni Amighetti, vecchia conoscenza di Musicabile, che della band è tastierista e organizzatore, mentre faceva zapping per addormentarsi in un albergo di Manchester. S’è imbattuto nella nuova serie Goldrake U e gli è tornato in mente il brano originale che a otto anni s’era “tirato fuori a orecchio” da solo al pianoforte. I ricordi, le emozioni e quel fare “provocatorio” che caratterizza il musicista parmense, dunque, sono alla base di questo nuovo singolo, un altro tassello di quella caratterizzante costruzione armonica che la band s’è creata fondando il lavoro sull’improvvisazione e l’interplay tra i musicisti.

La cover di Tobe! Grendizer

Gli E-Wired sono passati dalla World Music a Gasandji, dal Liscio a Tobe! Grendizer. C’è un filo conduttore?
«Ho fatto una playlist proprio per vedere se Tobe! Grendizer poteva star bene insieme agli altri nostri brani strumentali simili, se c’era uno stacco tra una cultura pop giapponese e quello che facciamo noi in modo un po’ più “serioso”. Ci stava bene!».

Perché proprio Tobe! Grendizer?
«La risposta è che sono una persona che si annoia tanto, così cerco sempre di fare cose un po’ spiazzanti. Il filo conduttore per gli E-Wired c’è: se siamo in grado di arrangiare la sigla giapponese di Goldrakee possiamo arrangiare tutto, cioè metterci alla prova in situazioni completamente diverse».

Quindi il brano fa parte di un progetto a lungo termine?
«In realtà è un modo diverso di sperimentarci con il nostro sistema compositivo e vedere se funziona in situazioni apparentemente contrastanti».

Cosa vogliono diventare gli  E-Wired Empathy?
«Non lo so, attualmente siamo io, Luca Nobis, Roberto Gualdi e Valerio “Combass” Bruno. In questo pezzo c’è anche la partecipazione del sassofonista Fabio Barbero, un ragazzo di vent’anni che viene dal Liscio, molto bravo. Suona nell’orchestra di Moreno “Il Biondo” Conficconi da quando aveva 16 anni, ha una bella esperienza e una bella guida. Tutto questo per dirti che siamo in quattro, ma con noi si sono sempre musicisti ospiti provenienti da ambienti diversi. In comune con noi hanno lo stesso spirito, l’empatia, il ritrovarsi per creare direttamente in studio, o live».

Così lavorando il vostro territorio è una prateria sterminata, potete creare qualsiasi cosa, il senso è quello, giusto?
«Esatto, è il nostro metodo che determina il risultato, che applichiamo sia a composizioni nostre sia a quelle di altri musicisti».

Roberto Gualdi – Foto Elisa Magnoni

Il nuovo Goldrake sta suscitando non poche perplessità, criticato dai vecchi fan del cartone che ora sono tutti cinquantenni e sessantenni. Voi siete usciti in contemporanea con la sigla della vecchia serie originale. Tutto voluto?
«Abbiamo arrangiato il tema della serie uscita in Giappone nel 1975. Non parlerei di perplessità, ma di uno scontro tra chi rimane attaccato al primo Goldrake e non vuole accettare una nuova versione (tra l’altro filologicamente più coerente con il racconto originale) e chi dice ok, è un nuovo modo di rivivere la storia dell’eroe, sono curioso e me la guardo senza pregiudizi. Io sto dalla seconda parte». 

Come mai avete deciso di riarrangiare proprio la sigla originale di Goldrake?
«È colpa mia: mi sono imbattutto nella nuova serie quando ero in Inghilterra per lavoro. Per cercare di dormire la mettevo su ma… l’ho vista solo a pezzetti. Mi ha fatto tornare in mente che da piccolo la strimpellavo al piano. E poi ho sempre detto a Luca Nobis che il suo modo di suonare mi ricordava soprattutto le composizioni che fa Joe Hisaishi per i film di Hayao Miyazaki. Così l’ho chiamato: “Ascoltati questo tema, non è tutto bellissimo, c’è una parte più carina e una no! Così, quando suoniamo live, possiamo fare la musica di Goldrake in qualsiasi spettacolo di Liscio e non, il che sarà divertente”. Luca mi ha seguito, l’abbiamo registrata a Milano un mese e mezzo fa e poi, visto che la serie usciva in televisione, l’abbiamo connessa con l’uscita».

Giovanni Amighetti e Valerio “Combass” Bruno – Foto Elisa Magnoni

Progetti E-Wired nel 2025? Continuerete a portare avanti il progetto Liscio con Moreno Conficconi?
«Ci sono tante cose! Ti dico solo quelli della prima parte dell’anno. A marzo uscirà The Fermi Paradox, un progetto sullo spazio, realizzato in collaborazione con alcuni astrofisici del JPL (Jet Propulsion Laboratory, ndr) della NASA, registrato assieme a David Rhodes, il chitarrista di Peter Gabriel».

Farete uscire il disco come E-Wired?
«Dobbiamo decidere, perché di E-Wired oltre a me, ci sono Valerio “Combass” e Roberto Gualdi, mentre non c’è Luca Nobis. È un progetto partito prima della nascita del gruppo, con David Rhodes ci stiamo lavorando da anni. Per cui non lo so, visto che oltre a noi tre e a David hanno suonato anche Roger Ludvigsen, il chitarrista di Mari Boine, la cantante cinese Wu-Fei, Gabin Dabiré e Jeff Coffin della Dave Matthews Band. Mi piacerebbe fare qualche data live piccolina a marzo o un mese dopo, però non lo so ancora».

Ritornando ai progetti?
«A inizio marzo usciranno due nuovi brani con Moreno il Biondo, li stiamo registrando in questi giorni. Il primo è una canzone di Moreno con un’influenza etnico-salentina portata da Stefania Morciano, il secondo è strumentale e si basa su dei temi miei, di Moreno stesso e di Luca Nobis: si chiama Gli Angeli del Fango e si lega a tutti quei ragazzi che hanno dato una grossa mano quando c’è stata l’alluvione romagnola. C’è in preparazione un altro brano che si inserisce nel filone pop giapponese, tratto dal videogioco The Legend of Zelda: sarebbe divertente se anche questo riuscisse ad andare a finire nel repertorio del Liscio, visto che è un tempo valzer. Poi c’è tanto materiale live, concerti registrati lo scorso anno che probabilmente faremo uscire entro il 2025».

Fabio Barbero – Foto Elisa Magnoni

Questo modo di comporre, stante la situazione attuale, è piuttosto libero da “costrizioni”. Forse la gente si è stancata di ascoltare sempre la stessa musica?
«Faccio come ho sempre fatto, infatti se ascolti la playlist vedrai che ci può stare tanto il brano suonato con Moreno il Biondo quanto quello super sperimentale. Questo meccanismo s’innesta anche nel pubblico, per cui nel momento in cui creiamo sul palco, chi ascolta diventa più reattivo, partecipativo. Non so se la gente si sia stancata, ma penso che si possa applicare anche alla musica la diatriba tra il vecchio e il nuovo di cui parlavamo prima. A riprova, l’esplosione delle tribute band, che dal mio punto di vista sono, molto tra virgolette, “un male” per la creatività nella musica. C’è un pubblico che vuole continuare a riascoltare quello che sentiva da giovane e, visto che o le band originali si sono sciolte, o i membri sono morti, o i concerti costano troppo si ripiega sulle tribute. Noi facciamo un’altra cosa, e funziona. Sto andando a Groningen, in Olanda, per l’ESNS (Eurosonic Noorderslag, una quattro giorni di musica e conferenze terminata ieri, quest’anno con un focus sull’Italia, ndr), invitato a parlare dell’export della musica italiana. Quello che si esporta è la creatività, quindi il nostro modo di fare musica funziona all’estero, dovremmo seguire quello che siamo, la nostra storia musicale».

Chi rimane ancorato a certo rock, pop, prog, hip-hop, anni Settanta, Ottanta e Novanta oggi deve cercare la buona musica con fatica, visto gli algoritmi e il mainstream così prevaricante…
«Vedila da un altro lato. Se ti adagi sulle tribute band perdi la curiosità di ascoltare cose nuove. Noi E-Wired in modo chiaro andiamo dalla parte opposta, da quella di chi ha curiosità di sentire altra musica, al di là dei generi che possono piacere o meno. Non devi guardare al nostro mainstream, che all’estero conta praticamente zero. Noi italiani veniamo dalla musica classica, e in questo caso, per esempio, le tribute band italiane dei Genesis funzionano bene in Europa proprio perché la musica della band inglese – che in Italia era famosissima – aveva a che fare con la nostra storia musicale. Per questo dobbiamo esportare generi che nel nostro Paese sono caratterizzanti, vedi la Taranta salentina, qualcosina di Liscio, certa musica napoletana e via elencando…».

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